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Fabrizio Gabrielli
Edouard Mendy le ha passate tutte
26 mag 2021
26 mag 2021
L'incredibile storia del portiere senegalese, da disoccupato a finalista di Champions League.
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Fabrizio Gabrielli
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Rue de la Cavée Verte costeggia una serie di campetti di allenamento, al termine dei quali un edificio dall’architettura anni ‘70 si staglia lungo la fascia di un campo più grande: è lo Stade de la Cavée Verte, il palcoscenico su cui si esibiscono, in partita, le squadre giovanili del Le Havre. L’edificio ha ampie finestre a vetri, dalle quali gli osservatori disegnano traiettorie di carriera immaginifiche per i giovani calciatori. Oppure ne decretano la fine.

 

Nel 2006, a Rue de la Cavée Verte, qualcuno - al termine della prima e unica stagione con le giovanili dell’HAC - ha detto a Edouard Mendy che sarebbero arrivati altri portieri e che probabilmente lui non avrebbe giocato mai più. «È stato come uno schiaffo», rircorda lui oggi. «Il primo, e mi ha fatto davvero male. Perché era il club della mia città, dove volevo fare successo. Rendere fiera la mia famiglia, il mio quartiere, il mio mondo». Che poi significa Montivilliers, sobborgo alle propaggini di Havre, dove Edouard è cresciuto giocando per strada coi cugini, uno dei quali è Ferland, oggi al Real Madrid.

 

Edouard, però, non perde la determinazione. Quel giorno torna a casa, lo dice al padre e alla madre, che sono disgustati per lui. «Non c’è sensazione peggiore di quella di rendere triste i propri genitori. I loro visi… Mi sono detto: non è possibile. Devo ridargli il sorriso». Per Edouard, la gioia degli altri, oltre che sua, passa per il successo. Non importa dove. Non importa quando.

 

Otto anni più tardi, Edouard è il terzo portiere del Cherbourg. La squadra non se la passa bene, lotta per non retrocedere, a quattro partite dalla fine del campionato è attesa a uno scontro diretto con il Boulogne-sur-Mer, in trasferta: una sconfitta potrebbe decretarne la retrocessione aritmetica.

 

Il Cherbourg perde, in effetti. La rete del 2-0 la segna un centrocampista che sembra essere ovunque, per tutti e novanta i minuti, che si chiama N’Golo Kanté. Oggi Mendy e Kanté sono compagni di squadra, nuovamente, al Chelsea: sabato si giocheranno la finale di Champions League. Sic transit gloria mundi, si dice. La loro, in qualche modo, è una storia che si somiglia, pur divergendo.

 

Per le ultime 3 partite del campionato, il titolare tra i pali del Cherbourg sarebbe stato Edouard Mendy. E anche per tutta la stagione successiva, se avesse accettato di rimanere. La Moigne, che era il suo allenatore dei portieri a Cherbourg, dice che Mendy è «il Kanté dei portieri». A differenza di N’Golo, però, Edouard non è solo partito dal nulla: a un tratto, ha anche perso tutto. Edouard, di fronte all’idea di una quarta stagione con il Cherbourg, impelagato nelle serie minori francesi, tentenna: come si fa a scegliere tra la tranquillità di un posto da titolare in quarta divisione e le magniloquenti promesse di un agente che lo proiettano, su un sentiero lastricato di promesse e imbonimenti, fino in Premier League? Edouard si fida, si lascia infinocchiare, raggirare se vogliamo. Questo fantomatico agente scompare, di punto in bianco, come avvolto da quei fumi bianchi di certi prestigiatori. Non risponde più ai messaggi, alle telefonate. Edouard rimane con un pugno di mosche. All’inizio della stagione 2014-2015, Edouard Mendy non ha una squadra. E, di conseguenza, non ha un lavoro.

 

La madre gli consiglia di andare al centro per l’impiego. «Hai lavorato, e quindi hai diritto alla disoccupazione». Edouard non sa come si fa, si fa guidare dalla sua famiglia, aiutare. Che ci piaccia o no, è questo il picco più alto della narrazione di Edouard Mendy, il punto di partenza di ogni ricostruzione della sua carriera, di ogni profilo, perché un calciatore al centro per l’impiego è l’occasione perfetta per spolverare i concetti - in effetti un po’ polverosi - di riscatto, rivincita, risalita: il momento dell’umiliazione - che è anche, però, una presa di coscienza piuttosto forte di uno stato di difficoltà - è il culmine dell’arrampicamento arrancato dopo il quale inizia il volteggio delle montagne russe. «Arrivi, fai la fila, ci sono ragazzi che sbraitano alla scrivania e gente che elemosina attenzioni. Quando è il tuo turno il consigliere fa del suo meglio, ma anche il più veloce possibile dal momento che dietro ci sono ancora cinquanta persone». Il racconto del giorno del colloquio è un quadro del paese reale, chissà quanti compagni di squadra di Mendy al Chelsea ne conoscevano l’esistenza. «Sei un caso tra gli altri, non presteranno più attenzione a te che agli altri. Faccio il colloquio, mi dicono “Che cerchi?”. “Un club, perché sono un calciatore”. “Ah, ma noi mica possiamo aiutarti!”».

 

Per la prima volta, in quel momento, Edouard Mendy comincia a pensare che forse il calcio non sia proprio il suo futuro.

 

La compagna di Edouard era incinta del loro primo figlio. Il sussidio di disoccupazione non sarebbe bastato, per sostentare tutta la famiglia. Edouard si è messo a cercare altro. Ha rifiutato un contratto con un club di CFA, la lega dilettantistica, perché gli proponevano 900 euro. Un suo amico aveva un negozio di abbigliamento, gli avrebbe fatto comodo qualcuno di fidato che lo gestisse per lui. Edouard sta quasi per accettare quando Ted Lavie, un suo compagno al Cherbourg, lo chiama per dirgli che un suo amico, Dominique Bernatowicz, responsabile dei portieri della squadra riserve dell’Olympique Marsiglia, sta cercando una quarta scelta. Mendy non si fa sfuggire l’occasione: non dice neppure alla moglie che sta andando a fare il provino. Solo ai genitori. «Mi ricorderò per tutta la vita quella chiamata. Mia madre aveva trattenuto le lacrime per un anno intero, si è sciolta. Ho rivisto il sorriso sui loro visi».

 

Proprio quando era entrato nel mood di piazzarsi dietro a un registratore fiscale per tutto il giorno, Edouard ha una chance. Sa che nessuna scalata è possibile, sa riconoscere che le gerarchie sono incontrovertibili. Potersi allenare con Steve Mandanda, però, leggenda dell’OM cresciuto proprio nelle giovanili del Le Havre, gli basta già. Mendy incrocia anche Marcelo Bielsa, per l’ultima settimana di permanenza dell’argentino, poi rimpiazzato da Michel dopo la sconfitta con il Caen alla prima giornata.

 

È una stagione caotica, quella. L’OM arriva tredicesimo, i tifosi assediano la Commanderie e lanciano bombe carta: durante la partita con il Bordeaux tentano di invadere la tribuna presidenziale. Ma Mendy non si distrae. Anzi, approfitta di ogni occasione di crescita. Sotto la guida di Stéphane Cassard migliora le lacune nella presa del pallone, la tecnica, cresce in esperienza. Soprattutto potenzia il gioco coi piedi, fedele alla filosofia di Cassard - perfetta per Bielsa - secondo il quale il primo rilancio, e il gioco dal basso, sono fondamentali.

 

Un proverbio wolof dice che quando il fiume è pieno, è silenzioso. Edouard non fa proclami, è sempre attento a non mettersi in mostra, non ha comportamenti eclatanti. Diligente, disciplinato, umile: tende l’orecchio a ogni occasione di crescita, sfruttandola. Quando il Reims, nel 2016, gli offre un posto da portiere di riserva in Ligue 2, ovviamente accetta. Per la prima stagione si limita a farsi trovare pronto quando chiamato in causa. Nella seconda stagione conquista la titolarità, e il Reims vince la Ligue 2. Mendy mantiene la sua rete inviolata 18 volte su 34 partite. «David Guion (l’allenatore, NdR) ha puntato tutto sulla coesione del gruppo: era la base del progetto. Si facevano degli stage “commando”, dormivamo sotto le tende, alle dieci e mezza di sera corsi di orientamento solo con la bussola, una lampada sulla fronte, sotto la pioggia...».

 


Foto di Visionhaus.


 

Edouard Mendy ha una scala di valori piuttosto solida, che poggia solidamente sul concetto di famiglia: fuori dal campo, e dentro il campo. Due idee che tendono a fondersi, a creare legami anche imprevedibili. Anche nelle scelte di carriera più importanti, la famiglia svolge un ruolo cardine. Quando ha scelto di ripartire da Marsiglia, Mendy ha lasciato la moglie (e il figlio) a Le Havre. La lontananza era il propellente a far bene. Il padre di Edouard, originario della Guinea-Bissau, gli ha detto che gli sarebbe piaciuto, un giorno, che avesse indossato la maglia degli “Djurtus”. Nel novembre del 2016 si presenta l’occasione: Baciro Candé lo convoca, e Edouard - che potrebbe essere convocato anche da Francia e Senegal - a sorpresa accetta. «Stavo attraversando un periodo complicato dal punto di vista personale, avevo quasi perso mio padre, che era molto malato, e volevo renderlo felice. Ma non era davvero la mia scelta. In tempi difficili, capita che non ci prendiamo il tempo necessario a riflettere, e perciò spesso non facciamo la scelta giusta».

 

Fortunatamente per la sua carriera, si trattava soltanto di una partita amichevole. Due anni più tardi, Aliou Cissé lo avrebbe convocato per il Senegal: con i Leoni di Teranga avrebbe giocato 409 minuti da titolare prima di subire la prima rete, nella gara dei gironi di Coppa d’Africa contro l’Algeria, e un infortunio alla mano che lo avrebbe costretto a rimanere in panchina nella finale, ancora contro l’Algeria. Da quando difende i pali del Senegal ha subito soltanto due reti. Le ultime due presenze, ovviamente impreziosite dalla rete inviolata, sono state contro la Guinea-Bissau, il suo passato.

 

Le stagioni giocate da protagonista con il Reims fanno sì che nel 2019 lo Stade Rennais, fresco vincitore della Coppa di Francia, lo individui come il portiere per la nuova stagione. A Reims, e anche a Rennes, dove rimarrà una sola stagione, Edouard Mendy viene sempre ricordato come un ragazzo rassicurante, padrone del campo, ma soprattutto un ragazzo perbene. Un altro proverbio wolof dice che un tronco d’albero, anche dopo aver passato molto tempo nel fiume, non per questo diventa un coccodrillo.

 

Il debutto con il Rennes è stratosferico, para un rigore, para tutto quello che c’è da parare, mantiene la porta inviolata: in totale lo farà nove volte in stagione, su ventiquattro partite giocate da titolare. Mendy ha il pregio, forse ne è un fattore concorrente o forse ha solo la fortuna di trovarsi nel punto giusto al momento giusto, di capitare a Rennes nella miglior stagione della storia dei rossoneri, in assoluto. Si piazzano terzi, alla spalle di PSG e OM, portando la Bretagna in Champions League. A questo punto della storia, arriva Petr Cech.

 

https://twitter.com/ChampionsLeague/status/1396828833613897737

 

Cech ha difeso i pali dello Stade Rennais tra il 2002 e il 2004, prima di trasferirsi al Chelsea. A Rennes, ad allenarlo, c’era Christophe Lollichon, poi diventato responsabile tecnico dei portieri per il Chelsea. Nel 2018, Lollichon parla per la prima volta a Cech di questo portiere che sta giocando una grande stagione in Ligue 2, a Reims. Gli racconta la sua storia, il periodo della disoccupazione, la ripartenza da Marsiglia. Nel 2020, durante il mercato estivo, il Chelsea cerca un portiere che possa fare concorrenza a Kepa Arrizabalaga, anche per spronarlo: Cech, come consigliere del club, fa una shortlist nella quale compare anche Edouard Mendy. Secondo Cech, il migliore della lista.

 

Mendy viene ingaggiato dai “Blues”, sarà un trasferimento record per un portiere di Ligue1: 26 milioni di euro. Appena un anno prima, il Chelsea aveva acquistato Kepa per la cifra record di 80 milioni di euro, la più alta mai pagata per un portiere.

 

L’adattamento di Mendy è sorprendentemente fluido, naturale, come fosse la cosa più naturale del mondo arrivare in un campionato nuovo, in una società gloriosa, alle spalle di un portiere giovane e pagato lautamente, e sovvertire tutte le gerarchie. Secondo Edouard, ad aiutarlo molto è stata la serie senza respiro di partite inanellate, una dietro l’altra: la continuità in campo gli ha permesso di accrescere la fiducia in sé stesso, e affinare l’affiatamento coi compagni. Anche se, come lamenta, «in confronto alla Francia il portiere non viene protetto: gli avversari ti bloccano, non ti fanno uscire dalla porta. Ma il contatto è qualcosa che mi piace. Non mi dà fastidio».

 

Nelle prime tre partite tra i pali del Chelsea colleziona tre clean sheet: l’ultimo a esserci riuscito, a Stamford Bridge, era stato proprio Petr Cech. La serie si allungherà a sei, nelle prime sette partite giocate, e poi a 12 in 22 presenze da titolare in tutta la Premier League. Tra i 210 portieri che, nella storia della Premier, hanno giocato almeno 10 partite a stagione, Mendy è l’unico ad aver collezionato una percentuale di imbattibilità superiore al 50% delle presenze. E la storia non è poi molto diversa in Champions League, dove aver impedito agli avversari di andare a segno per 8 volte su 11 partite giocate lo ha reso il portiere con il più alto numero di clean sheet tra quelli di una squadra inglese nella massima competizione europea.

 

https://twitter.com/OptaJoe/status/1396820727685427206

 

Ora potrebbe essere il secondo senegalese a vincere la Champions League, dopo Sadio Mané. Edouard Mendy mantiene la calma, anche se il suo è davvero uno di quei sogni a occhi aperti che entusiasmano, che rendono il calcio materia emotivamente ribollente. Ha rischiato di perdere tutto, per supponenza - e forse ingenuità. Ha ripreso in mano la sua carriera con abnegazione e spirito di sacrificio. Ha capito, foss’anche in maniera brutale, che ogni chance merita di essere colta, e poi coltivata. Edouard Mendy è davvero - e dà l’impressione - di essere un uomo

. Di fare il suo mestiere, di essere ciò che è voluto - e ha saputo - diventare. Gestisce le pressioni nella maniera in cui sa farsene carico chi ha vissuto sull’orlo del precipizio. Magari risulterà un po’ troppo

, un po’ troppo silenzioso: ma i saggi wolof sono saggi davvero, e lo sanno che il fiume, quando non fa troppo rumore, è solo perché è in piena.

 

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