Ernesto Valverde, Jürgen Klopp, Mauricio Pochettino, Erik ten Hag. Tra i quattro allenatori arrivati alle semifinali di Champions League, l’uomo che sta dietro le quinte dello spettacolo messo in scena dall’Ajax a Madrid, Torino e Londra è il meno conosciuto. Attento a non mischiare la sua vita privata con quella professionale, di Ten Hag sappiamo davvero poco. Sposato e con tre figli, nato dall’amore tra un agente immobiliare e un’infermiera, è cresciuto a Haaksbergen, città natale che conta meno di 25mila abitanti nella regione del Twente, a est dell'Olanda, vicino al confine con la Germania. In una zona dove proliferavano le offerte di lavoro nel settore tessile, Erik ha scelto il calcio. A dispetto di una modesta carriera da calciatore (FC Twente, De Graafschap, RKC e FC Utrecht), oggi Ten Hag siede nell’Olimpo del calcio, diventando il quinto allenatore olandese a portare un club del suo paese tra i primi quattro d’Europa e costringendo anche i tifosi neutrali a tifare Ajax, che per molti - con un po’ di enfasi - rappresenta un buon motivo per cui continuiamo a seguire il calcio.
A chi, ancora con un pizzico di scetticismo, a dieci minuti dall'inizio della gara di andata contro il Tottenham gli ha chiesto quali fossero le speranze dell’Ajax, aveva risposto serafico: «Giochiamo contro un grande avversario ma se noi giochiamo come sappiamo, abbiamo grandi possibilità».
Delle 23 partite europee in cui ha allenato l’Ajax o l’Utrecht, Ten Hag ha perso solo due volte (Ajax – Real Madrid, lo scorso 13 febbraio, e Zenit – Utrecht, terminata 2-0 per i russi solo ai tempi supplementari, nell’edizione 2017/18 dell’Europa League) e quest’anno ha riportato l'Ajax in una semifinale di Champions League dopo 22 anni di attesa. L’Ajax è la terza squadra nella storia della Champions League ad aver vinto le gare in trasferta negli ottavi, nei quarti e in semifinale. Prima di Ten Hag e dei suoi ragazzi ci erano riusciti solo il Bayern nel 2012/13 e il Real Madrid nel 2017/18. Una cavalcata portata avanti da un outsider come non si vedeva dal 2004, ai tempi del Porto José Mourinho.
Eppure il suo arrivo all’Ajax è stato tutt’altro che pubblicizzato. Un anno e due mesi fa ten Hag diventava il nuovo allenatore del club di Amsterdam pur senza avere un curriculum ricco o un passato da calciatore nel club. Un’anomalia per un club come l’Ajax. I tifosi e la stampa lo hanno accolto con freddezza, anche perché spesso la gente di Amsterdam tratta con spocchia chi arriva da fuori il Randstad. Nei primi tempi si è parlato più del suo accento che delle sue idee di gioco.
Neanche il suo staff aveva alle spalle un curriculum che offriva garanzie. In panchina, come suo vice, c’è Alfred Schreuder, onesto mestierante nel centrocampo di RKC Waalwijk e NAC Breda per oltre un decennio, prima di riuscire a guadagnarsi la chiamata del Feyenoord, club nel quale è cresciuto ma con cui giocherà appena 36 partite in 4 stagioni. «Avvertivamo un clima pesante e le tante critiche», ha detto Schreuder al Volkskrant. «Era come se ci dicessero: eccoli, i due con origini tedesche ora vogliono insegnarci come giocare a calcio».
Del resto non era un buon momento in generale per l’Ajax. Dopo il fallimento dell’idea di affidare la panchina a Marcel Keizer (ex allenatore dello Jong Ajax) e il fondato rischio di vedere i propri calciatori migliori partire per altri lidi già a dicembre, lo scetticismo regnava sovrano. L’operazione che ha portato Ten Hag in panchina è stata in piena rottura con i principi della Fluwelen Revolutie, la cosiddetta Rivoluzione di Velluto, iniziata da Johan Cruijff nel 2010 per dare il suo imprinting alla struttura dirigenziale dell’Ajax e condivisa e portata avanti religiosamente da tutti i suoi fedelissimi.
La strada maestra indicata dall’indimenticato numero 14 prevedeva l’istituzione di un “Cuore tecnico” composto da ex giocatori ajacidi, intorno al quale doveva girare ogni aspetto relativo alla vita del club. L’organo collegiale avrebbe dovuto coordinare la gestione tecnica, incluso il mercato, e quella sportiva, sia per quanto riguarda la prima squadra sia per l’importantissimo settore giovanile, De Toekomst (Il Futuro, in olandese). La scelta di affidare la panchina a Frank de Boer (dal dicembre 2010 al giugno 2016) e Marcel Keizer (luglio 2017 – dicembre 2017) si spiega in questo senso, ma la parentesi caratterizzata dalla gestione di Peter Bosz, ex allenatore di Vitesse e Maccabi Tel Avivi capace di raggiungere, durante il suo breve incarico come allenatore dell’Ajax, la finale di Europa League con una squadra giovanissima e che si è dovuta arrendere solo davanti al Manchester United, ha cominciato a infrangere le certezze della dirigenza, segnata dalla scalata al potere di Marc Overmars e dal contemporaneo ben servito a Jonk, Bergkamp e chiunque abbia provato ad opporsi al suo operato.
Per guidare l’Ajax sul sentiero del cambiamento, per trasformare una squadra ricca di talenti in un club maturo e che possa dire la sua in Europa, Overmars ha cominciato ad alzare gli stipendi dei suoi calciatori, trattenendo i più importanti e garantendo il ritorno in Olanda di Dusan Tadic e Daley Blind, reduci da diverse stagioni in Premier League. Contestualmente, nella sua veste di “uomo solo al comando”, Overmars ha scelto un allenatore privo di quel senso di appartenenza al club voluto da Cruijff.
Go Ahead Eagles!
Appese le scarpette al chiodo, Ten Hag ha compiuto il suo apprendistato seguendo Fred Rutten e Steve McClaren al Twente e al PSV. La sua prima esperienza da allenatore è arrivata a Deventer, sulla panchina dei Go Ahead Eagles: con una squadra molto giovane (22,2 anni in media) e con alcuni calciatori di buone prospettive (tra tutti, Quincy Promes), Ten Hag centra il sesto posto e un’insperata promozione in Eredivisie dopo 17 anni in seconda categoria.
Il suo lavoro con i giovani non passa inosservato e Ten Hag comincia a farsi notare: Adrie Steenbergen, Team Manager ai Go Ahead Eagles, ha raccontato a un quotidiano locale quanto la cura per il dettaglio fosse importante: «Ten Hag non lascia nulla al caso. Organizza tutto, fino all’ultima virgola. Se chiedeva che l’autobus per Volendam arrivasse 2 minuti prima delle 7, era mio dovere assicurarmi che questo succedesse».
In quei giorni comincia a stringere amicizia con Marc Overmars, all’epoca detentore di alcune quote della società di Deventer e subito arriva la grande occasione: Pep Guardiola lo stima e vuole portarlo con sé al Bayern per metterlo alla guida della seconda squadra, che gioca nella Regionaliga bavarese. I due lavorano insieme meticolosamente sul campo da gioco e a Ten Hag viene affidata la crescita dei giovani del Bayern, da preparare all’esordio in prima squadra.
Sotto la sua guida si formano Pierre-Emile Hojbjerg (oggi al Southampton), Alessandro Schopf (oggi allo Schalke) e Julian Green (di proprietà dello Stoccarda ma in prestito al Greuther Fürth). Guardiola e Ten Hag sono figli dello stesso calcio, cresciuti entrambi nel nome di Crujiff. Dal tecnico catalano Ten Hag assorbe il metodo nella preparazione delle partite, portando sul campo di allenamento un’attenzione maniacale al dettaglio. Al suo ritorno in Olanda, quando diventa allenatore dell’Utrecht, le sessioni di allenamento sono interrotte costantemente, perché Ten Hag chiede ai suoi calciatori di ripetere più volte lo stesso movimento, alla ricerca di un sistema che si basa sulla sincronia e su una precisione da orchestra.
All’ombra della torre
Nelle due stagioni all’ombra della torre, dove è tornato 20 anni dopo una fugace esperienza da centrocampista (30 presenze e 2 goal nell’Eredivisie 1995/96), Erik Ten Hag conquista il quinto e il quarto posto, mettendo alle proprie spalle il Twente, il Vitesse o l'AZ, squadre con una disponibilità economica molto più alta. Le buone performance della sua squadra gli valgono anche il premio Rinus Michels, riservato al miglior allenatore del campionato olandese. Insieme al quinto posto in campionato la squadra ha conquistato anche la finale della KNVB Beker, la Coppa d’Olanda. Sul campo di allenamento Ten Hag ha conquistato tutti con modalità di allenamento intense e che ricordano quelle di Guardiola al Bayern.
Ten Hag lavora sulla mente dei calciatori, aiutandoli ad acquisire fiducia nei momenti meno facili e lavorando molto sulla capacità di mantenere alta la concentrazione. Rick Kruijs, suo assistente nei due anni e mezzo ad Utrecht, ricorda come Ten Hag abbia saputo lavorare anche sui giocatori meno coinvolti, ad esempio mantenendo alto il morale di Nacer Barazite, scivolato in panchina per gran parte della stagione. Quello sforzo è stato ripagato quando lo stesso Barazite ha segnato il rigore decisivo nei playoff contro l’AZ Alkmaar, mandando l’Utrecht in Europa League al termine del campionato 2016/17.
In campo, i Domstedelingen si presentavano con un 4-3-1-2, con Labyad nel ruolo di fantasista libero di svariare - che in Olanda definire atipico è un eufemismo. Ten Hag, già durante l’esperienza ad Utrecht, ha dimostrato una flessibilità tattica inesistente nei Paesi Bassi. In un’intervista ha riservato parole severe verso la scuola calcistica olandese, proprio nel suo periodo più basso, conciso con la mancata qualificazione ai Mondiali. «Siamo ossessionati dalla tradizione, dal gioco con le ali. Sono schemi superati. Oggi servono giocatori mentalmente rapidissimi, forti fisicamente, oltre che bravi tecnicamente. I programmi di sviluppo e crescita dei nostri giovani sono tutti uguali: si gioca con il 4231 o direttamente con il 433, senza minimamente tenere in considerazione le attitudini dei singoli giocatori. È un sistema stagnante, statico, che va bene fino a quando parliamo solo di ragazzi. Non è un caso se a livello giovanile l'Olanda regge fino all'Under 17. In Eredivisie ci sono troppi difensori che non sanno colpire di testa o centrocampisti offensivi incapaci di tirare in porta. Qualcosa non sta andando per il verso giusto e io lo voglio cambiare».
Transizioni fulminanti, pressione alta e gioco rapido col pallone. Il 5 novembre del 2017 l’Utrecht espugna l’Amsterdam ArenA giocando una partita di qualità e cinismo. La doppietta di Labyad serve a convincere la dirigenza ajacide ad accelerare i tempi per convincere Ten Hag a sostituire Marcel Keizer e proporre un’idea di gioco più spettacolare rispetto a quella vista durante la gestione di Frank de Boer ma, al contempo, più equilibrata rispetto alla gestione di Peter Bosz, per citare gli ultimi allenatori che hanno portato l’Ajax a vincere un trofeo in patria e a competere in Europa.
Anche se in piena rottura con la tradizione e andando contro lo scetticismo iniziale di stampa e tifosi, l’approccio dell’ex allenatore dell’Utrecht è risultato quello giusto. Ten Hag cura personalmente i rapporti con i calciatori, nella convinzione che una buona relazione sotto l’aspetto umano porti l’intero gruppo a funzionare meglio. La dirigenza ajacide ha creduto in lui e nel suo progetto anche dopo la sconfitta per 6-2 nel sentitissimo klassieker (la sfida delle sfide in Olanda) in casa del Feyenoord a fine gennaio.
Mentre il PSV scappava con 7 punti di vantaggio, il gruppo non si è disgregato e, anzi, sembra essersi unito ancora di più. Ten Hag rispetta i desideri dei calciatori. Un esempio: dopo aver manifestato la sua insofferenza nel giocare come difensore centrale, Frenkie de Jong non è mai più stato spostato dal suo ruolo di vertice basso del centrocampo. Allo stesso modo si spiega la scelta di lasciare in panchina due centravanti puri come Huntelaar e Dolberg, con Dusan Tadic che diventa un falso nove intorno al quale girano, come le api sul miele, Van de Beek, Ziyech e Neres. Una mossa che può sembrare persino banale, ma che ha finito per mandare in crisi squadre come il Real Madrid.
Dietro la grande campagna europea dell’Ajax c’è un uomo schivo e studioso, che a fari spenti ha lavorato per sviluppare e perfezionare il sistema dentro cui abbiamo conosciuto i talenti dell’Ajax. Dopo ogni partita ci troviamo ad esaltarci per un’individualità ogni volta diversa, al punto che dovremmo riconoscere che il contesto che le valorizza è la cosa più importante.
Anche questo perfezionismo è stato mutuato da Pep Guardiola, o quanto meno si può dire che accomuna le due figure. Subito dopo la gara vinta a Madrid in casa del Real, Ten Hag ha iniziato a studiare il Fortuna Sittard, prossimo avversario in un’Eredivisie che, a due turni dalla chiusura, vede ancora in lotta il PSV e l’Ajax, entrambe appaiate al primo posto con 80 punti. Il campionato olandese, complici l’ottima campagna europea dell’Ajax, ha visto modificare il proprio calendario in più di un’occasione. La KNVB (la Federcalcio olandese) ha deciso di rinviare alcune giornate di Eredivisie per permettere all’Ajax di preparare al meglio le sfide contro Real, Juventus e Tottenham. Una scelta che mira a tutelare una squadra patrimonio di un movimento in grande difficoltà, ma che ha lasciato diversi strascichi polemici, soprattutto in casa "Spurs".
Mauricio Pochettino ha accusato velatamente l'Ajax di trarre vantaggio: «Hanno avuto anche il lusso di prepararsi per una settimana solo per questa partita, considerando che il campionato olandese era fermo. Quindi arriveranno al massimo per andare avanti anche in Europa». Accuse che Ten Hag ha rimandato indietro.
Per la prima volta il tecnico sta sperimentando sulla propria pelle il peso della squadra favorita nella gara di ritorno, dopo aver dovuto recuperare risultati compromessi sia agli ottavi che ai quarti. Un altro momento per capire lo spessore di questo tecnico a cui di certo non manca l'ambizione.