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Tiziana Scalabrin
L'era di Serena Williams
06 set 2022
06 set 2022
Pochi giorni fa Serena Williams ha giocato la sua ultima partita dopo una carriera leggendaria.
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Tiziana Scalabrin
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Tim Clayton/Corbis via Getty Images
(foto) Tim Clayton/Corbis via Getty Images
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Serena Williams ha giocato la sua ultima partita da tennista venerdì sera, nel terzo turno degli US Open, nella sessione serale dell’Arthur Ashe Stadium. Dopo aver battuto Danka Kovinic e la testa di serie n.2 del torneo Anett Kontaveit, ha perso contro Ajla Tomljanovic per 5-7 7-6 1-6. È arrivata al torneo da n. 413 del mondo, a pochi giorni dal suo quarantunesimo compleanno, avendo giocato appena quattro partite nell’ultimo anno, di cui tre perse. Ha salutato il tennis in una partita bellissima, che ha lottato fino all’ultimo per non lasciare andare, dove ha servito 11 ace e giocato 49 vincenti - da fondocampo, al volo, smash. Il suo ultimo record è stato quello del numero di biglietti venduti agli US Open per una sola giornata, più di 72mila. Chi c’era racconta di non aver mai visto tanta gente a Flushing Meadows, di aver sentito tante voci, di aver respirato un’atmosfera del genere - allo stesso tempo quella di una festa, di un momento solenne, qualcosa che sai già che ricorderai per tutta la vita, che tu sia con la tua famiglia o che abbia deciso di bere tutti i drink che riesci a reggere nel tempo di una partita. I posti migliori sono arrivati a costare 48mila dollari, ma i peggiori anche 9mila. Tra Anna Wintour, Mike Tyson, Matrina Navratilova, Hugh Jackman, nel box Williams sua figlia Olympia scattava le foto con una macchinetta analogica usa e getta, come faceva suo padre Richard negli anni novanta.

Elsa/Getty Images

Tantissimi hanno seguito la sua ultima partita, da ogni parte del mondo, anche tanti che di solito non seguono il tennis. Non perché ci fosse qualcosa di eccezionale in quella partita di terzo turno, se non scoprire che il suo livello, dopo un anno fuori dal circuito, non è poi così lontano da quello delle migliori in uno slam. Tutti hanno guardato quella partita per avere un ricordo visivo, e condiviso, di una carriera che per tantissime persone ha cambiato tutto, e non solo nel tennis. Non ci sarà un’altra Serena Williams non per il numero delle sue vittorie, ma perché nessuno dopo di lei avrà bisogno di quelle vittorie per cambiare il mondo intorno a sé. A partire dall’amore che raccoglie ora, che viene da un tempo in cui Serena, la sua pelle, i suoi muscoli, le sue smorfie, le sue urla: a chi piaceva davvero?Nella storia di Serena occorre cercare il senso nel negativo, nei vuoti. Oggi gli US Open sembrano un torneo di esibizione celebrato in suo onore, ma le sue prime vittorie importanti, compreso il Serena slam del 2003, sono arrivate in stadi che sistematicamente tifavano per le sue avversarie, applaudivano le prime sbagliate, e fischiavano ogni suo gesto in campo. Oggi Iga Swiatek non trova il coraggio di chiederle una foto, ma altre numero uno prima di lei non le rivolgevano un saluto negli spogliatoi per disprezzo. Lottando per diventare la protagonista della propria storia, Serena è diventata la protagonista di un’intera era del tennis, i cui confini coprono quattro decenni e un numero non quantificabile di generazioni di giocatrici. La sua carriera è stata così estesa che, delle 27 giocatrici che hanno raggiunto la prima posizione WTA nell’era open, Serena è arrivata a giocare con tutte, tranne le prime quattro e l’ultima. Più che a generazioni, può aver senso pensare a delle epoche, in riferimento a quando Serena Williams è arrivata nel circuito, a quando l’ha dominato, e a quando ha iniziato gradualmente ad abbandonarlo. Per tutte è stata la rivale numero uno, anche se nessuna è stata, per lei, davvero una rivale. Tranne Venus, sua sorella: “la Venere Nera”, come la chiamava Clerici. La sorella maggiore più talentuosa ed elegante, adorata e invidiata, che Serena da piccola seguiva per i tornei come sparring partner, sperando che in caso di un forfait dell’ultimo minuto le avrebbero permesso di giocare. Che mentre lottava per aprirsi una strada nella vita con le sue sole forze doveva accettare che per Serena, la sorella minore per cui avrebbe dato la vita, la cosa più importante al mondo fosse diventare più brava di lei. Venus ha accompagnato Serena in questo torneo di addio giocando con lei un ultimo doppio: ancora vicina, dalla sua parte, ma in secondo piano, e senza dire una parola. Venerdì sera era sugli spalti, come è sempre stata per tutta la seconda parte della loro vita, sempre presente, testimone composta e discreta di tutto quello che sua sorella riversa sui campi da tennis, e che non la riguardava più. Dopo aver perso, di fronte al pubblico più carico di emozioni che abbia mai assistito a una partita di tennis, c’è stata una frase che Serena non riusciva a finire di pronunciare, per le lacrime e il nodo alla gola: «Non sarei stata Serena se non fosse stato per Venus». Oggi sono la prima e la seconda nella lista delle sportive più pagate al mondo, imprenditrici, gestiscono fondi di investimento, ma rimangono sempre sorelle. La strada dal sobborgo di Compton è stata infinitamente lunga, ma non se ne sono volute allontanare per dimenticarlo: nel legame strettissimo che hanno mantenuto nel tempo c’è anche quello con le proprie radici e la propria storia. Venus Williams è stata quello che Serena ha inseguito per tutta la prima parte della sua vita: prima di lei è arrivata nel tennis femminile per cambiarlo per sempre, vincendo slam, e diventando numero 1. A 42 anni, non si è ancora ritirata dal tennis; a tutte le domande ricevute in conferenza stampa in questo torneo ha risposto cambiando educatamente discorso, per non lasciare che ci fosse neanche l’ombra di una parola a togliere la luce al ritiro della sorella. Dopo Serena rimane la giocatrice in attività con il maggior numero di slam vinti, 7, e il record assoluto di apparizioni, 92. La rincorsa di Serena partiva da così lontano, nella loro infanzia, che quando l’ha raggiunta ormai era impossibile fermarsi: in carriera si sono incontrate più di trenta volte, di cui la metà in finali comprese quelle di tutti e quattro gli slam, ma il vantaggio di Venus ha retto solo fino al 2001, e da lì non c’è mai più stata una tennista per lei difficile da battere.

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Cynthia Lum/Getty Images

Per le prime avversarie è stato molto diverso affrontare Serena da quello che si può pensare guardando i social in questi giorni, pieni di post di omaggio e ringraziamento. Quando le sorelle Williams hanno iniziato a vincere erano corpi estranei che il circuito cercava di respingere. Giocatrici e media erano complici nel ridicolizzare le perline che indossavano sui capelli e la loro fisicità; le accusavano di assumere steroidi, truccare le partite, di non avere rispetto. «Se non vogliono avere amiche non è colpa nostra» disse Lindsay Davenport, secondo cui le altre tenniste avrebbero dovuto formare un fronte unito contro le Williams. Agli US Open del 2001, Martina Hingis affermò in conferenza stampa: «Essere nere le aiuta solo. Molte volte ottengono sponsor perché sono nere. E hanno molti vantaggi perché possono sempre dire: “È razzismo”», e rifiutò qualsiasi occasione di ritrattare, con l’intramontabile risposta dell’anti-politicamente corretto. È stato il tempo a cambiare la prospettiva, trasformando l’aver battuto Venus o Serena nel momento di maggiore lustro di molte carriere: che abbiano intuito o meno che fosse effettivamente razzismo, molte ex campionesse hanno per lo più selezionato come maggiore cura le parole, o scelto di rimanere in silenzio. Ma non era un problema individuale. Il mondo del tennis ha continuato per anni, parlando per bocca di McEnroe, di Tarpishev, di Tiriac e di tanti altri convinti di essere dalla parte della maggioranza e del giusto, a essere razzista, sessista, classista, a giudicare corpi e esperienze con pregiudizi e odio. Le Williams hanno risposto a voce, con le vittorie e con i titoli, ma soprattutto, sulla distanza, cambiando il loro sport e l’idea dell’aspetto che deve avere un campione, lasciando un segno così profondo nella cultura del proprio tempo da definire l’immaginario di un’epoca. Serena è leggendaria anche per l’oufit Puma giallo chiaro con cui ha vinto il suo primo slam nel 1999, e la prima tuta, sempre Puma, indossata agli US Open del 2002: nera, corta, con la zip. Nike l’ha accompagnata al ritiro con un vestito nero coperto di diamanti, dopo vent’anni in cui ha riscritto la storia dell’abbigliamento sportivo: la tuta asimmetrica con una gamba lunga e una corta degli Australian Open 2021, ispirata a Florence Griffith Joyner, è finita su tutti i giornali; mentre la catsuit del Roland Garros 2018 ebbe addirittura l’onore di essere messa al bando, come un capolavoro della letteratura d’altri tempi.

Tim Clayton/Corbis via Getty Images

Nel mezzo Serena ha giocato indossando stivali, gonne di jeans, tutu, vestiti rosa leopardati, blazer bianchi per Wimbledon, pom-pom nei capelli, e collezioni create per lei da Virgl Abloh. La distanza che separa come tutti questi outfit sono visti oggi dalle critiche con cui sono stati accolti quando li ha indossati è lo spazio che Serena Williams ha aperto, il cambiamento che ha saputo portare in una società che le era contro. Sono tantissime le sportive che devono qualcosa a Serena e alle sue lotte da più punti di vista: sportivo, estetico, mediatico. Coco Gauff, nata del 2004, ha pubblicato una foto di qualche anno fa, con il poster di Serena Williams in cameretta. “Serena, grazie. È per te che credo in questo sogno. L’impatto che hai avuto su di me va oltre qualsiasi parola che io possa trovare, e per questo ti dico solo grazie, grazie, grazie”. Ha 18 anni: quando ne aveva 15, nel 2019, nel suo esordio a Wimbledon ha battuto Venus Williams. L’estate successiva lei e Naomi Osaka sono state le portavoce nel tennis del movimento Black Lives Matter. Ora è numero 12 del mondo, e ha appena firmato una collezione di sneaker per New Balance, CG1. A volte questa sua forza comunicativa ha anche fatto ombra sul suo talento sportivo, che invece è semplicemente infinito. È difficile dare dei confini precisi al suo prime sportivo, ma è più facile dire che per tutte le giocatrici nate negli anni ‘80 e all’inizio dei ‘90 il livello richiesto per poter raggiungere l’apice è stato più alto che per qualsiasi generazione precedente o successiva. Non vuol dire che sapessero giocare un tennis migliore in termini assoluti: le sorelle Williams hanno imposto un’evoluzione atletica e fisica che va interpretata più come l’accelerazione di un processo naturale che non come un cambiamento artificiale. Più della potenza dei colpi, più dell’atletismo, più del volume delle urla, quello che non ha precedenti né confronti è l’incredibile intensità della presenza di Serena, la competizione, l’agonismo che ha messo in ogni partita, che fosse contro la numero 1 del mondo o contro delle tenniste fuori dalle prime cento, ai primi turni dei tornei come nelle finali. Ha aggiunto un livello al tennis, che è diventato semplicemente estremo: quello che è cresciuto più di tutto è stata la personalità, lo spettacolo, l’intrattenimento. Battere Serena è stato uno sport nello sport, una sfida trascendente indipendentemente dal torneo e dal turno, il colpo in più da aggiungere al curriculum. Non più perché lei fosse il convitato fuori posto che rovina la festa, ma perché al contrario non c’era più uno spazio nel tennis che non le appartenesse, su cui lei non potesse avere a piacimento l’ultima parola. Tutte le rivalità con Serena sono state delle non-rivalità: Sharapova, Azarenka, Kvitova, tutte le top 10 e le vincitrici slam di quegli anni sono tenniste che hanno inseguito il suo livello, e vinto tutto quello che potevano vincere senza riuscire mai davvero a esserle superiori. Il servizio di Serena Williams è il colpo che ha raggiunto il vertice più alto. Il tennis è stato dominato per più di un decennio da grandi servitrici, giocatrici molto alte in grado di avere un margine sulle partite grazie a questo colpo; il livello richiesto in risposta per rimanere nel circuito era alto, ma il servizio di Serena è rimasto innavicinabile. Di tutte le qualità straordinarie del suo gioco, il peso dei colpi da fondocampo, l’anticipo dei movimenti, la costruzione dei punti, la capacità di lottare - il servizio è l’apice. Non la velocità, ma la perfezione del movimento, a partire dal lancio di palla: Serena sembrava poter servire a occhi chiusi, e a farlo nei momenti più importanti.

Uno spartiacque è stata la gravidanza nel 2017. Vince gli Australian Open, incinta di due mesi: il suo parto è difficile, rimane via dalle competizioni per tanto tempo. Torna, raggiunge ancora quattro finali slam, a trentasette anni, e le perde. Inizia a sembrare una giocatrice che può perdere, e il tennis intorno a questo momento inizia a sfilacciarsi. C’è un calo di tensione, come se quindici anni di competizioni a quel livello di intensità fossero stati troppo logoranti per tutte. Per un insieme di ragioni, la scena si svuota: passano un paio d’anni di interregno, in cui fino alla pausa del 2020 la situazione è incerta. Retrospettivamente, quello che è accaduto è stato un ricambio generazionale dove lo spazio si è creato in alto e non in basso: non c’era più una progressione a ostacoli, un tennis da battere per arrivare ai vertici; così è diventato più facile salire ma anche riscendere. Le nuove campionesse, tenniste cresciute guardando Serena sin da bambine, piano piano l’hanno superata in classifica senza doverla affrontare davvero. Dal 2018, Serena non ha più vinto slam. Rincorrendo il record di Margaret Court, ha giocato tante finali, ma le ha perse. Una di queste è quella degli Us Open 2018, con Naomi Osaka. Una partita che difficile da dimenticare, per Serena che litiga con l’arbitro e riceve tre penalità, perdendo prima un punto e poi un game che alla fine le costa la partita; e soprattutto per come è finita: con una nuova campionessa slam, in lacrime, che si scusa per aver vinto. Osaka e sua sorella hanno iniziato a giocare a tennis perché da bambine guardavano Venus e Serena in tv: il padre, Leonard Francois, è stato il loro primo coach, ispirato da Richard Williams. In carriera ha vinto 73 titoli, una medaglia d’oro olimpica in singolare, 5 Finals. In doppio 16 slam, di cui due di misto, 23 titoli, 3 medaglie d’oro olimpiche. Una Fed Cup. 319 settimane in vetta al ranking WTA, di cui 168 consecutive. La prima volta era luglio del 2002, l’ultima maggio del 2017: in mezzo sono passati 14 anni. È l’atleta donna più pagata di tutti i tempi.Nessuno ha vinto 23 slam nell’era open: dei 24 di Margaret Court, 13 sono dell’era amatoriale, e tutti risalgono a un tempo in cui difficilmente gli atleti potevano viaggiare per ogni torneo. I Big Three rincorrono, ma Nadal è ancora a 22. Molti dei suoi record sono assoluti, senza rivali nel tennis né femminile né maschile. È la prima e unica nella storia del tennis ad aver vinto tre dei quattro slam almeno sei volte. Con il titolo vinto a Auckland nel 2020, è diventata la prima e unica nell’era Open ad aver vinto titoli in 4 diversi decenni, dai primi del 1999. Nel 2012 è diventata la prima ad aver vinto in uno stesso anno titoli nello slam, nei master, ai Giochi Olimpici e alle Finals.

Clive Brunskill/Getty Images

I record raccontano quanto sia stata dominante, ma non si avvicinano neanche a dare la misura dell’effettiva superiorità del suo tennis: dicono molto di più le dieci finali slam perse, e gli anni interi in cui è stata lontana dalle competizioni. Gli slam potevano essere trenta? Quaranta? “Mi piace pensare che ho attraversato momenti difficili nella mia vita di tennista professionista perché per le generazioni future potesse essere più facile”, scrive nell’annuncio del suo ritiro, uscito su Vogue a inizio agosto con bellissime foto della sua carriera, anche d’autore. Ma la fine, invece di essere una liberazione, è il momento più difficile di tutti. Non il saluto felice di Barty: lei non riesce neanche a parlarne, non riesce a pensarci senza piangere. Il ritiro è un favore doloroso che il corpo di Serena le chiede non per riposarsi, a quarant’anni, ma per poter avere una seconda gravidanza senza doversi allenare per vincere uno slam nel frattempo. Ne scrive, come fosse una terapia, trova il compromesso di sfidarsi un’ultima volta: sul campo da tennis, ma soprattutto con il mondo. Dice che se fosse stata un uomo, se non fosse stata costretta a scegliere tra dare il suo corpo al lavoro o alla famiglia, non si sarebbe ritirata. Quello che non dice è che nessuno gioca per sempre, che il tempo sarebbe passato. La sua è una verità che non può essere discussa: perché è oggettivamente vero che un uomo non deve scegliere, ma soprattutto perché è il significato che lei ha scelto di dare a questo momento. Il suo discorso fa sì che sia il suo ritiro a segnare la realtà, e non viceversa; che ci sia un’ultima sfida di cui può essere, ancora una volta, la protagonista. Serena poteva davvero continuare a giocare, a competere, e a vincere, e l’ha dimostrato nei primi turni di questo US Open. Il suo problema non è mai stato il tennis, ma trovare delle soluzioni per essere se stessa in un mondo che non era progettato per lei: per essere una sorella minore, per tirare forte, per il suo aspetto, per il suo modo di esprimere emozioni, per infinite altre cose, compreso per l’essere una donna che vuole avere successo nel proprio lavoro e avere una famiglia, e per un corpo che invecchia.

Hannah Peters/Getty Images

“Per me questa è l'essenza dell'essere Serena: aspettarsi il meglio da me stessa e dimostrare alle persone che si sbagliano. Ci sono state tante partite che ho vinto perché qualcosa mi ha fatto arrabbiare o qualcuno mi ha escluso. Questo mi ha mosso. Ho costruito una carriera incanalando rabbia e negatività e trasformandola in qualcosa di buono”.

Solo Serena Williams poteva scrivere di Serena Williams, anche se nel corso del tempo su di lei sono usciti centinaia di libri, film, documentari. Raccontare la sua storia è un esercizio in corso da più di vent’anni: lei e sua sorella Venus, lei e suoi record, lei e le sue rivali. Loro e il padre, come nel film King Richard, uscito lo scorso novembre. Ma al momento del suo ritiro, Serena è di nuovo più grande di qualsiasi storia si possa raccontare per lei. Nelle parole di tutti è la più grande di tutti i tempi, leggenda, icona. Per le tenniste più giovani in tabellone agli US Open, Serena aveva vinto degli slam prima ancora che loro nascessero. Per molti lei è il motivo per cui hanno iniziato a giocare. Per tutti, e anche da fuori, è difficile ricordare un tennis senza Serena Williams.

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