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Foto di Ronald Cortes/Getty Images
NBA Daniele V. Morrone 20 marzo 2016 8'

Episodio Due: L’attacco degli Spurs

La seconda partita tra Warriors e Spurs ha proposto risultati profondamente diversi.

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È la seconda metà di Marzo, che per nel calendario cestistico degli Stati Uniti significa quel momento dell’anno in cui si parla solo del Torneo di basket collegiale, o per meglio dire di March Madness. Per fortuna della NBA, però, in soccorso a questa stagione è arrivata la doppia cavalcata storica di Warriors e Spurs, che con la seconda sfida diretta da fine gennaio promettono di riportare l’attenzione anche sui professionisti, sia pure per una notte.

 

Vista l’importanza della gara, non solo ai fini statistici, ma anche per provare a ricavare indicazioni in vista della tanto attesa finale di conference (incrociamo le dita), va detto che quando arrivano questi scontri l’unica vera speranza è che entrambe le squadre possano giocarsela al completo, con tutto il roster a disposizione. Purtroppo il calendario della stagione regolare è stato capriccioso e anche questa volta è stato lui a dettare legge, con gli Warriors che sono arrivati a San Antonio il giorno dopo aver giocato a Dallas e con alle spalle sei partite negli ultimi nove giorni. Certo, la ruota gira e capita a tutte di avere una striscia di partite così ravvicinate, ma la possibile stanchezza unita agli infortuni di tre pedine fondamentali come Andre Iguodala, Andrew Bogut e Festus Ezeli ci hanno privato ancora una volta di una partita a ranghi completi.

 

Assenze

Per come sono arrivati alla sfida, l’importanza della gara per gli Warriors si poteva trovare più che altro in termini statistici (la rincorsa verso il record assoluto di vittorie dei Bulls ‘96) e mentali (dimostrare di poter giocare comunque alla pari contro i rivali diretti per il titolo), che in termini di possibili aggiustamenti futuri nei playoff: gli Warriors senza Bogut e soprattutto Igoudala non sono gli Warriors che avremo nei PO. Anche Kerr ha creduto talmente tanto in questa cosa da uscirsene nel pre-partita con la frase: «Se avessi le palle farei stare tutti in panchina». Un’allusione a quanto fece a suo tempo Popovich con tutti i big tenuti a riposo nello scontro in back to back a Miami nel novembre 2012. Ovviamente si è trattato di una battuta, ma ha fatto capire come sono arrivati i Warriors a giocarsi la partita.

 

Ben diverso invece è il modo con cui Popovich l’ha dovuta preparare: dopo l’umiliante sconfitta nella prima gara, era fondamentale giocarsi almeno qualcuna delle carte a disposizione per fermare Steph e soci. Non tanto per il record delle 44 vittorie consecutive in casa (terza striscia più lunga di sempre), quanto per far capire alla propria squadra che i primi in classifica non sono invincibili e che quando conta veramente gli Spurs potranno giocarsela quasi alla pari. Popovich ha quindi impostato la gara giocando sul quintetto forzato dei Warriors (costretti dagli infortuni a giocare con un quintetto piccolo con Brandon Rush titolare e Draymond Green da 5), facendo partire dall’inizio Boris Diaw titolare pur avendo Duncan disponibile (per rendere l’idea dell’importanza della cosa: questa è la terza partita in carriera in cui Duncan disponibile parte dalla panchina). Quest’aggiustamento non ha modificato il quintetto rispetto alla prima gara (in cui Duncan era assente), ma è servito per sperimentare un cambio radicale nella strategia difensiva: Pop ha riproposto un quintetto sulla carta mobile quanto quello dei Warriors, cambiando in modo veloce sui pick and roll avversari e soprattutto con i due lunghi in grado di tenere botta anche fuori dalla linea dei tre punti, ovverosia nella Zona Rossa Steph.

 

I cambi sistematici però sono stati effettuati anche sui blocchi lontani dalla palla (per evitare i tagli in backdoor che li hanno uccisi nella prima sfida), tenendo le mani sempre in movimento per togliere visione e linee di passaggio al portatore di palla. Questi tre accorgimenti tattici hanno portato un cambiamento radicale rispetto alla prima gara in cui l’assenza di cambi sui pick and roll aveva permesso agli Warriors di avere sempre buoni tiri dopo un minimo di circolazione di palla. Per riuscirci però Popovich ha dovuto gettare la maschera e togliere Parker come primo marcatore su Curry (anche se poi se lo è potuto permettere nel finale, pur in condizioni particolari); in barba alle teorie che vedono un Popovich attento a coprire tutte le strategie come il miglior giocatore di poker in circolazione, questa volta la carta l’ha giocata subito.

 

Aggiustamenti

In attacco gli Spurs hanno continuato sul percorso della prima gara chiedendo ai due lunghi di andare nel pitturato per giocarsi il pallone spalle a canestro il maggior numero di volte possibili. Strategia elementare contro una squadra priva di Iguodala e quindi strutturalmente incapace di aiutare sull’uomo in post o negarne del tutto la ricezione, che è uno dei segreti della difesa di GSW. La stanchezza poi ha dato una bella mano visto che lo scontro tra LaMarcus Aldridge e Green — dominato difensivamente dal secondo nella prima gara — ha visto il primo come assoluto protagonista: Aldridge ha giocato con convinzione e fisicità sul 23 dei Warriors e ha vinto l’accoppiamento.

 

 

Non che l’altro lungo sia rimasto a guardare, visto che Boris Diaw a sua volta ha portato Harrison Barnes spalle a canestro per sfruttare il vantaggio di chili (6/7 dal campo e +31.7 di Net Rating alla fine, il migliore dei suoi). Gli Spurs hanno iniziato le azioni cercando un semplice movimento del pallone fuori-dentro-fuori con il lungo più vicino al portatore a cui poi veniva chiesto di provare ad andare spalle a canestro e scaricare se dopo il secondo palleggio il risultato non era quello sperato.

 

Post up

 

La strategia degli Spurs ha portato ad un controllo totale dei ritmi della partita, unita all’evidente stanchezza dei Warriors incapaci di correre (solo 11 punti in contropiede) e soprattutto poco lucidi nell’attacco a metà campo (con Curry che ha provato e sbagliato la prima tripla dopo più di due minuti di gioco) e nello sfruttare le tante perse degli Spurs (ben 8 nel primo quarto, 17 alla fine). San Antonio è stata anche piuttosto fortunata nel non essere punita dai tiri non contestati che con tanta fatica i Warriors avevano creato (18/42 nelle conclusioni senza un avversario entro un metro e mezzo).

 

Anche da questi dati si può capire perché gli Warriors sono veramente il boss finale della NBA: nonostante i tanti errori di concetto in attacco, i tiri degli Splash Brothers finiti tutti sul ferro (2/19 da tre a fine partita) e l’entrata della second unit degli Spurs, che solitamente cambia le partite in meglio per i nero-argento, il primo quarto si era comunque concluso in vantaggio per Golden State. Certo, avevano fatto registrare il record negativo stagionale di punti nel primo quarto chiudendo a 18, ma erano comunque in vantaggio, con punti strappati con i denti da Green e Shaun Livingston e Kerr a non mollare neanche un secondo dalla panchina, finendo anche per prendersi un tecnico “alla Pop” per mantenere alta la tensione dei suoi.

 

T Kerr

 

I padroni di casa, però, dal punto di vista tattico hanno avuto due vantaggi troppo grandi. Il primo è il già detto vantaggio portato dall’accoppiamento tra Aldridge e Green, che con l’andare della partita si è fatto sempre più evidente e poi decisivo nei possessi finali. Non che gli Warriors abbiano subito passivamente Aldridge, anzi: la difesa di squadra ha tenuto bene nonostante le assenze e la fatica, costringendo l’avversario a lottare per trovare punti, specialmente in post. Il vantaggio più evidente è stato però nei rimbalzi offensivi, aspetto sotto il quale, aiutati anche dalle lunghe chele di Kawhi Leonard (ben 10 opportunità di rimbalzo offensivo nella gara), gli Spurs non hanno avuto problemi a dominare (finiranno la partita con 14 rimbalzi offensivi) e a procurarsi quindi seconde chance che in una gara dal punteggio basso valgono oro (24 a 12).

 

Canestro Patty

Come vale oro avere in uscita dalla panchina giocatori in grado di segnare i tiri pesanti come Manu Ginobili o Patty Mills

 

Oltre a fare la differenza sotto canestro, Aldridge ha funzionato benissimo anche in difesa nell’uscire fuori dalla linea da tre e muovere i piedi contro Curry, come chiesto da Pop. Anche perché in difesa il vero vantaggio tattico lo hanno dato le braccia lunghe di Danny Green.

 

Stoppata Green 2

 

Curry ha sbagliato tiri che normalmente mette, ma va detto che la difesa di Green (con aiuto del lungo sempre a portata) lo mette di fronte al dilemma di tirare con l’uomo in faccia in una gara in cui non gli riesce nulla o forzare sul cambio e superare il marcatore per fiondarsi a canestro. La seconda opzione è stata quella scelta in modo non troppo convinto dal 30 ed ha rappresentato una vittoria del piano tattico di Popovich: a Curry è stato tolto quanto più possibile il tiro da tre (e quando libero li ha comunque sbagliati) ed era troppo stanco per attaccare continuamente il canestro, finendo per accontentarsi di passare la palla a Green prima ancora di terminare la penetrazione e non facendo pagare l’accoppiamento finale con Tony Parker, che nella prima partita era stato tolto dal campo perché ingiocabile.

 

Difesa Spurs

 

Con un Klay Thompson incapace anche lui di mettere la palla nel canestro (una sera dopo averne segnati 39 a Dallas!), è veramente un lusso per i Warriors il fatto che abbiano chiuso il primo tempo sotto di 6 nonostante il 5/19 combinato degli Splash Brothers. Un lusso che però nasce da un’ottima difesa per chiudere il quarto (cosa che si ripeterà per tutta la partita), spezzettando la trama degli Spurs e mettendo le mani su ogni linea di passaggio, costringendo i nero-argento a ben più penetrazioni a difesa schierata di quante avrebbero voluto e soprattutto mantenendo alto il livello di autostima. Se pur frustrati per l’attacco inceppato, mai gli Warriors sono sembrati realmente dominati in difesa.

 

Secondo tempo

Questa sicurezza di essere comunque in partita nel punteggio ha permesso alla squadra di compiere un salto di qualità nel terzo quarto e rimettersi in pari dal punto di vista offensivo. Per la prima volta nella gara, infatti, quei tiri che l’ottima difesa degli Spurs era stata costretta a concedere contro il miglior attacco della lega sono entrati, con gli Warriors che quindi hanno chiuso con la sensazione che la gara si sarebbe risolta negli ultimi possessi.

 

Tripla Curry

Questo è l’unico canestro “alla Steph” che Curry ha messo in tutta la partita, non è un caso che sia arrivato nel terzo quarto.

 

L’ultimo quarto ha mantenuto costanti le distanze, ma fatto regredire al livello del primo tempo il numero di canestri dei Warriors. Gli errori anche non contestati di tutti i giocatori di Golden State trovati in seguito al raddoppio sistematico su Curry (da Thompson a Speights), rispetto ai canestri messi a segno da Diaw e Aldridge, sono quelli che hanno fatto la differenza in una gara conclusasi con il punteggio di 87-79, con il minimo stagionale di punti e Offensive Rating (87.4) per i campioni in carica.

 

Con tutte le attenuanti del caso, una sconfitta degli Warriors per mano degli Spurs rimane una cosa importantissima per il futuro della stagione, perché i rivali più accreditati hanno dimostrato di poter gestire il ritmo della gara, cosa che in ottica playoff sarà fondamentale. Gli aggiustamenti in difesa rappresentano un enorme passo in avanti rispetto alla prima partita e, se pur da rivedere quando gli Warriors saranno al completo, sono un punto di partenza perfetto per impostare l’eventuale serie in Finale di Conference. Popovich ha cercato fortemente una vittoria per dimostrare ai suoi ragazzi che i più forti non sono imbattibili e anche che le mura di casa possono verosimilmente rimanere inviolate tutta la stagione. Un doppio successo anche dal punto di vista psicologico per quando le partite saranno da dentro o fuori.

 

Per Kerr invece, pur nella sconfitta, c’è l’ottimo segnale di una squadra che in emergenza infortuni, stanca fisicamente e in chiara giornata no al tiro è rimasta comunque a due possessi di svantaggio fino all’ultimo. Dal punto di vista tattico, questa gara può servire come base di partenza per trovare soluzioni offensive ai continui cambi e alle trappole su Curry, che sembrano veramente il punto fondamentale su cui girerà la serie tra queste due squadre. E siamo ansiosi di vedere se per la terza puntata già si vedrà il lavoro di Kerr a riguardo o se il coach aspetterà fino allo scontro nei Playoff. Forse la vera finale per il titolo.

 

 

Tags : golden state warriorsgregg popovichsan antonio spurssplash brotherssteph curry

Daniele V. Morrone, nato a Roma nel 1987. Laureando in economia, amante del "calcio di posizione" di Cruijff e Guardiola, segue con attenzione l'evoluzione del calcio asiatico.

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