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Tommaso Clerici
Elaborare la sconfitta, intervista ad Alessio Lorusso
22 mag 2023
22 mag 2023
Qualche tempo fa abbiamo incontrato il pugile italiano ex-campione europeo.
(di)
Tommaso Clerici
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Foto di Silvia Casali
(foto) Foto di Silvia Casali
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Sabato sera Alessio Lorusso ha fatto il suo ingresso sul ring dell’Arena di Monza acclamato dal pubblico, da campione europeo in carica dei pesi gallo (categoria al limite dei 53 chili). Era pronto a difendere la cintura dall’assalto dell'inglese Thomas Essomba, atleta di 35 anni esperto, insidioso, con molte sconfitte in carriera ma sempre contro avversari durissimi. Lorusso era consapevole che la sfida rappresentava un banco di prova per poterlo lanciare verso il sogno di una vita: una chance per il titolo mondiale. Dopo i rispettivi inni nazionali il match inizia e sin dalle prime battute si vede un Essomba in grande spolvero, rapido, incisivo, a segno, con un tempismo migliore mentre Lorusso fatica a trovare la distanza giusta, va a vuoto, sembra contratto. È un copione inaspettato perché solitamente è proprio Lorusso a essere il più veloce, a schivare gli attacchi degli avversari colpendo di rimessa, a sfoggiare combinazioni fulminee, creative e che colpiscono duro. Le riprese passano ma l’atleta italiano non riesce a invertire l’inerzia del match, così Essomba vince per decisione unanime e conquista il titolo europeo; Lorusso accenna una timida protesta per il verdetto poi, lontano dagli occhi delle telecamere, si inginocchia e chiede alla fidanzata Federica di sposarlo.È difficile capire cosa possa aver inceppato gli ingranaggi del beniamino di casa da dietro uno schermo. Vedendolo così legnoso e poco reattivo è possibile che abbia avuto problemi con il taglio del peso o con il successivo reintegro, oppure potrebbe esserci stato qualche problema nella preparazione atletica; o ancora potrebbe aver sofferto un blocco psicologico nel trovarsi davanti un Essomba così in forma, che gli ha rubato il ruolo di colpitore di rimessa costringendolo a lanciarsi all’attacco. Ma, ovviamente, sono tutte ipotesi.Quello che conta è che il pugile italiano analizzi la sconfitta a freddo per ripartire ancora più determinato, e non ho dubbi sul fatto che succederà. Due mesi fa ho passato insieme a lui una giornata intera, visitando i luoghi che lo hanno formato come persona e come atleta per girare questo documentario prodotto da Esse Magazine.Chi è davvero Alessio Lorusso?È un martedì di fine marzo quando Federica mi accoglie nel giardino di casa, in un paese della Brianza da 15 mila abitanti. Lorusso è seduto al tavolo vicino all’ingresso, sta finendo di mangiare uno yogurt greco e indossa una tuta sportiva di un rosso sgargiante. È un ragazzo di 27 anni sul metro e settanta completamente tatuato – dice che sin dall’asilo amava ricoprirsi il corpo di disegni - ma i tattoo sul viso non ne limitano l’espressività, anzi, ne risaltano lo sguardo vispo, curioso, ma che sa essere anche tagliente. Come dice Federica: «Il pregio più grande di Alessio è la sincerità: se non parla con la bocca, lo fa con gli occhi». Insieme a lui ci sono suo “zio” Romeo – si presenta così, in realtà non sono parenti ma si conoscono da anni: Romeo segue Alessio sotto ogni aspetto della sua vita sportiva e personale – e un amico di vecchia data, uno dei primi ad accogliere Lorusso in una palestra di boxe. Dopo due chiacchiere sulla preparazione al match contro Essomba, e una visita della casa compresa la stanza in cui conserva le cinture vinte (dal titolo italiano ai successi più recenti), Lorusso si rilassa sulla sedia e comincia a riavvolgere il nastro dei ricordi, mentre i suoi due Akita americani scorrazzano per il giardino. «Sono cresciuto con mia madre, senza una figura paterna: lei doveva lavorare quindi sono stato molto da solo, abbiamo cambiato tante case» dice. «Il nostro rapporto non è mai stato facile, abbiamo avuto periodi pesanti, di conflitto, anche se ci ha sempre unito un grande amore. Un giorno le ho detto che era sempre stata anaffettiva con me: mi aveva dato regole, un’educazione, aveva cercato di fare anche da padre con severità ma avevo ricevuto poco affetto. L’ho ferita ma è stato un momento utile perché ha capito cosa intendevo. E comunque più di tanto non poteva fare, molto dipendeva da me, dalla mia testa calda. Da adolescente ero ingestibile, non era facile starmi dietro, quindi la capisco». Sua madre su questo mi ha detto: «Qualsiasi mamma che cresce un figlio da sola non può fare anche da padre. Io ho fatto sì la madre, e poi anche il padre, ma in maniera sbagliata». Lorusso aggiunge: «Crescere senza un padre non dev’essere un alibi o una scusa, piuttosto uno stimolo. Con il tempo ho imparato ad essere io il padre di me stesso, a trovare dentro di me alcune certezze. Però da ragazzino avevo tanta rabbia da sfogare, ero un disperato. Ho vissuto la strada commettendo tanti errori che non mi va di raccontare, sono cose passate che comunque mi hanno fatto maturare. I miei trascorsi difficili mi hanno fortificato». È proprio sua madre che lo spinge in palestra per cercare di fargli cambiare vita. Nel pugilato Lorusso trova un modo costruttivo per incanalare la sua esuberanza e uno sport che lo educa alla disciplina, così ci si dedica completamente. Debutta da professionista nel 2017 e dopo qualche incidente di percorso brucia le tappe combattendo a un ritmo forsennato: la sua carriera svolta nel 2019 con la vittoria del titolo italiano, a cui seguono i successi europei.

A un certo punto facciamo una pausa caffè e ci spostiamo in cucina. Attaccata a una parete spicca la foto di Essomba: «L’ho appesa lì così me lo guardo ogni mattina mentre faccio colazione. Mi dà la carica per allenarmi ancora di più, mi motiva. È un aspetto mentale importante. E poi quando lo vedrò alla cerimonia del peso mi sembrerà di averlo frequentato per mesi. D’altronde la psicologia nel pugilato fa tantissimo, è il novanta percento, anche perché combattere significa sfidare sé stessi, l’avversario è solo un pretesto. Devi essere forte mentalmente, credere in te senza temere nessuno e usare molta intelligenza perché tutti sappiamo che quando si sale sul ring si rischia la pelle. Io ci muoio sul ring, non mi interessa: è quello che amo fare, perché non morirci? Piuttosto che rinunciare do la vita, se ci muoio ben venga. Anzi, se dovessi morire le mie ceneri le voglio sparse sul ring». Una visione così estrema evidenzia una dedizione totale alla causa, che però ha delle ripercussioni sugli affetti di Lorusso, a partire dalla sua compagna: «Stare al fianco di un pugile non è facile, tra dieta, allenamenti, paranoie» riconosce lui stesso. «Quando sono in preparazione, cioè per quasi tutto l’anno perché combatto spesso, non possiamo fare niente. E poi sono sempre in focus, sempre concentrato sui miei obiettivi. Non voglio fare il fenomeno, ma non riesco mai a staccare la spina, sono ossessionato dal pugilato. Anche quando vado in vacanza non me la godo. Il mio momento è qui, ora: voglio dare il massimo adesso per poter rallentare tra qualche anno e godermi i traguardi raggiunti, senza rimpianti. Avrò una vita intera per riposarmi. Per fare il pugile devi essere egoista». «La dieta è il momento più critico perché quando entra nelle fasi più stringenti ha delle ripercussioni a livello ormonale e quindi ti cambia l’umore. Per questo un mesetto prima del match mi prendo un appartamento in affitto e me ne vado di casa, sto lì da solo. Tanto io amo la tranquillità, la solitudine, mi piace stare in disparte. Adoro la montagna, i posti sperduti, non è un caso che viva in un paese: già Milano mi sembra enorme, non mi ci troverei mai, c’è troppo casino».“I periodi bui ti danno una marcia in più”Lorusso è un ragazzo posato ed educato ma dalla personalità e dal carattere forte, dominante. È predisposto all’ascolto ma si capisce che è molto difficile fargli cambiare idea su qualcosa. Sembra anche una persona di cuore, generosa, traspare la sua genuinità. Ne dà prova quando decide di affrontare un argomento molto delicato: «Faccio fatica a dirlo, ma qualche anno fa ho avuto un periodo di ansia, di paure, di depressione. Ero in sovrallenamento e sono crollato mentalmente, è stato il periodo più duro della mia vita. Sono andato da una psicologa e grazie al suo aiuto ho capito come uscirne. Mi fa ancora male pensarci ma dato che l’ho superata devo essere fiero di parlarne. Se adesso dico la parola “ansia” mi sudano le mani, l’ho cancellata dalla memoria. La mia paura più grande è tornare giù di testa perché ti alzi la mattina e ti senti perso, ti senti un’altra persona. Evito tutto ciò che mi può ricordare quei momenti e probabilmente è un errore perché così sembra che voglia scappare, senza affrontare la questione. È la prima volta che ne parlo in pubblico».

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Alla fine della giornata di riprese, in cui Lorusso ci ha portati in alcuni luoghi chiave della sua vita, ci salutiamo. Quando qualche settimana dopo gli mostro la versione finale del video, lui è contento del risultato. Gli scrivo che secondo me il racconto funziona, che emerge bene la sua storia, e lui risponde: “Voglio essere me stesso sempre. A prescindere da quello che emerge, io sono così”.Dopo la lettura dei cartellini dei giudici, mentre Essomba festeggiava, ho visto Lorusso aggirarsi sconsolato sul ring e mi è tornato in mente quello che mi aveva detto a casa sua, riguardo un periodo negativo della sua carriera, in cui aveva incassato quattro sconfitte in sei match (per poi inanellare sedici vittorie consecutive): «Le sconfitte mi hanno fatto crescere tanto, mi hanno reso chi sono adesso. Hanno testato la mia caparbietà, avrei potuto lasciare il pugilato diverse volte quando mi allenavo tanto, guadagnavo poco e capitava mi rubassero pure il match, invece non ho mollato. A volte mi chiedevo: “Perché lo faccio?”, poi mi sono reso conto: perché è il mio stile di vita, perché fa parte di me. Sono motivato a vincere perché so cosa si prova a perdere e non voglio che succeda di nuovo. Se accadrà soffrirò e mi rialzerò come ho sempre fatto». E poi ha aggiunto: «Se le sai elaborare, le cadute, i periodi bui ti danno una marcia in più. Tanto nel pugilato quanto nella vita».

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