Articolo tradotto dall’originale di Martí Perarnau, pubblicato sulla rivista “The Tactical Room” del Perarnau Magazine.
L’intervista è del 14 dicembre 2010: l’obiettivo è di indagare le origini e lo sviluppo della cantera del Barcellona, che pochi giorni dopo avrebbe portato ben 3 giocatori sul podio del Pallone d’Oro. Cruyff va oltre e regala un affresco di calcio, tra crescita, educazione e mentalità.
Quando arrivi al Barça, qual è l’idea concreta di gioco che proponi? Quali sono i due o tre concetti fondamentali che utilizzi e che costituiscono l’Idea?
Automaticamente, con giocatori di qualità devi cercare di dominare il campo in ogni momento, per fare ciò che preferisci: se vuoi attaccare al massimo o se vuoi rifiatare mantenendo la palla. Hai bisogno del pallone per fare ciò che vuoi e costringere l’avversario ad adattarsi alle tue decisioni. C’è un solo pallone e tanti giocatori che si muovono bene, in modi diversi, e devono solo passare bene il pallone tra di loro. Quello che si muove decide la direzione della palla, e se si muove bene tu puoi modificare la pressione che ti porta l’avversario, oppure fare una giocata posizionale per spostare il gioco dove preferisci. È come il centravanti che si abbassa: con quel movimento crea degli spazi dietro la linea difensiva, dove altri compagni possono infilarsi. Tutto questo è grazie al fatto che la tua squadra controlla il pallone: ma per farlo hai bisogno di giocatori di qualità.
Hai trovato difficoltà per inculcare questi concetti nel settore giovanile del Barça o hai trovato da subito una buona predisposizione?
Mi criticavano perché giocavo con la difesa a tre, ma era una delle accuse più idiote che ci fossero: noi riempivamo il campo nella zona in cui ne avevamo bisogno. Se l’avversario gioca con due punte, come tutti facevano all’epoca, e io faccio giocare quattro difensori, allora uno è di troppo…
Circa vent’anni prima del tuo arrivo da allenatore, Laureano Ruiz (allenatore delle giovanili) già aveva piantato i semi di un’idea molto simile.
Io ho potuto allenare alcuni giocatori passati per la sua scuola e questo mi è stato d’aiuto. Ero nella prima squadra ma potevo scegliere giocatori delle giovanili con buona tecnica di base: c’era una buona materia prima, di buon livello tecnico.
Qual è la cosa che risulta più decisiva per il settore giovanile del Barça: il tuo 3-4-3 o l’idea di tenere la palla e muoverla rapidamente, e dare priorità al talento e alla tecnica invece che all’aspetto fisico?
Un altro dettaglio molto importante è la gestione rapida e ben orientata del pallone: è questo che fa la differenza tra un giocatore bravo e uno mediocre. Il primo può giocare anche sotto pressione. Senza pressione, tutti sanno fare un buon passaggio. Adesso (2010) hanno perfezionato i dettagli fino al punto che lo spettacolo più grande è quando il Barça non ha la palla. Questo è l’aspetto più importante del calcio di oggi: invece di tornare indietro si difende in avanti.
Come si è sviluppata la tua idea di calcio? In particolare, come ha influito la scuola dell’Ajax nella formazione dei tuoi concetti o nella metodologia dei tuoi insegnamenti?
Con Michels invece eravamo già tutti professionisti e si trattava di dominare il pallone. Tatticamente Michels ci insegnò molto, e per questo io ho sempre visto le cose prima degli altri. All’epoca si giocava un po’ all’avventura: subivi un gol e subito volevi segnarne due.
Ad esempio, con lui ho imparato che quando la difesa avversaria ha il pallone, un difensore è meno tecnico di un attaccante: se gli chiudi gli spazi per il passaggio, quasi sicuramente commetterà un errore. Non c’è bisogno di rubargli il pallone, perché il difensore te lo regalerà o lancerà lungo e quindi in ogni caso tornerà in tuo possesso. Io ero fisicamente esile e con la tattica mi si apriva un mondo. Prima era molto difficile giocare: noi ragazzini giocavamo per strada contro i più grandi, o nel cortile, e se cadevi erano dolori. La chiave del gioco era quindi evitare di cadere, ma per farlo avevi bisogno di una vista più rapida degli altri.
Adesso (2010) vedi il Barça e ti accorgi che sono i più svelti: sono sempre in movimento e questo è il vero grande cambiamento. Durante il mio periodo da allenatore, con un’iperbole dicevo che tutti i miei giocatori erano alti 1 metro e 50: Ferrer, Sergi, Eusebio, Bakero, Beguiristain. E adesso è la stessa cosa: sono tutti bassetti ma si muovono come topi. Qualcuno dice che questo può determinare pericoli sui calci d’angolo, ma per me la soluzione è non concedere i corner: così eviti il problema.
Arrivi a Barcellona con la tua “idea madre”, spieghi i concetti base e i giocatori li assorbono: ma solo questo non sarebbe bastato. C’era bisogno di insegnanti, infrastrutture e molto lavoro collettivo durante vari anni per sedimentarla.
Guardiola fa parte della mia scuola, con un fisico abbastanza esile: sa che bisogna aspettare la crescita dei giocatori e per questo allena i dettagli al di là della parte fisica.
Nelle categorie inferiori bisogna migliorare molto per arrivare in prima squadra, per questo bisogna cercare la qualità sin da piccoli. La visione di chi lavora nei settori giovanili è incentrata su chi sa dominare il pallone, a prescindere dal fisico.
Ci sono ottimi settori giovanili nel Mondo: in Feyenoord-Excelsior (2010) erano in campo ben 18 giocatori cresciuti in casa. Qual è il fattore che differenzia la cantera del Barça dalle altre e la rende migliore?
Anche all’Ajax succede qualcosa di simile: a 22-23 anni i migliori se ne vanno, e nessuno può guidare i giovani.
Nel Barça, invece, c’è un buon mix tra veterani e giovani: quando un ragazzo arriva in prima squadra, può essere più tranquillo perché il peso è sulle spalle dei più grandi.
La selezione dei giocatori nel Barça si fa soprattutto in Catalogna. Ti sembra una politica corretta?
Come si può garantire il futuro di un settore giovanile, per evitare che un presidente o un allenatore interrompano questo circolo virtuoso?
Adesso che il Barça B si è stabilizzato in Segunda Division (nel 2010; attualmente invece è in terza serie), pensi che si dovrebbe istituire anche un Barça C? Gli allenatori delle giovanili credono sia meglio di no: i giocatori devono passare direttamente dalle giovanili alla seconda squadra, per fare subito un salto di qualità.
I ragazzi vanno stimolati affinché possano fare un salto di qualità. Un calciatore deve giocare a livello competitivo: in ogni partita e in ogni allenamento c’è qualcosa da imparare. C’è così tanto da imparare nel calcio! Se sei un’ala devi saper fare tutto, altrimenti l’allenatore deve schierarti da terzino, per capire cosa succede quando sei tu ad essere lasciato solo contro l’avversario. È un insegnamento facile ma che può aiutare molto. Vincere tutte le partite 10-0 non ti insegna nulla. Si può imparare solo quando si compete con i più grandi e si perde.
La Masìa sta formando grandi giocatori, ma anche role models. C’è una maggioranza di giocatori davvero esemplari: è una casualità?
Quando allenavi il Barcellona, un giocatore giovane ti disse che aveva deciso di lasciare gli studi. Tu lo hai convocato alle 8 della mattina al Camp Nou per pulire gli scarpini dei suoi compagni.
Nel Barcellona ho fatto cose del genere anche in prima squadra: c’erano giocatori che buttavano il materiale direttamente per terra e io gli chiesi di metterle nel cesto dei panni sporchi, per evitare che le persone adulte che si occupavano della pulizia dovessero andare in giro a raccogliere gli indumenti. Aiutateli come loro aiutano voi, dissi. Ma queste sono cose normali: mi hanno educato così. Non è una mia invenzione: si chiama educazione.