Da sedici anni, il signor Wiebe Wieling convoca i suoi uomini, tira fuori giacche a vento, termometri, martelli e piccozze e mobilita le autorità di un’intera regione dei Paesi Bassi, la Frisia, per organizzare una gara di pattinaggio sul ghiaccio che però, alla fine, non si corre mai.
Wieling potrebbe diventare il secondo organizzatore di questa gara - vecchia ormai più di cent’anni - a non dare mai il via, come accadde tra il 1969 e il 1984 a Jan Kuperus. Quando Kuperus lasciò, l’anno dopo si tornò magicamente a correre per due anni di fila, eppure non era stata colpa sua, era colpa del freddo, che in quel periodo non era stato abbastanza.
Wieling, come Kuperus e altri prima di lui, è il presidente del Koninklijke Vereniging De Friesche Elf Steden, ovvero dell’Associazione reale delle undici città della Frisia. Sono loro a organizzare - più che altro a provare a organizzare - l’Elfstedentocht, uno di quei nomi che noi latini fatichiamo a pronunciare e per cui può venirci incontro solo una cosa, togliergli i nodi venendo a capo delle parole che la compongono: “tocht” (che vuol dire “giro”) “steden” (che significa “città”) ed “elf” (il numero 11). E quindi: il “Giro delle undici città”. Di queste undici città, se non siete appassionati di cultura olandese o non siete mai stati lì in vacanza, facile che ne conoscerete a malapena una, Leeuwarden, dove la corsa inizia e finisce. Le altre città, seguendo l’ordine del percorso che è in senso orario, sono: Sneek, IJlst (scritto proprio così, con due maiuscole, questioni di fonetica germanica), Sloten, Stavoren, Hindeloopen, Workum, Bolsward, Harlingen, Franeker e Dokkum.
L’Elfstedentocht, che ha queste undici tappe fisse, non ha però un percorso fisso. Il motivo è semplice: per disputarla in sicurezza è necessario che tutti i canali da cui si passa abbiano nello stesso momento uno strato di ghiaccio spesso almeno 15 centimetri, e quindi, se uno che si è attraversato in passato non è della misura giusta se ne cercano altri.
Stanno cercando, senza molta fortuna, e maledicendo il riscaldamento globale, ogni inverno dal 1998. Fanno 25 anni in tutto.
L’ultimo Elfstedentocht è infatti datato 4 gennaio 1997, da lì in poi solo tanta frustrazione e anni in cui gli alberghi della Frisia sono stati sommersi di prenotazioni perché sembrava, ma poi no, che si potesse gareggiare. Vista da queste latitudini, la febbre da Elfstedentocht può apparire incomprensibile, ma per gli abitanti dei Paesi Bassi, i pattini sono una specie di prolungamento dei piedi, un attrezzo con cui si familiarizza già da piccolissimi. I pattini dicono Paesi Bassi quanto i tulipani, il formaggio, il calcio totale, le dighe, i coffee shop, Van Gogh e gli zoccoli. Sui pattini, gli olandesi imparano a scivolare più o meno da quando hanno iniziato a camminare, ci vanno a scuola o al lavoro, fanno incetta di medaglie alle Olimpiadi, hanno dato primi baci, vestito i panni degli istruttori per i propri figli e infine - sfilandoseli per sempre - hanno capito di essere diventati abbastanza vecchi da barattare un femore intero rispetto alla sensazione di volare sul ghiaccio.
Per far capire agli americani l’importanza dell’Elfstedentocht, Bill Whitaker, giornalista dello storico programma “60 minutes” si è spinto fino a questa frase: «È come il Superb Bowl, le finali Nba e le World Series di baseball messi assieme».
È una storia che è nata ancora prima di nascere ufficialmente, rendendo il tutto ancor più affascinante, perché clandestino, oscuro, polveroso, amatoriale, dove ogni pagina magari non contiene solo verità, ma chissenefrega, il racconto risulta più bello. Tra i concorrenti dell’Elfstedentocht c’è stato anche un futuro re sotto mentite spoglie (e questa è vera, non è leggenda), vincitori arrivati per mano al traguardo e poi premiati insieme, altri squalificati qualche anno dopo per aver fatto la stessa cosa; c’è anche un’edizione epica, il 1963 e un ritornello, che riparte ogni anno, con protagonisti i cavoletti di Bruxelles.
Ma per capire come siamo arrivati, attraversando i secoli con i pattini addosso, all’attuale campione in carica, oggi 55enne, Henk Angenent (all’epoca trentenne), dobbiamo tornare qualche secolo indietro, a un uomo con un nome - Hendrick Avercamp - che ha una certa assonanza e anche le stesse iniziali, H. A. Avercamp, però, a differenza di Angenent, non era un pattinatore professionista, ma un pittore. Il suo dipinto più celebre, tra i tanti che si somigliano, è “Paesaggio invernale con pattinatori”, datato 1609. Se uno ha voglia di dare un’occhiata alle opere di Avercamp trova pattinatori dappertutto, da quelli “vicino a un castello” a quelli “vicini a un villaggio”.
Se dipingeva molto e dipingeva tanto ghiaccio, c’erano dei motivi: Avercamp era sordomuto, e quindi era con gli occhi che riempiva il suo mondo, e con la mano che lo restituiva agli altri. Il “paesaggio invernale con pattinatori”, pieno di dettagli e personaggi fissati nell’attimo in cui fanno le cose più disparate, è un Mordillo del Seicento, un “Where’s Waldo?”, dove tutti sono Waldo e ognuno può scovare il personaggio che più gli piace: quello che casca a terra e quelli che fanno il trenino, quelli che giocano a una specie di golf, la coppia per mano, la signora impacciata con le stringhe slacciate, il bambino che gioca con un bastone e il pescatore che si trascina dietro l’arpione.
Avercamp dipingeva pattinatori perché, nato nel 1585 e morto nel 1634, aveva vissuto durante un periodo poi ridenominato Piccola Era Glaciale. Insomma, se in quegli anni avessero voluto organizzare l’Elfstedentocht ci sarebbero riusciti sempre.
La prima edizione ufficiale, invece, avrà luogo nel 1909, esattamente quattrocento anni dopo la firma di Avercamp sul suo “Paesaggio invernale”. Perché i secoli passano, i tempi e i pattini cambiano, gli inverni si riscaldano, ma certe abitudini - e talvolta anche il ghiaccio - restano.
La parte ufficiosa era iniziata un po’ prima, con una poesia del Settecento che descriveva le gesta di tal Pier da Bolsward (uno dei luoghi dove oggi passa la gara), un giovane capace di attraversare con i pattini le città della Frisia in un solo giorno. Ogni paese della zona si vantava di avere tra i suoi avi almeno un pattinatore prodigio, e così, nel 1890, un gruppo di persone si mise messo in testa di organizzare una gara non competitiva che attraversasse tutte le undici città della Frisia. Uno di loro, Willem “Pim” Mulier - un sosia di De Coubertin senza capelli e con un papillon al posto della cravatta - già noto in patria per aver organizzato tornei di tennis e aver sdoganato l’hockey e il cricket, alzò ulteriormente l’asticella e pensò a un grande evento, che si è infine tenuto il 2 gennaio del 1909: si iscrissero in 48, partirono in 22, vinse uno solo: Minne Hoekstra.
Negli anni Dieci la gara si disputò solo due volte, nel 1912 e nel 1917: da lì uscì il primo dei tre plurivincitori dell’Elfstedentocht, Coen de Koning. Nel 1933 vinsero in due, nel 1940, addirittura in cinque, arrivati volutamente sul traguardo insieme (tra loro anche Auke Adema, che bisserà, da solo, un anno più tardi): cosa che non piacque al comitato organizzatore a tal punto da non assegnare la vittoria a nessuno dopo un altro arrivo in comitiva, nel 1956.
Sette anni dopo, l’Elfstedentocht, che era passato dalla decina di partecipanti dei primi del Novecento agli oltre tremila dell’ultima, fece un passo in più in direzione del mito con l’edizione ribattezzata “L’Inferno del ’63”. Si iscrissero in diecimila mentre il tempo in Frisia continuava a peggiorare: per una volta la partenza rischiava di essere rimandata per il motivo opposto rispetto al solito: troppo ghiaccio, troppo freddo. Alla fine, partirono: era il 18 gennaio 1963. Arrivarono appena in 69 e vinse Reinier Paping, la cui figura, nei Paesi Bassi, vale quella di un Cruyff o di un re. Paping arrivò al traguardo parzialmente cieco a causa della “cecità di neve”, vale a dire che per troppo tempo aveva guardato il riflesso del sole sul ghiaccio. Recuperò la vista nelle ore successive, mentre lungo il percorso era un viavai di ambulanze tra ossa rotte per le cadute e arti congelati. Si corse a una media di -18 gradi con una tempesta di neve in corso. In quel modo l’Elfstedentocht fece il salto da corsa bislacca a leggenda. Nel 2009 diventò anche un film, come succede a quelle imprese che un popolo adotta per raccontare se stesso.
Tutti, dopo quell’incredibile gara, smaniavano per il bis, invece dovettero aspettare ben ventidue anni. Mai fino a quel momento, l’Elfstedentocht si era fatto attendere tanto. Di solito non passavano più di sette anni tra un’edizione e l’altra e il record era di dodici anni.
Il 20 gennaio del 1985 arrivò un’ulteriore beffa quando un improvviso innalzamento delle temperature convinse il comitato organizzatore a cancellare la gara. Il gelo tornò e il 21 febbraio anche l’Elfestedentocht, con due novità: la partecipazione delle donne e uno stop anticipato di due ore rispetto al solito. La corsa, che inizia intorno alle 5 del mattino, resta per regolamento aperta fino a mezzanotte, ma quel giorno il ghiaccio si stava sciogliendo così in fretta che alle dieci di sera, gli organizzatori fermarono chi non era ancora arrivato per paura che finisse in acqua. L’edizione fu vinta da Evert van Benthem, che il 26 febbraio del 1986 divenne il terzo e per ora ultimo plurivincitore del trofeo.
Nel 1986 si presentò alla partenza anche un certo W.A. van Buren, che altro non era che il principe ereditario Willem-Alexander, spinto a partecipare dopo una scommessa con un amico. Il principe fu poi riconosciuto durante il tragitto, anche perché gli atleti in gara devono fermarsi in tutte le città e in alcuni luoghi a sorpresa (per evitare brogli) per farsi timbrare il foglio che dimostra il loro effettivo passaggio. Troppo popolare per passare inosservato nei banchetti pieni di gente, Willem-Alexander arrivò al traguardo dove ad attenderlo, oltre a centinaia di migliaia di persone, c’erano i suoi genitori. Il primo a essere sorpreso fu lui, che disse di non aver mai corso per più di 65 chilometri, mentre quell’Elfstdentocht fu una delle più lunghe di sempre: 199,3 chilometri (si dice sempre che è lunga 200, ma nessuna edizione, pur sfiorandola, è arrivata a tanto). A confermare l’eccentricità di Willem-Alexander - che dal 2013 è il re dei Paesi Bassi - c’è la sua passione per il volo, che l’ha portato fino a poco tempo fa a essere un pilota di linea della compagnia di bandiera Klm, con cui percorreva il numero di chilometri necessari per mantenere la sua licenza da pilota, dando ancor più credibilità al nome della compagnia Koninklijke Luchtvaart Maatschappij, che vuol dire Compagnia Reale d’Aviazione.
Complice un mondo in cui era più facile muoversi e comunicare, gli anni Ottanta furono quelli in cui la febbre da Elfstedentocht raggiunse l’apice: alberghi pieni, migliaia di iscritti, il pubblico che traboccava da ogni ponte, ogni strada, ogni terrazzo che si affacciava sul percorso. Sembrava tutto perfetto per entrare negli anni Novanta e commercializzare un’idea che aveva dentro tutto, tradizione e innovazione, vocazione al turismo spensierato e al sacrificio più devoto. Era un’idea facile da pubblicizzare quella della gara, ma la gara non c’era, costretta a fare i conti con inverni sempre meno rigidi. L’ultima occasione è datata 4 gennaio 1997, che ad oggi resta l’ultima delle quindici Elfstedentocht corse in 113 anni di storia.
A vincere, come detto - dopo un testa a testa con Erik Hulzebosch - è stato Hank Angenent, tutt’oggi campione in carica nonostante si sia ritirato da un pezzo: ogni anno la tv olandese va a intervistarlo e ogni anno salta fuori questa storia che Angenent è un contadino e coltiva cavoletti di Bruxelles. Così, un’altra maratona olandese sui pattini, la Six Days of Greenery, che dura - appunto - sei giorni, ha avuto l’idea di dare al leader della corsa una maglia, come quella rosa al Giro o quella gialla al Tour de France: si tratta di una divisa bianca tempestata di cavoletti di Bruxelles. In un’edizione, seppur per un solo giorno, la indossò lo stesso Angenent chiudendo idealmente un cerchio.
La voglia di Elfestedentocht, però, nel frattempo è aumentata: tutti gli anni se ne organizza una in Austria, dove il ghiaccio non manca, ma a mancare è tutto il resto. In Frisia, c’è anche una versione ciclistica sulle strade che costeggiano i canali, che è stata cancellata solo nel 2001 e poi in tempi di Covid. Il numero di partecipanti è stato limitato a 15mila per questioni di sicurezza, ma le domande sarebbero molte di più.
Il nuotatore Maarten van der Weijden, dopo aver fallito nel 2018, nel 2019 ha percorso tutti i canali dell’Elfstedentocht a nuoto per beneficenza raccogliendo milioni di euro per la ricerca sul cancro.
Resta però il vuoto lasciato da una gara capace di fermare un intero Paese, come dimostrano le parole pronunciate dell’ex premier Mark Rutte nel 2012, l’anno in cui la gara sembrava potesse tornare: «Una volta ogni quindici anni, il nostro Paese non viene governato dall’Aja, ma dalla Frisia. E devo dire che è in buone mani». Alla fine non fu abbastanza buono il ghiaccio, dopo che gli hotel della Frisia avevano già fatto registrare il tutto esaurito. La gelata eccezionale di fine gennaio-inizio febbraio aveva fatto sperare organizzatori e tifosi, anche perché le previsioni parevano il preludio a un nuovo Elfstedentocht, da tenersi l’11 febbraio, quando il ghiaccio avrebbe raggiunto uno spessore di 20-25 centimetri. Il 6 febbraio il comitato organizzatore si riunì per la prima volta in 15 anni e per creare le condizioni migliori furono sbarrate le chiuse e proibita la navigazione. Non bastò. La parte più a sud del percorso non era abbastanza gelata né sicura: la sedicesima edizione dell’Elfstedentocht era saltata. Un’ulteriore beffa stava per prendere corpo nel 2020, quando, con il Paese chiuso causa coronavirus, le temperature crollarono, ma alla fine non abbastanza tra il sollievo degli appassionati che temevano una sorta di maledizione, con la gara che si poteva correre proprio nell’anno in cui nessuno poteva parteciparvi.
L’edizione vinta da Angenent nel 1997 rischia di essere davvero l’ultima, questo almeno è l’allarme lanciato dal Washington Post e dai giornali olandesi, che trovano nell’uomo e nel riscaldamento globale la causa primaria di questo lungo stop dopo un secolo a singhiozzo.
La prossima edizione, se mai ci sarà, avrà finalmente una gara femminile. Per ora ci sono 17 milioni di olandesi, compreso un ex concorrente che ora di mestiere fa il re, che a dicembre iniziano a dare un’occhiata al termometro e fuori dalla finestra per capire se sarà un inverno abbastanza freddo per potersi scaldare con un Elfstedentocht.