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Michele Pelacci
Elisa Longo Borghini è entrata nell'Olimpo dello sport italiano
02 apr 2024
02 apr 2024
La ciclista di Verbania ha vinto il Fiandre per la seconda volta in carriera.
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Michele Pelacci
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IMAGO / Belga
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Il Giro delle Fiandre femminile è precisamente a metà percorso. Mentre Mathieu van der Poel stacca tutti sul Koppenberg per stravincere la prova maschile, alle donne mancano 81 chilometri all’arrivo. L’elicottero sta facendo una panoramica del gruppo che sfreccia in una curva larga verso sinistra. Uno zoom out improvviso rivela un’atleta a terra, quasi fosse appoggiata sul ciglio della strada: si tratta di Elisa Longo Borghini, la cui bici ha perso aderenza a seguito di una foratura. Sta bene, la divisa è tutta intera. Un rapido cambio di bici ed è di nuovo in gruppo.Un nubifragio fiammingo si abbatte sulla fuga, che dev’essere ancora ripresa ma non fa paura. La vera notizia dei primi cento e passa chilometri, però, è che Lotte Kopecky, in maglia iridata con tanto di pantaloncino bianco, non è brillante. Sul Koppenberg il gruppo si spezza. Kimberley Le Court perde l’equilibrio e fa cadere Chloe Dygert, tutte le altre devono scendere dalla bici e continuare a piedi. Per un pelo Kopecky sfugge all’ingorgo, ma fatica a completare una pedalata dietro l’altra. È sulle ruote di Georgi Pfeiffer, ma con Van Empel, Van Anrooij e Vollering che sono rimaste indietro.

Forse le due cicliste più forti del mondo sono dietro. Schierando entrambe Kopecky e Vollering in una qualsivoglia corsa di un giorno, la SD Worx ha sempre occupato almeno un posto sul podio: fino alla Dwars Door Vlaanderen di mercoledì, quando sono rimaste a secco per la prima volta in due anni. Kopecky non trova il grip giusto sulle scivolose pietre del Koppenberg e, mentre corre spingendo la bici, Vollering le passa accanto dicendole qualcosa. Un istante che ricorderemo a lungo.Il gruppo davanti va via. Marianne Vos ha spianato il Koppenberg e solo poche elette le sono rimaste a ruota: Niewiadoma, Longo Borghini, Persico, Pieterse, Swinkels, Wiebes e Paternoster. Otto atlete, le prime due le meno veloci, le ultime due fortissime in volata. Una leggenda (Vos), una novità a questi livelli o quasi (Swinkels), e tanta esperienza di ciclocross (Persico, Pieterse, di nuovo Vos). Vollering lavora nel gruppo dietro per far rientrare Kopecky, ma la due volte campionessa uscente perde qualche metro anche sul cortissimo Taaienberg.Più che una corsa è una partita a scacchi, che vive un altro capovolgimento nei pressi del monumento a Karel Van Wijnendaele, l’inventore della corsa. Davanti si sono fermate. Vollering rientra dannandosi l’anima, ma ha speso così tanto che alla fine definirà lo sforzo «orribile: sono morta». L’accordo che aveva fatto guadagnare una quarantina di secondi alle otto atlete di testa viene meno, tanto che rientra anche Van Anrooij.Superate Maarkedal e Ronse, intanto, la corsa entra nella fase cruciale. Il ricciolo attorno al paesino di Kwaremont prevede, uno in fila all’altro, i muri dell’Oude Kwaremont e del Paterberg. Qui si fa la corsa. Intanto Van Anrooij non solo rientra, tira dritto. È una situazione perfetta per Longo Borghini: può rimanere sulle ruote mentre qualcun’altra dovrà incaricarsi dell’inseguimento della sua compagna di squadra. Chi sacrifica le ultimissime energie dietro è proprio Lotte Kopecky, anch’essa ricongiuntasi con le migliori. Sul Vecchio Kwaremont piove come in Blade Runner, sul Paterberg si muove chi ha ancora gambe.Con la fame di chi non vince su strada dal 2019, Kasia Niewiadoma supera Vollering da destra. Solo Longo Borghini riesce a seguire la polacca e, fatta la differenza in salita, le due riprendono Van Anrooij. La giovane olandese è ben felice di aspettare Longo Borghini, sua capitana: il terzetto procede spedito verso Oudenaarde. Le due Lidl-Trek si danno cambi regolari, anche Niewiadoma contribuisce di tanto in tanto. Si presentano all’ultimo chilometro - l’ultimo chilometro più rettilineo, semplice e al contempo infido del ciclismo - con un gran vantaggio.Non hanno provato chissà che le Lidl-Trek. Una delle due poteva tentare un attacco da finisseur, si poteva fare un buco, costringere Kasia a inseguire: niente di tutto questo. Evidentemente volata doveva essere e volata è. Van Anrooij si mette a disposizione di Longo Borghini, è uno sprint lunghissimo. Per una frazione di secondo sembra non averne, ma azzecca ogni scelta, compresa quella di scartare Van Anrooij dalla parte opposta rispetto a Kasia. Vince di una bicicletta piena, è trionfo.A differenza di quando vinse il Fiandre nel 2015, l’esultanza è feroce. Ha la maglia di campionessa italiana totalmente fradicia e annerita dal fango, le ruote alzano una coda d’acqua. Smetterà di piovere solo durante le premiazioni.

Guardare oggi il precedente Fiandre vinto da Longo Borghini è un’esperienza stranissima, ma un ottimo esercizio per capire da quanto tempo la campionessa di Ornavasso è nell’Olimpo del ciclismo.Nove anni fa pochi tifosi circondano i camper delle squadre, verosimilmente gli unici mezzi a disposizione, davanti ai quali vengono intervistate. Lizzie Armitstead non si è ancora sposata con l’ex ciclista irlandese Philip Deignan, col cui cognome oggi è conosciuta. Pauline Ferrand-Prevot corre con una certa regolarità su strada. Una settimana prima, al Trofeo Binda a Cittiglio, queste due hanno fatto prima e seconda: il Fiandre è la successiva prova di Coppa del mondo, circuito di una decina di corse esistito tra 1998 e 2015.Quando Armitstead fora, si notano ruote a basso profilo con camera d’aria e freni rim. Longo Borghini non è nemmeno la capitana designata per quella corsa: la campionessa nazionale belga Jolien D’hoore ha già vinto la prima prova di Coppa del mondo quell’anno. La giovane ossolana ci prova sul terzultimo muro, il Kruisberg: mancano 28 chilometri alla conclusione. I capelli di Elisa sono raccolti in una lunga treccia, veste la maglia nera con dettagli arancioni della Wiggle Honda, porta occhiali giallo fluo che oggi sarebbero dichiarati illegali anche se li indossasse un amatore durante il giro dei bar la domenica. Nella parte più dura del Kruisberg pedala legnosa, non più di 60 rpm. Al numero pinnato sulla schiena è rimasto appiccicato l’involucro di un gel. «Elisa, sei una persona che pensa troppo», le aveva detto prima della gara Giorgia Bronzini, sua compagna di squadra e già due volte campionessa del mondo. Così Elisa attacca con decisione, senza voltarsi indietro. È una giornata soleggiata e il Kwaremont è perfettamente asciutto. Nemmeno sul Paterberg riescono ad avvicinarla. Longo Borghini vince in solitaria. Prima alza le braccia al cielo, poi non sa dove metterla tutta quella gioia. Si porta le mani al volto, emozionatissima. È la sua seconda vittoria in Coppa del mondo, due anni dopo la prima, e sebbene il ciclismo femminile stia ancora uscendo da una fase pionieristica fatta di scarsi investimenti e visibilità, Longo Borghini si afferma come una delle migliori al mondo. A fine corsa dichiara sia i sogni suoi sia quelli di un’intera generazione di cicliste, spesso sottostimata: «Volevo davvero vincere. Sono affamata di vittorie. Voglio solo vincere corse, sono un’atleta».Pur mettendo da anni in mostra un talento eccezionale (dal 2012 vince almeno una corsa ogni anno, spesso di primaria importanza, e se non vince si piazza: esempi sono i due bronzi olimpici di Rio e Tokyo), Elisa Longo Borghini non è celebrata quanto meriterebbe. Lei e Fiorenzo Magni settant’anni fa sono gli unici italiani ad aver vinto più di una volta il Fiandre. Prima di lei, l’unico altro italiano ad aver vinto sia Fiandre che Roubaix era Andrea Tafi. Eppure raramente viene citata tra gli eroi moderni dello sport italiano, tra le atlete migliori del secolo.È difficile trovare metri di paragone oggettivi e incontestabili, ma il livello di eccellenza sostenuto per anni da Longo Borghini non ha nulla da invidiare ad altre eminenze dello sport italiano come la velista Caterina Banti, la pallavolista Paola Egonu, la marciatrice Antonella Palmisano. Il suo nome dovrebbe apparire nelle longlist dei portabandiera per Parigi 2024, e invece no. Quando si parla – e se ne parla eccome – della crisi del ciclismo italiano, non si fa quasi mai riferimento al ciclismo femminile, del quale Longo Borghini è la principale esponente. Troppe volte, credo, la si dà per scontata. Forse è perché si considera una conquista sufficiente il fatto che semplicemente corrano anche le donne (peraltro neanche tutte le monumento, neanche tutte le classiche) - persino lo stesso giorno degli uomini, che conquista! - per poi riempire di asterischi e premesse le loro imprese, fare distinguo.La sera stessa della sua vittoria al Fiandre i già esigui spazi dedicati dai vari siti italiani agli “sport che non sono il calcio” verranno occupati dalla vittoria di Jannik Sinner a Miami. Longo Borghini, poi, non ama i riflettori, è un personaggio introspettivo, e questa caratteristica è considerata noiosa da tante persone, in primo luogo dai media che devono provare a raccontarla. Quando le chiedono chi vorrebbe incontrare se solo potesse, risponde Ruth Bader Ginsburg, una giudice della Corte Suprema statunitense che ha passato gran parte della vita a lottare per la parità di genere e i diritti delle donne (e scomparsa nel settembre del 2020).In uno sport come il ciclismo femminile nel quale sessismo e misoginia sono ancora all’ordine del giorno, e la ciclista più seguita sui social non corre nemmeno nel World Tour, Elisa Longo Borghini usa frasi di Paulo Coelho come didascalia a foto di montagne, ama mungere le mucche, e ha un'ironia spiccata che la porta ad avere sempre la battuta pronta. Dopo il Fiandre, guardando dritto in camera, ha fatto sapere allo chef della squadra, Mirko Sut, di aver vinto «for the crostata». È, forse inevitabilmente, un'appassionata di ciclismo, e non cerca di nasconderlo solo perché nel frattempo è diventata una delle migliori della sua generazione: per dire, ci ha tenuto a farsi una foto con Rik Bossuyt, il corpulento bodyguard delle corse fiamminghe. Longo Borghini, poi, non parla mai per frasi di circostanza, come fa la maggior parte del peloton maschile solo per sbrigarsi dall’impiccio dei giornalisti.Forse non riusciamo ad apprezzarla per quello che vale anche per due caratteristiche puramente “di corsa”. La prima è che ha dovuto spartire le vittorie di una carriera con vere e proprie leggende, sia delle corse a tappe (Van Vleuten, Van der Breggen) sia delle corse di un giorno (Kopecky, Vos), col rischio di risultare, a giochi fatti, una Learco Guerra per Alfredo Binda, una Felice Gimondi per Eddy Merckx. La seconda deriva dalle sue spiccate doti di resistenza, ma anche dai limiti in velocità pura: Longo Borghini arriva sempre là, con le migliori, a giocarsi le vittorie importanti, ma quando rimane in gruppi ristretti difficilmente riesce a essere la più veloce. Negli ultimissimi anni ha migliorato anche questo aspetto, come dimostra anche quest'ultimo Fiandre: lei dice grazie alle volate ai cartelli in allenamento col marito.Non c’è nulla di banale in ciò che fa Longo Borghini. Il suo 2023, per esempio, è stato un inferno: il covid l'ha costretta a saltare Strade Bianche e Trofeo Binda, per un virus intestinale non ha preso parte alla Vuelta, è volata contro un cumulo di terra in una caduta al Giro, e ha dovuto abbandonare il Tour de France per una setticemia alla coscia sinistra. Ha ammesso che il suo corpo «non ne poteva più».

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In una recente intervista a Stefano Zago di Alvento, Longo Borghini ha descritto il suo difficoltoso ritorno al top della condizione. Paolo Slongo, il suo preparatore, «mi raccomandava di pedalare tranquilla, di guardarmi intorno, di tornare a godermi anche il paesaggio e di avere pazienza. Io, dopo qualche chilometro in sella, gli telefonavo: “Paolo, sto facendo come dici tu, ma non può funzionare. Vado troppo piano, non riuscirò mai a tornare quella di prima, è impossibile”. Allora, lui riprendeva a tranquillizzarmi: “Non avere fretta, cerca di volere bene al tuo corpo”. L’allenamento era diventato una sorta di religione: io dovevo credere a quel che facevo, anche se al momento non ne vedevo i risultati». E ancora: «Quante volte ci diciamo: “Ora mi riposo e domani esco, anche se mi fa male tutto?” Non è scontato che il giorno dopo ci trovi in salute, non è naturale questo stare bene, questo poter fare. Lo si capisce quando, pur giovane, pur atleta, non puoi più, sei fermo, bloccato. Quando si ha la sensazione che tutto sia finito».Secondo ciò che ha detto lei stessa, il suo primo obiettivo stagionale è la Liegi-Bastogne-Liegi, corsa che non ha mai vinto pur essendo entrata in top 5 negli ultimi tre anni. Non avrebbe dovuto correre la Parigi-Roubaix, ma a causa dell’infortunio di Deignan potrebbe essere costretta a tornarci, nell’Inferno del nord. Con la Roubaix ha un rapporto di amore e odio: non voleva correre nemmeno quella che vinse. Tra Roubaix e Liegi, ci sono altre due corse che non ha mai vinto, nelle quali è arrivata tra le prime cinque per ben sei volte: l’Amstel Gold Race e la Freccia Vallone.Non che abbia bisogno di successi al trittico delle Ardenne per affermarsi, ma vincere ancora è un ottimo modo per avvicinarsi a quelle che potrebbero essere le sue ultime Olimpiadi. Nonostante l’annata balorda, nel 2023 è riuscita a conquistare di nuovo i titoli nazionali in linea e a cronometro, a Comano Terme. Al termine della rassegna tricolore, col decimo e l’undicesimo titolo italiano in tasca, Longo Borghini ha affermato di non contare «mai i successi, anche perché ciascuno è speciale a modo suo». Quanto è speciale per lei, questo Fiandre, lo sa solo lei. Quanto è importante per noi, invece, lo capiremo forse solo quando avrà smesso di correre.

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