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La campionessa di cui non sentirete parlare oggi
14 lug 2025
Elisa Longo Borghini è tornata a vincere il Giro d'Italia Women.
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11 min
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IMAGO / ABACAPRESS
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Durante l’ultimo arrivo in salita del Giro d’Italia femminile 2025, un drone riprende un ragazzino che corre. Non è facilissimo capire cosa stia succedendo, per chi non ha mai visto una gara di ciclismo: ci sono tutto sommato poche persone, una di queste si sta dannando l’anima spingendo sui pedali, e un’altra la sta incitando a gran voce urlando: «Vai zia!».

È un video straniante, come solo certi arrivi in montagna sanno essere. Il Monte Nerone, sull’Appennino umbro-marchigiano, è una salita quasi trascurata dal ciclismo professionistico: l’unico precedente passaggio quassù fu durante il Giro d’Italia maschile del 2009, l’ultima edizione senza le Alpi nell’ultima settimana.

L’ultimo tornante della salita è una lunga curva verso sinistra. Sembra infinito per la ciclista, ma il ragazzino vola correndo sull’erba incitando la zia. Sua zia è la campionessa in carica e incredibilmente sta ribaltando la corsa: un giorno dopo avremo la certezza che una ciclista italiana, Elisa Longo Borghini, ha vinto il suo secondo Giro d’Italia consecutivo. E se pensate che sia cosa di poco conto, sappiate che l’ultimo italiano ad aver vinto il Giro maschile per due volte consecutive fu Franco Balmamion tra 1962 e 1963.

In un momento storico in cui il ciclismo italiano maschile fatica a produrre corridori da corse a tappe, e campioni in generale, tra le donne si parla sempre troppo poco di una 33enne ossolana dalle qualità fuori scala. Se Longo Borghini ha nuovamente vinto la seconda corsa a tappe più importante del panorama ciclistico femminile dopo il Tour de France Femmes è soprattutto grazie ad una capacità sorprendente di saper pedalare forte ovunque, su qualunque terreno e in ogni circostanza.

C’è una statistica che spiega bene la poliedricità di Longo Borghini. Nelle ultime undici tappe del Giro d’Italia Women (questo è il nome ufficiale della corsa, ci torniamo), le otto di quest’anno più le ultime tre dell’anno scorso, la ciclista di Ornavasso è sempre finita in top 10. Undici tappe di tutti i tipi: durissimi arrivi in salita, cronometro, tappe vallonate aperte a ogni tipo di soluzione, frazioni di media montagna. Ma anche tappe che dovevano essere volate e invece non lo sono state, oppure tappe che la squadra di Longo Borghini ha fatto in modo che non fossero volate. Nell’edizione appena conclusa non è così assurdo affermare che Longo Borghini non fosse la più forte né a cronometro (Reusser) né in salita (Gigante), eppure nessuna è riuscita a sfruttare come lei le pieghe di una corsa.

L’esempio perfetto è la settima tappa di quest’anno, quella con arrivo sul Monte Nerone, per l’appunto. Alla partenza da Fermignano, Longo Borghini deve recuperare 16 secondi in classifica generale a Marlen Reusser. Non sono tanti, ma la svizzera in Maglia Rosa si è dimostrata estremamente solida: sul muro di Monte Porzio, nella frazione precedente con arrivo a Terre Roveresche, è riuscita ad annullare un attacco di Longo Borghini con facilità.

La settima è una frazione molto dura, piena di su e giù al confine tra Marche e Umbria. Dopo quasi quattro ore di gara e oltre 120 chilometri, ciò che rimane del gruppo Maglia Rosa si lancia in discesa da Acquanera verso Piobbico. Le telecamere sulle motociclette faticano ad andare più forte delle atlete, ma una cosa la colgono subito: Silvia Persico sta scendendo a rotta di collo, e sulla sua ruota c’è la capitana Longo Borghini.

Persico è molto forte e, crossista qual è, guida divinamente la bicicletta. Mancano una manciata di chilometri all’attacco della salita di Monte Nerone, eppure la cinquantina di metri guadagnati suggeriscono alle due di proseguire nell’azione. Reusser mette le compagne di squadra a tirare, ma la Movistar non è uno squadrone e il gap aumenta.

È Scarponi con Nibali al Giro 2016 verso Sant’Anna di Vinadio, è Van Aert con Vingegaard a Hautacam 2022: Persico finisce per lanciare Longo Borghini verso la vetta. Quando finisce il suo lavoro (secondo i dati pubblicati da lei stessa su Strava, mai Persico aveva prodotto una potenza tale per 20 minuti), a Longo Borghini mancano dieci chilometri di salita. Nel momento più importante, la sei volte campionessa d’Italia su strada alza il proprio livello.

Il grande sforzo profuso nel falsopiano prima della salita e sulle prime rampe del Monte Nerone non permette a Longo Borghini di chiudere in crescendo. La seconda parte di salita è quella più dura (7,6 km all’8,2% medio) e chi riesce a fare la differenza è l’australiana Sarah Gigante, scalatrice pura che già aveva vinto qualche giorno prima a Pianezze. A Longo Borghini però interessa la Maglia Rosa, e quella sì che riesce a conquistarla. «Ho fatto casino, come sempre», scherza dopo la tappa. Quando le chiedono se ha mai pensato di poter fallire lungo la salita, Longo Borghini è serissima: «No. Oggi nella mia testa c’era solo… staccarle tutte, una per una».

Anche l’ultima tappa è molto dura, col circuito dei Mondiali di Imola 2020 e quattro passaggi sulle pendenze infide di Cima Gallisterna. In gruppo, però, le gambe di tutte sono troppo stanche per fare la differenza. Longo Borghini si difende bene e porta a casa la corsa, ma il vero capolavoro risale ad alcuni giorni prima, durante la Mirano-Monselice. Nemmeno 300 metri di dislivello su un percorso lungo 120 chilometri. Drittoni nella pianura veneta in una tappa di trasferimento: tante atlete hanno già la testa alle prossime tappe, non Longo Borghini.

Circa a metà frazione, per superare il piccolo centro abitato di Pontelongo, il gruppo si allunga in fila indiana a causa di alcune curve a gomito consecutive. Segue poi un tratto di strada completamente dritto di circa sette chilometri lungo il fiume Bacchiglione: Longo Borghini fiuta l’odore del sangue e si mette davanti a menare. C’è poco vento, ma il posizionamento in gruppo è fondamentale e alcune rivali in classifica generale, come Gigante, Niedermaier e Rooijakkers, rimangono sorprese. Al traguardo avranno quasi due minuti di ritardo.

Otto tappe, quelle di quest’anno, che Longo Borghini ha speso all’attacco e alla ricerca di colpi a sorpresa, sono l’esatto opposto della corsa che si è ritrovata a condurre dodici mesi fa al Giro d’Italia femminile. Nell’edizione 2024, infatti, Longo Borghini vince la crono d’apertura a Brescia e fin da subito deve difendere un vantaggio di circa mezzo minuto su Lotte Kopecky. Molto più scattista, la belga fa incetta di secondi bonus e si presenta alla tappa regina del Blockhaus con solo tre secondi di svantaggio. È una tappa sotto un caldo abruzzese infernale, al termine della quale, tirando fuori energie da chissà dove, Longo Borghini riesce a tenere la ruota di Kopecky.

Una volta in salita che va oltre il concetto di “resistere”.

Nella tappa finale all’Aquila, Longo Borghini ammaestra Kopecky su un percorso mosso e insidioso, e addirittura nel finale la attacca. La durezza mentale e la poliedricità di Longo Borghini spezzano uno dei più grandi talenti del ciclismo femminile degli ultimi vent’anni. Il lato autoironico e dialettale di Elisa non può che commentare: «Sono grama».

Già dopo la vittoria del suo secondo Giro delle Fiandre, nove anni dopo il primo, scrivevamo che Longo Borghini non è celebrata quanto meriterebbe, che "raramente viene citata tra gli eroi moderni dello sport italiano". Da quel giorno ha semplicemente continuato a vincere: classiche in Belgio e in Italia, corse a tappe, campionati nazionali. Ha cambiato squadra, dopo sei anni in quella che oggi si chiama Lidl-Trek. Ora corre per la UAE Team ADQ, di cui è la capitana indiscussa, e sotto la sua guida Persico si è ritrovata e la classe 2002 Eleonora Camilla Gasparrini sta crescendo alla grande.

Insomma, mai come quest’anno il Giro d’Italia femminile sarebbe dovuto essere una notizia grossa. Intanto perché, sottolinea il giornalista Simone Carpanini di bici.pro, che ha seguito la corsa in loco, "quest’anno le big c’erano quasi tutte. Mancavano Vollering, Niewiadoma e Balsamo, per il resto era presente il top del ciclismo femminile mondiale". E poi perché, racconta Stefano Zago, inviato al Giro femminile per Alvento, «da parte delle atlete e delle squadre c’è moltissima voglia di raccontarsi. Non manca certo la disponibilità loro, semplicemente tanti media scelgono, più o meno legittimamente, di raccontare altro». In questa edizione, per esempio, la vittoria di Jonathan Milan che ha interrotto il digiuno dei ciclisti italiani al Tour de France nella giornata del Monte Nerone. Oppure la vittoria di Jannik Sinner a Wimbledon nella giornata di Imola, quella che ha consacrato Longo Borghini come pluri-vincitrice della corsa.

«Eravamo pochi», prosegue Zago, uno dei pochissimi giornalisti che hanno seguito il Giro d’Italia Women 2025 nella sua interezza. «Mi ha colpito molto che Elisa Longo Borghini, venerdì scorso alla conferenza stampa pre-gara, ci abbia ringraziato perché eravamo tanti secondo lei. Ha detto qualcosa tipo: “Guardate che mi sono trovata a fare conferenze stampa con letteralmente due giornalisti”, eppure ti posso garantire che non eravamo tantissimi».

Se nel ciclismo maschile non si fa che parlare del dominio di Tadej Pogačar, con l’opinione diffusa che sia nocivo allo spettacolo e all’incertezza nei finali di corsa, nel ciclismo femminile è piuttosto evidente che di scontato non ci sia nulla, anzi. Da due edizioni il Giro femminile è una corsa aperta, avvincente, che riesce a regalare ogni giorno storie incredibili: perché non riesce ad attrarre più persone?

Per provare a rispondere facciamo un passo indietro. Il Giro d’Italia Women si chiama così dal 2024, quando l’organizzazione della corsa è passata a RCS Sport (la stessa società che organizza il Giro d’Italia maschile, tra le altre). Da allora la sua crescita «è ben visibile» afferma Zago. «Dalla comunicazione al villaggio di partenza, dalla gestione dei percorsi di gara alla sicurezza durante la corsa. C’è stata una crescita complessiva notevole, anche perché c’è più possibilità di investimenti».

Solo dall’anno prossimo avverrà un agognato spostamento nel calendario: il Giro femminile non sarà più concomitante col Tour de France maschile. Nonostante le tappe del Giro femminile finissero verso le 14:30 e quelle del Tour circa tre ore più tardi, la magnitudo della corsa francese è mille volte superiore: anche un evento secondario al Tour maschile, come possono essere il ritiro di Filippo Ganna o un Mathieu van der Poel in fuga, catalizza molte più attenzioni di qualsiasi feel-good story che possa uscire dal Giro femminile.

Uno dei modi in cui il Tour de France Femmes è immediatamente riuscito a piazzarsi al vertice delle corse a tappe più importanti del calendario femminile è pensarsi come importante. Non come “una delle tante corse”, ma come l’evento con la “E” maiuscola della stagione. È un tratto difficile da spiegare e quantificare, ma un evento importante, per esempio, va sulle salite importanti. Al primo anno il Tour de France Femmes propone un arrivo sterrato sulla Planche des Belles Filles; dodici mesi dopo la montagna mitica dei Pirenei, il Tourmalet. L’anno scorso addirittura l’Alpe d’Huez, quest’anno sono inserite nel percorso altre due mitiche salite alpine come la Madeleine e lo Joux-Plane.

Troppo spesso, invece, il Giro “relega” i suoi arrivi in salita su montagne sperdute con poca storia ciclistica: l’edizione 2020 fu decisa tra i monti della Daunia, in provincia di Foggia. Per l’edizione del 2025 si parlava di un ritorno sul Mortirolo, invece la tappa con arrivo all’Aprica è stata piuttosto demineralizzata. Inoltre, a diversi tifosi che hanno seguito il Giro femminile da casa non è piaciuto il fatto che la Cima Alfonsina Strada (ovvero la quota più alta toccata in gara, quest’anno il Passo del Tonale) fosse piazzata nei primissimi chilometri della terza tappa, cioè quando la diretta non era ancora iniziata né su Rai Sport né su Eurosport.

La direttrice di corsa del Giro femminile, Giusy Virelli, in un’intervista a Cycling News ha elencato come possibilità per il futuro l’aggiunta di tappe (oltre le otto attuali) ed eventuali partenze dall’estero. RCS Sport, che organizzerà il Giro femminile almeno fino al 2027, quest’anno ha fatto rinascere la Milano-Sanremo femminile, col merito di farla partire da una grande città come Genova.

Tante cose ancora si potrebbero scrivere su questa corsa a tappe: non è stata nemmeno citata finora, per esempio, Lorena Wiebes. Vincendo due tappe e andando in fuga a ogni occasione buona, la campionessa d’Europa in carica ha dimostrato di essere molto più che una semplice velocista. D’altra parte, però, va anche detto che Lotte Kopecky e Marianne Vos si sono ritirate anzitempo in vista del Tour de France Femmes, che comincia tra circa due settimane.

Come ha scritto su Instagram Ashleigh Moolman, una delle atlete più vincenti degli ultimi anni, nonostante tutti i suoi difetti "c’è qualcosa del Giro che è difficile spiegare a parole". Dopo alcuni anni di assenza, Moolman è tornata a quest’ultima edizione senza grandi ambizioni (ha pur sempre 39 anni ormai), definendosi eccitata "per ciò che il Giro rappresenta. Il ciclismo femminile è cambiato. Il Giro è cresciuto. Ed è speciale tornare ad una corsa che ha contribuito a formarmi".

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