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Equivoci e malintesi
19 set 2016
Paulo Sousa ha avuto le idee più chiare di Spalletti, a volte basta questo.
(articolo)
11 min
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L’equivoco, secondo la definizione del De Mauro, è un qualcosa di ambiguo, che si può interpretare in modi diversi. La fluidità di cui si tanto si parla nel calcio contemporaneo si basa proprio sul concetto di equivoco: cioè, sul sottoporre agli avversari situazioni ambigue, interpretabili in maniera diversa a seconda dei momenti, e quindi più difficili da risolvere.

Una delle squadre che ha capito con maggiore chiarezza questo concetto è la Fiorentina di Paulo Sousa. Da più di una stagione i Viola costringono i propri avversari a difendere un modulo (il 3-4-2-1) e ad attaccarne un altro (il 4-4-1-1), prendendo i pregi da entrambi e minimizzandone i difetti. Non è un caso che il De Mauro ci tenga a sottolineare che nella logica aristotelica con equivoco si definiscono quelle cose che “hanno lo stesso nome, ma definizioni diverse”.

Quando attacca, la Fiorentina può sfruttare tutta l’ampiezza garantita dalla difesa a tre, con gli esterni di fascia che vanno in profondità sugli esterni, mentre i due trequartisti si piazzano negli half-spaces tra le linee. In questo modo, come con le scatole cinesi, Sousa mette un equivoco nell’equivoco, costringendo la difesa avversaria a prendere una scelta dolorosa: stringere sui trequartisti lasciando l’isolamento agli esterni (e ai tagli della punta) o coprire l’ampiezza lasciando spazio ai trequartisti?

Quando difende, invece, la Fiorentina sfrutta i pregi di due linee a quattro strette sia verticalmente che orizzontalmente al centro, cercando di coprire la zona più pericolosa di campo e di spingere gli avversari sugli esterni, dove il recupero palla, grazie all’aiuto naturale della linea del fallo laterale, è più agevole.

Chi per adesso aspira solamente all’utopia dell’equivoco, senza però arrivarci veramente, è la Roma di Spalletti. Il tecnico toscano ha più volte parlato della Fiorentina di Sousa come di un modello, ma per adesso in campo si è più che altro vista la definizione peggiorativa della parola equivoco, e cioè “un’interpretazione sbagliata, un malinteso”.

La Roma è arrivata a Firenze con i dubbi tattici legati alle sperimentazioni della settimana passata (il rombo di centrocampo provato nel secondo tempo con la Sampdoria, e nel primo contro il Viktoria Plzen), con Spalletti che alla fine è tornato al suo modulo rifugio: il 4-2-3-1.

La commedia degli equivoci

Al di là della disposizione in campo, il malinteso della Roma continuava nelle intenzioni dopo il fischio d’inizio. Dopo appena 24 secondi, infatti, la squadra di Spalletti era già in difficoltà nell’interpretare la costruzione bassa dei Viola, nonostante l’intenzione di voler andare a riprendersi il possesso in alto, con il “tridente” (Dzeko, Salah e Perotti) che andava sui tre centrali della Fiorentina lasciando Nainggolan in inferiorità numerica rispetto al doble pivote di Sousa, composto per l’occasione da Sanchez e Badelj.

La situazione dopo 24 secondi: in questo caso Tatarusanu, mai pienamente a suo agio nel gioco coi piedi, non si fida a tentare il passaggio per uno dei due mediani e va lungo.

In questo modo, i Viola avevano gioco facile nel far uscire la palla dalla difesa, recapitandola centralmente sui piedi di uno dei due mediani (di solito Sanchez, probabilmente lasciato libero dalla Roma per le sue minori capacità d’impostazione) che poteva così far avanzare il possesso con facilità. La squadra di Spalletti, così, era costretta a tornare dietro la linea della palla con tutti gli effettivi, sprecando preziose energie fisiche e mentali.

Ma la situazione si ripropone quasi identica solo pochi minuti dopo: Sanchez è libero di ricevere (viene indicato ad Astori dallo stesso Badelj, su cui è fisso Nainggolan) e solo uno stop sbagliato permetterà alla Roma di recuperare palla. È tutto il pressing della Roma a non essere organizzato: da notare, ad esempio, la passività di Salah che, contemporaneamente, lascia libero di ricevere Sanchez e di impostare Astori. Il tutto senza schermare la linea di passaggio per Milic.

A facilitare ulteriormente la costruzione della Fiorentina, c’era anche il fatto che la Roma non pressava uniformemente con tutti gli uomini di movimento (accompagnando il pressing alto con la salita dei difensori e dei mediani) ma si spaccava in 2 tronconi: da un lato del campo i quattro giocatori offensivi: Dzeko, Salah, Perotti e Nainggolan; dall’altro i sei difensivi: Florenzi, Manolas, Fazio e Peres, con De Rossi, Strootman a dir la verità leggermente staccati a coprire l’intera ampiezza. In questo modo i centrocampisti di Sousa non erano solo liberi di ricevere, ma potevano anche puntare la metà campo avversaria palla al piede, costringendo la difesa romanista a scappare indietro. Questo, unito all’atteggiamento passivo in fase difensiva (individuale e collettivo) della Roma, portava i giocatori viola abbastanza semplicemente fino al limite dell’area.

All’equivoco tattico, poi, si aggiunge quello tecnico. La Roma non è riuscita a tenere la Fiorentina nella propria metà campo anche a causa del disagio di alcuni giocatori. Quello atletico di De Rossi che rimaneva ancorato alla difesa lasciando metri e metri di spazio davanti a sé sfruttabile dagli avversari (solo un contrasto e tre intercetti vinti per lui, contro i rispettivi sette e cinque di Strootman, per DDR non si parla di quanto corre - per i dati della Lega è il giocatore con più Km percorsi - ma di come, cioè in che zone e con che velocità).

Ma c’è anche il dilemma tattico di Florenzi, troppo timido e attendista in fase di non possesso, in costantemente difficoltà contro un avversario non inarrestabile come Milic: dei 18 cross totali della Fiorentina, 17 sono arrivati dalla parte del terzino romano. E al dilemma di Florenzi va aggiunto quello di Bruno Peres, sempre più a disagio a giocare con il piede sinistro e a difendere con la linea laterale a sinistra…

Roma ancora in crisi di identità

E dire che la Fiorentina aveva inaspettatamente deciso di non puntare a colpire il difetto più conclamato della Roma, quello della costruzione bassa. Gli uomini di Sousa preferivano ripiegare sotto la linea della palla, portando Kalinic e Ilicic a schermo sui due mediani della Roma, lasciando quindi Manolas e Fazio liberi di impostare. In questo modo, la Fiorentina faceva iniziare l’azione ai due uomini tecnicamente meno preparati e, coprendo il centro, costringeva la Roma ad andare costantemente sugli esterni.

La compattezza centrale del 4-4-2 della Fiorentina in fase di non possesso. Kalinic e Ilicic schermano De Rossi e Strootman, costringendoli ad allargarsi. La Roma è costretta quindi ad avanzare centralmente con l’elemento meno tecnico della rosa, Manolas, mentre Nainggolan peggiora ulteriormente la situazione comprimendo lo spazio a sua disposizione invece di cercare di ricevere alle spalle della seconda linea viola.

All’interno del grande equivoco tecnico-tattico che è la Roma in questo momento, però, Spalletti ha trovato anche risorse inaspettate: proprio Fazio, infatti, finalmente titolare dopo le prestazioni sotto le aspettative di Vermaelen (fuori per motivi fisici, come c’è da aspettarsi considerando la sua storia di infortuni) e soprattutto Juan Jesus, si è dimostrato molto più a suo agio in impostazione rispetto a quelli che teoricamente dovrebbero essere i titolari, dimostrando anche un grande tempismo e senso della posizione. Il problema, per la Roma, è che queste risorse sono state sfruttate molto raramente: il centrale argentino ha potuto bucare la resistenza centrale della Fiorentina in poche occasioni, con il solo Perotti ad occupare di sua spontanea volontà gli half-spaces alle spalle del centrocampo viola.

Una delle pochissime volte in cui la Roma riesce a passare centralmente senza il lancio lungo. Fazio dimostra di avere una tecnica non banale, tagliando con un bel passaggio due linee avversarie e servendo Perotti ben posizionato tra le linee. Il problema, per i giallorossi, è che quella posizione dovrebbe essere occupata da Nainggolan.

Le più grosse occasioni della Roma, quindi, sono arrivate sfruttando quello che Spalletti chiama “lato cieco”, cioè sostanzialmente lo spazio alle spalle della difesa avversaria, attaccato con il giusto tempismo da Dzeko, servito eccezionalmente da Florenzi in un paio d’occasioni con palle molto difficili dalla trequarti.

Al di là degli ormai endemici errori sotto porta del bosniaco (particolarmente clamoroso quello al 37esimo del primo tempo, che vale da solo quasi la metà di tutta la produzione offensiva romanista – 0,5 di xG sugli 1,1 totali: poco meno delle probabilità di essere trasformato di un calcio di rigore, cioè, 0,78 xG), viene da chiedersi se Spalletti pensi davvero a questo tipo di palle come il modo più efficace di attaccare le difese avversarie, visto il coefficiente di difficoltà altissimo richiesto per servirle.

Non è un caso che Totti, l’elemento dal valore tecnico più alto in rosa al di là degli ovvi problemi fisici, sia ancora oggi l’unico in rosa in grado di servirle con continuità.

Sousa troppo prudente?

In questo contesto, perde gran parte del suo senso la scelta di Sousa di aspettare la Roma sotto la linea della palla e fare un inusuale gioco di transizioni, considerando anche che non sembra avere a disposizione i giocatori giusti per farlo (penso soprattutto a Borja Valero e Ilicic, non proprio a loro agio in spazi aperti contro avversari fisicamente dominanti come i difensori della Roma). Le poche volte che la Fiorentina ha aggredito alta, la squadra di Spalletti si è ritrovata in enorme difficoltà, perdendo il pallone quasi sempre o retrocedendo di molti metri per tornare da Szczesny (in quello che il tecnico toscano ha simpaticamente rinominato “sciagattone”).

Pur nella coerenza del progetto tattico, quindi, il tecnico portoghese ha deciso di affrontare la Roma nell’arena in cui si trova più a suo agio, quello del campo lungo. In questo modo, la Fiorentina ha abbandonato la via per creare pericoli che conosce meglio (cioè quella di occupare la metà campo avversario con il possesso) e, pur limitando l’endemica debolezza dei Viola in transizione negativa, si è ritrovata ad essere quasi sterile offensivamente. L’unica grande occasione creata, sciupata malamente da Kalinic (valeva da sola 0,5 di xG, sugli 0,8 totali, equivalente quindi a quella di Dzeko), è nata da un calcio d’angolo (difeso come spesso accade in maniera terribile dalla Roma, che lascia il centravanti avversario solo al centro dell’area piccola).

Quando la Fiorentina ha attaccato da Fiorentina, la Roma è stata costretta a ricorrere ai miracoli di Szczesny. Ilicic prende palla tra le linee totalmente libero, con la difesa della Roma bassissima; avanza attaccando l’half space, mandando in confusione Fazio e Peres su chi andare a marcarlo, fino allo scarico per Tello che contemporaneamente attacca la profondità; Tello entra in area e trova Milic.

Sulla scialba prestazione offensiva dei Viola hanno inciso anche le prestazioni individuali non indimenticabili dei cinque giocatori preposti ad attaccare (Milic, Borja Valero, Kalinic, Ilicic e Tello), che hanno perso i duelli personali con gli avversari e sbagliato scelte e gesti tecnici nelle zone più pericolose del campo. Dei 16 dribbling tentati dagli uomini di Sousa, per dire, solo 7 sono andati a buon fine.

La partita è stata lasciata nelle mani del caso dai due allenatori, e il caso ha deciso per la Fiorentina. Il tiro di Badelj aveva solo il 4% di possibilità di entrare in porta, mentre quello precedente di Nainggolan, respinto dal palo fuori dalla porta anziché dentro, diventa gol nel 6% dei casi (sempre per il calcolo degli Expected Goals, basato su migliaia e migliaia di tiri dello stesso tipo).

Quello che rimane, al di là delle solite e inutili polemiche sulle decisioni arbitrali, è la diversa interpretazione del concetto dell’equivoco. Quello di Sousa, che in una strana involuzione d’ambizione (qualcuno la chiamerebbe “italianizzazione”), ha adottato un piano di gioco volto più a limitare i danni che a creare pericoli, perdendo così quasi del tutto la propria identità. Ma anche e forse soprattutto quello di Spalletti che, equivocando le possibilità tecniche dei propri giocatori sembra mettere in campo una formazione non all’altezza delle potenzialità della rosa, senza dare l’impressione che nella sua testa ci sia un piano più chiaro e migliore di quello eseguito dai giocatori in campo.

Le poche volte che la Fiorentina ha pressato alto il primo possesso giallorosso, la Roma ha perso palla. In questo caso i due esterni, Tello e Borja Valero, si staccano dalle proprie posizioni e vanno diagonalmente sui centrali, in modo da togliergli la possibilità di andare sui terzini. L’unica possibilità di Fazio per far avanzare il pallone è rischiare di darla a Strootman, che è pressato alle spalle di Ilicic. Perderà il pallone dopo aver provato un rischiosissimo tunnel su Tello.

Da Bruno Peres a sinistra, a Nainggolan trequartista, da Paredes in panchina e De Rossi in campo, fino ad arrivare al dualismo tecnicamente asimmetrico tra Perotti e Dzeko, le incognite hanno ormai superato le certezze. Gli equivoci o sono per gli avversari o è meglio lasciarli alle commedie teatrali. In campo è meglio avere idee chiare e fiducia di arrivare al risultato.

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