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Francesco Deriu
Cosa deve fare l'Inter con Dzeko
22 giu 2022
22 giu 2022
La distanza tra i suoi pregi e i suoi difetti è diventata ancora più ampia.
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Francesco Deriu
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“Dzeko è la dimostrazione che si possono segnare 30 goal e farne segnare 30. Una volta lo chiamai bottiglione d’acqua minerale da 2 litri e lui se la prese un po’ dopo che De Rossi gli spiegò cosa volevo dire.”


Luciano Spalletti


 

Edin Dzeko è un giocatore controintuitivo: è alto un metro e novantacinque per 85 kg ma non è di certo un centravanti devastante e non è particolarmente forte di testa; è universalmente considerato un regista offensivo ma non ha mai toccato la doppia cifra di assist in campionato durante la sua lunga carriera; e nonostante sia ambidestro con una tecnica che molti attaccanti gli invidiano è capace spesso di spedire sul fondo occasioni che sembravano già convertite.


 

In questa continua alternanza tra eleganza e goffaggine, essenzialità e ricercatezza, si è sviluppata anche la sua 16esima stagione da professionista. E con un chilometraggio del genere sulle spalle è inevitabile chiedersi per quanto tempo un giocatore del genere avrà ancora un posto di rilievo nel calcio italiano di alto livello.


 

Il contributo lontano dalla porta


Una costante della carriera di Dzeko è il suo contributo in fase di non possesso. In quello aspetto intangibile del gioco, cioè, che raramente finisce nelle statistiche, che riguarda ciò che succede lontano dalla palla. In altre parole, nella capacità di generare spazi. Dzeko domina questo aspetto del gioco a un livello tale da aver convinto anche Simone Inzaghi - che fino a qualche mese prima allenava un centravanti dalle caratteristiche opposte come Immobile - com’era successo a Fonseca prima di lui.


 

Secondo i dati di fbref/StatsBomb nell’ultimo anno Dzeko si trova al 89° percentile per quanto riguarda i passaggi progressivi ricevuti e la mappa mostra come abbia spostato la sua zona d’influenza ancora più indietro rispetto alla stagione precedente.


 


 

Avendo aggiunto un ulteriore snodo per la risalita del pallone l’Inter è diventata molto più difficile da leggere per gli avversari: se fino all’anno scorso si poteva schermare Brozovic e in qualche modo accettare che fosse De Vrij a gestire il primo possesso, l’aggiunta di Dzeko ha reso il compito degli allenatori avversari ancora più arduo. Secondo i dati di WhoScored/Opta la metrica che misura il dominio territoriale della squadra (Field Tilt - la quota di possesso della squadra considerando solo i tocchi o i passaggi nel terzo offensivo) è passata dal 53.1% della passata stagione al 60.9% di quella attuale. In questo contesto, Dzeko ha registrato i suoi migliori dati degli ultimi cinque anni per quanto riguarda passaggi tentati, % di completamento, distanza di passaggi completati e soprattutto distanza di passaggi progressivi completati. Un cambio di panorama notevole in una squadra che fino alla stagione scorsa utilizzava le progressioni delle punte per allungare gli avversari.


 


 

Avere un giocatore di questo tipo non influenza solamente la primissima fase di uscita dalla pressione avversaria ma anche ciò che succede dal centrocampo in su. Per esempio, quando Dzeko entra in possesso intorno al cerchio di centrocampo spostando la gravità della pressione avversaria prima di liberarsi del pallone in favore del compagno che attacca frontalmente.


 

Questo tipo di ricezioni - o meglio la mancanza di esse - sono state uno dei principali problemi di Hakan Calhanoglu durante la sua esperienza milanista ed aver ritrovato un aspetto fondamentale di ciò che l’aveva portato ad esplodere al Bayer ha avuto un impatto positivo sia sulle prestazioni che sulle sue statistiche. Col bosniaco ad abbassarsi sul suo lato e a dettare tempi e spazi di inserimento, Cahlanoglu ha potuto ricevere più spesso in corsa partendo da posizioni più arretrate, da cui ha potuto inserirsi meglio nel flusso dell’azione.


 

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Far uscire il pallone sul lato forte non è l’unico modo utilizzato per smantellare l’organizzazione difensiva avversaria: quando si allarga verso sinistra - il suo lato preferito - apre più spazio sul lato opposto, dove può pescare un compagno con una delle specialità della casa ovvero il cambio gioco. In questa stagione ne esegue 1.16 a partita, il dato più alto degli ultimi cinque anni (87° percentile tra i centravanti) secondo fbref/StatsBomb. Dall'altra parte del campo Dzeko trova spesso Nicolò Barella che è perfettamente a suo agio nel ricevere ed attaccare un blocco difensivo sbilanciato. Barella, pur in una stagione poco appariscente, ha sfondato per la prima volta in carriera la doppia cifra in termini di assist, tutti arrivati su azione manovrata.


 


 

Era già successo a Mkhitaryan e Veretout durante la loro convivenza a Roma, anche loro giocatori che amano aggredire il campo fronte alla porta che si sposano perfettamente con le caratteristiche di Dzeko. Questa capacità di utilizzare il suo enorme bagaglio di letture lontano dalla porta per fabbricare possessi offensivi in modo quasi autosufficiente è un lato della medaglia. L'altra, qualcuno starà già ricordando, è il suo difficile rapporto con le occasioni da gol. In questo difficile equilibrio, però, il gioco sembra valere la candela. L’Inter, infatti, è l’unica squadra del campionato fra le prime 6 a non aver peggiorato rispetto alla scorsa stagione la sua produzione di non-penalty expected goals per possesso, e questo nonostante abbia perso un giocatore dominante come Lukaku.


 

Il rapporto con le occasioni da gol


Il rapporto con i gol è un tema ricorrente quando si parla del rendimento di Dzeko. A livello statistico la voce che misura il rapporto fra la possibilità di un tiro di essere convertito in goal (xG) e l’effettivo numero di goal segnati è uno dei valori più utilizzati per fare la tara al valore di un centravanti. Quando questo rapporto, denominato Goal Efficiency (GE), è pari a 1.00 in linea di massima un giocatore ha convertito in gol il numero di tiri che ci si aspettava in base al modello di riferimento; quando è sopra ha segnato più di quanto atteso e quando è sotto meno.


 

La stagione 2021/22 è stata la migliore degli ultimi anni anche sotto questo aspetto: con Lautaro Martìnez a caricarsi una parte delle esigenze realizzative della squadra, Dzeko ha potuto agire da secondo violino e questo ha giovato al dato dell’efficienza, che comunque come da tradizione è finita sotto le aspettative. D'altra parte persino in una delle sue migliori stagioni realizzative di sempre, quella dei 29 goal con la maglia della Roma, in campionato la sua GE si era fermata a 0.87.


 


 

Nonostante in termini complessivi l’efficienza realizzativa sia la migliore degli ultimi anni, in questa fase della carriera Dzeko fa più fatica ad essere autosufficiente nel generare occasioni per se stesso. Un problema non da poco per l'Inter che, al contrario di quanto successo con Lukaku (al centro delle idee della dirigenza nerazzurra che lavora per riportarlo ad Appiano), quest'anno ha pagato il momento in cui entrambi i propri attaccanti sono andati a vuoto. Se prendiamo solo la seconda parte di stagione, quella in cui l'Inter ha iniziato a perdere terreno, la GE di Dzeko è scesa ampiamente sotto la media, a 0.65.


 

Volendo pescare dal frasario di Spalletti, Dzeko è un meraviglioso generatore di presupposti ma - come ricordato dallo stesso Dzeko in un’intervista per Amazon Prime Video - per produrre la sua miglior stagione a livello realizzativo è stato necessario (oltre ad avere il prototipo del partner perfetto come Salah) lavorare tanto sui movimenti che lo portavano ad accontentarsi delle giocate lontano dalla porta.


 

In questo senso, se è vero che chi attacca dalla cosiddetta seconda linea, come per l'appunto i centrocampisti, sembra sempre beneficiare molto del lavoro oscuro di Dzeko, diverso è il discorso per i partner d'attacco per cui sembra più difficile incastrarsi con le caratteristiche del centravanti bosniaco (potrei come non potrei parlare di te, Patrik Schick). All'inizio della scorsa stagione c'era grande curiosità di capire come avrebbe funzionato l’integrazione tra lui e Lautaro, un attaccante a cui piace venire incontro sulla trequarti occupando zone profonde del terzo offensivo. Nonostante per certi movimenti potessero sembrare simili, insomma, entrambi hanno svolto un buon lavoro in termini di convivenza scegliendo bene quali zone di campo occupare. D'altro canto, però, Lautaro e Dzeko hanno lavorato poco insieme per trovare soluzioni nella zona centrale del fronte offensivo: uno solo dei goal di Lautaro è stato direttamente assistito da Dzeko mentre l’argentino ha servito il compagno di reparto in appena 2 occasioni (non convertite).


Diventando il primo punto di riferimento da un punto di vista realizzativo, Lautaro è sembrato soffrire queste nuove responsabilità attraversando fasi di digiuno che hanno pesato come macigni sulla corsa scudetto. Nelle 7 partite fra il derby di ritorno e la partita con la Fiorentina, Lautaro ha segnato una sola volta (tripletta contro la Salernitana) mentre Dzeko al di fuori di una doppietta - sempre contro la Salernitana - ha messo a segno un solo goal a fronte di 2.6 xG. L’Inter in quel periodo ha raccolto la media di 1 punto a partita.


 

Il problema sembra essere stato individuato anche dalla dirigenza dell’Inter che in questo periodo ha concentrato i propri sforzi sul rientro di Lukaku ovvero uno dei giocatori più autosufficienti degli ultimi anni di Serie A in termini di generazione di occasioni. Il suo eventuale rientro a Milano dovrebbe dare ad Inzaghi più soluzioni in fase di finalizzazione oltre all’onere di trovare un punto d’incontro fra la squadra più fluida del campionato e quella meno efficace nella conversione delle occasioni nel momento decisivo della stagione.


 

Dzeko ha sempre fatto della particolarità la sua cifra stilistica ma negli ultimi anni ha avuto sempre maggiore bisogno di qualcuno che compensasse queste caratteristiche per rimanere rilevante. I benefici che un giocatore come lui dà a tutti quelli che gli ruotano intorno gli hanno allungato la carriera ma hanno un prezzo da pagare sempre più evidente agli occhi di chi guarda.


 

Su questo stesso equilibrio, che balla tra una giocata che trasuda eleganza e una che finisce nella compilation delle peggiori cadute, si giocherà anche l'ultima coda della sua carriera. Finché non si romperà sarà impossibile stabilire quando verrà scritto l’ultimo capitolo.


 

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