
Bologna, quarti di finale di Coppa Davis. Il Belgio affronta la Francia, ovvero uno dei paesi che più proietta la propria identità nazionale all’interno dello sport. Un paese che tifa più la Nazionale di calcio che le squadre di club, che arriverebbe a barattare - forse - un europeo di calcio con una Coppa Davis o un Tour de France vinto da un francese. L’ultimo successo francese - il decimo - in Davis risale al 2017, proprio contro il Belgio, e fu celebrato come nessun altro paese celebra una Coppa Davis.
Il Belgio affronta la Francia e sulla carta è sfavorito. Zizou Bergs e Rapael Collignon dovrebbero perdere entrambe le loro partite contro due dei tennisti più in forma del 2025, Arthur Rinderknech e Corentin Moutet. Due tennisti migliori, più forti, e che vengono dalla migliore stagione della loro carriera. Specialmente Rinderknech, che dopo "una vita da mediano" tennisticamente parlando ha colto una finale 1000, persa contro il cugino Valentin Vacherot.
Dicevamo: Bologna, quarti di finale di Coppa Davis. Il Belgio affronta la Francia e dovrebbe perdere. E infatti sta perdendo. Moutet vince il primo set e comanda sostanzialmente il suo incontro con Raphael Collignon. Vi ricorderete di lui per la rimonta epica su Casper Ruud agli US Open. Collignon però è un gran servitore e quindi nel secondo set sta lì e lavora. Tiene i suoi turni di servizio, cerca di essere solido. A tenere i propri turni di servizio si può trascinare una partita là dove la differenza possono farla pochi punti, e la durezza mentale nel saperli gestire. Si è già assicurato il tiebreak nel secondo, Collignon, che è sopra 6-5. Siamo 15 pari, un punto apparentemente innocuo, uno dei tanti punti che costruiscono una partita di tennis, e non sappiamo che sarà proprio quello su cui collasserà tutto il doppio confronto.
Moutet comanda lo scambio da fondo col dritto. Rallenta col back, e poi accelera col dritto inside-out. Collignon recupera come può, ne esce una palla corta su cui Moutet arriva agilmente. Tira un rovescio profondo, solido, che Collignon alza in cielo come può. La parabola è alta e non sembra nemmeno poter superare la rete. Moutet è di là con la racchetta alta, in attesa di colpire lo smash. E invece fa una cosa incredibile. Fa scendere la palla, mette la racchetta tra le gambe, e cerca di colpire un tweener di controbalzo con un coefficiente di difficoltà praticamente impossibile. Una giocata resa famosa qualche anno fa dal mitico Pablo Cuevas nella finale di Estoril contro Tsitsipas. Si sente prima di tutto un “NO!” di dolore del pubblico, e poi ci accorgiamo che la palla si è accartocciata, finita dietro Moutet. Il francese fa una smorfia sofferente, e forse qualcosa dentro di lui si rompe, mentre Collignon ride e non crede a quello che ha appena visto.
Il telecronista francese si chiede “Qu’est qu’il fait?!”, “che cosa fa?! In un momento così importante”. “Allucinante” risponde la seconda voce dopo diversi secondi di eloquente silenzio. È un colpo, solo un colpo sbagliato, e un punto perso in modo incredibilmente idiota. Però poco dopo Moutet perde il servizio e il set, e anche il terzo set; nella partita dopo Rinderknech si fa battere da Zizou Bergs e l’errore di Moutet diventa così l’innesco della capitolazione francese, che arrivava a questa Coppa Davis non come la favorita, ma comunque come una possibile mina vagante per la vittoria finale.
Ridurre la sconfitta di una partita a un singolo errore è spesso forzato, figuriamoci ridurre DUE sconfitte a un singolo colpo sbagliato. Eppure prima di quel colpo la Francia stava vincendo, e dopo quel colpo la Francia ha perso. Come se il senso di un errore del genere fosse molto più vasto di un singolo quindici - e avesse espanso le proprie tossine su tutto il doppio confronto. Come se, dopo quanto successo, non si potesse che perdere.
Naturalmente a livello mediatico il colpo di Moutet è diventato l’immagine della sconfitta francese: una figuraccia mondiale. Io ne sto scrivendo un articolo e il video è rimbalzato su tutti i social come una delle stupidaggini più assurde, incomprensibili, mai viste su un campo da tennis. Il sito ironico “Federazione Francese della sconfitta” lo definisce “un fallimento da Guinness dei primati”. L’Equipe ha definito la sconfitta “clamorosa” e “uno schiaffo in faccia”. Erano 28 anni che la Francia non perdeva dal Belgio in Davis e c’era la sensazione che senza grandi nomi la Coppa Davis fosse tutto sommato alla portata. La Spagna senza Alcaraz, l’Italia senza Sinner e una Germania con Zverev che ha letteralmente detto di giocare per fare un piacere ai suoi compagni.
Tutto comprensibile, anche se il Belgio forse è leggermente sottovalutato in queste valutazioni. Bergs e Collignon sono giocatori migliori della loro classifica, che in un contesto particolare come quello della Davis possono diventare ostici. In ogni caso, questa verrà ricordata come la sconfitta della pagliacciata di Corentin Moutet. «Mi sento un pagliaccio» ha commentato dopo, mentre sui social continuano a definirlo effettivamente “un pagliaccio”. In Francia il colpo di Moutet è diventato un caso nazionale, e il tema è quello di un ragazzino capriccioso e immaturo che provoca la sconfitta della sua squadra, mettendo in imbarazzo un paese intero.
Eppure non è la prima volta che Moutet esegue un colpo simile, che invece potremmo quasi definire un "suo" colpo. (E del resto su YouTube si potevano trovare video intitolati “Perché Moutet è il più grande pagliaccio del tennis mondiale”) ben prima di ieri. Contro Bublik - sua nemesi - ne aveva giocato uno perfettamente riuscito. Gli era riuscito anche contro Comesana, contro Carballes Baena - in una versione ancora più intricata - e altre volte in cui il pubblico si era genuflesso ai suoi piedi, e lui era stato celebrato in tutte le compilation di highlights.
Moutet è celebre per la sua sensibilità tecnica, per i suoi colpi fuori dall’ordinario. È un vero artista del gioco, di quelli capace di frequentare l’irregolarità in uno sport che premia in genere l’assoluta regolarità. Moutet si sente sul palcoscenico, ama sorprendere, sentire il frastuono dopo un suo colpo impossibile. Gli piace anche il conflitto: non gioca in isolamento, è un giocatore sensibile. Vuole sentirsi parte di un contesto, sentire gli umori del pubblico, farli entrare in campo, giocarci. È un tennista del caos, che vive per il caos e per portare i suoi avversari fuori dalla zona. È odiato dai tennisti che gli somigliano, come Bublik, che dopo averlo battuto a Parigi lo ha pure dissato: «Abita vicino, può tornarsene a casa in taxi»; Fognini, salutandolo a fine partita, passandogli una mano sulla spalla, gli ha detto «Sei un clown». Con Adrian Andreev è arrivato alle mani.
Contro Jarry, ad Acapulco, sapeva di avere il pubblico contro, e ha provato a inimicarselo fin dal primo punto. Ha generato il caos, in una partita che a tratti pareva scivolare verso la WWE. Sul 6-1 al tiebreak del secondo, con cinque matchpoint a disposizione, si è messo a discutere con l’arbitro su una palla dubbia, mentre il pubblico lo ricopriva di fischi, e lui pareva voler prolungare quel momento per sempre. Cito questa partita perché rappresenta bene il modo in cui Moutet vive sul campo da tennis. Ce ne sono state altre: immaginatelo a Napoli contro Nardi. Eccolo.
Moutet è abituato a giocare sul filo, tra il genio se vince e il ridicolo se perde. Quest’anno, durante la stagione sull’erba, ha provato un servizio dal basso dietro alla schiena. La palla è finita lunga e lui ha guardato sé stesso con vergogna subito dopo. Parlando al vuoto, o al suo avversario, ha detto “Sto perdendo la testa”. Contro Collignon Moutet era ispirato. Poco prima della catastrofe aveva servito due volte dal basso nello stesso game, facendo punto.
E allora perché Moutet ripete questi errori, vi chiederete voi. Ce lo dice lui dopo la partita, in un’intervista piena di contraddizioni. Moutet si è ovviamente scusato, mortificato del suo errore. Vorrebbe tornare indietro, rifare tutto da capo. Però in alcuni momenti si contraddice. Dice, per esempio: «Ho già fatto questo colpo in passato e la gente lo trovava incredibile. Quando lo sbaglio, ovviamente, dicono che sono un pagliaccio». Dice «mi pento profondamente», ma poi aggiunge: «Ma se l'avessi fatto, forse avrebbe cambiato tutto. Cerco di giocare in modo abbastanza spontaneo, e purtroppo è quello che è venuto spontaneo».
Moutet è alto un metro e 80, poco per gli standard del tennis contemporaneo, e a vederlo sembra anche un'altezza posticcia, l'ennesima illusione. Col suo fisico non può permettersi una velocità di palla al livello dei suoi avversari. Cerca di compensare questo gap giocando in modo poco convenzionale: cercando colpi che nessuno gioca, creando un tennis irregolare. Moutet gioca seguendo l’istinto, come dice in questa intervista. Durante la partita cerca di andare anche fuori da sé, perdere un po’ di controllo, seguire un’ispirazione del momento. Lo fa perché è utile ed efficace, non solo per narcisismo. Certo, il narcisismo c’è, l’esibizionismo pure, ma anche quelli fanno da carburante per il suo tennis, per lo stato mentale che nutre il suo tennis.
Può risultare antipatico, ovviamente, ma senza questi lati controversi, non esisterebbe Moutet. A differenza di Bublik, non può permettersi servizi a 230 km/h e rovesci a 160 km/h. Moutet è fatto così, non ci può fare niente: il genio e il clown, non si può scegliere, bisogna prendere tutto. È anche il modo in cui esprime sé stesso, l’unico modo che conosce per giocare a tennis, ed è ciò che lo ha portato a essere il 35esimo miglior essere umano a giocare a tennis al mondo nel 2025. Per lui - e per quelli come lui, visto che non è l’unico a praticare questo tennis istrionico - si tratta di trovare un equilibrio, tra quanto essere solidi e quanto essere creativi. I miglioramenti dell’ultimo anno sono sicuramente legati a una maggiore solidità, a quanto Moutet sta meglio nello scambio da fondo, mentalmente e tecnicamente. Però resta un giocatore che in certi momenti ha bisogno di frequentare altri territori.
In queste ore Moutet si sta prendendo gli insulti di un paese intero, e l’ironia di tutti quelli fuori da quel paese. Il suo colpo viene giudicato con un moralismo inevitabile e legittimo. Però per questo, personalmente, trovo questa storia, in un certo senso, come dire, drammatica. Moutet ha fatto quello che fa sempre, e gli è andata male. Stavolta però non ha pagato le conseguenze di un errore così irresponsabile solo per sé stesso, ma anche i suoi compagni, e tutti i tifosi francesi. In campo Moutet giocava per una squadra, non solo per sé stesso. Solo che un giocatore come lui, così istintivo, così creativo, non è riuscito a pensarci in quel momento, e ha fatto qualcosa di incredibilmente stupido - come a tutti noi, comunque, sarà capitato nella vita: fare qualcosa di incredibilmente stupido che a pensarci poco dopo ci sentiamo morire.
Non sto giustificando Moutet: è un errore terribile e inaccettabile; quello che voglio dire è che quell’errore - per quanto ci sembri un’assurdità - è stato in una certa misura inevitabile. Nel tennis si gioca da soli, e il modo in cui si sta in campo, le proprie scelte, la propria morale, sono sempre individuali, interiorizzate a un livello profondo. Quando giocano in Davis i tennisti premono un interruttore mentale per cambiare modalità, e pensare che giocano per una squadra e in rappresentanza di un paese, ma talvolta non fanno altro che essere sé stessi. Subito dopo quell’errore penoso, quando digrigna i denti sotto la barba, in una faccia sofferente, Moutet si rende conto di quello che è appena successo. Si rende conto che il Moutet artista, saltimbanco, pagliaccio, ne ha combinata una grossa; eppure sa che non è proprio lui, ma il suo doppio.