
Da quando Federico Chiesa è arrivato nel calcio professionistico è stato impossibile non confrontarlo con un giocatore del passato che gli somigliava molto: suo padre.
Non c’è niente di particolarmente sorprendente. Non esiste forse epoca della storia del calcio con più figli di giocatori che diventano a loro volta giocatori, come se per giocare a certi livelli la prima cosa che occorre sia un buon corredo genetico in eredità. E il confronto tra padre e figlio è sempre automatico. Ci si può salvare se si gioca in ruoli troppo diversi, come Marcus e Lilian Thuram; se si hanno dei corpi differenti, che non permettono appunto confronti, come Justin e Patrick Kluivert. Paragonare Federico Chiesa a suo padre, invece, era automatico: stesso ruolo, stesso naso da Piero della Francesca, stesse labbra carnose.
In un certo senso l’arrivo di Federico rispondeva a una di quelle domande impossibili: come giocherebbe Enrico Chiesa nel calcio di oggi?
Il confronto tra Federico ed Enrico Chiesa si porta dietro dei conflitti più vasti: tra il calcio degli anni ’90 e quello contemporaneo. Cioè tra il periodo storico calcistico maggiormente mitizzato e quello meno felice; tra la fase storica in cui il calcio italiano ha toccato il suo apice - più o meno reale - e questo in cui sta toccando forse il suo punto più basso - quello in cui la Nazionale non si è qualificata per due Mondiali di seguito.
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