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Daniele Manusia
Come l'Inter sfrutta Dzeko e Lautaro Martinez
17 mag 2023
17 mag 2023
Le due punte dell'Inter hanno fatto la differenza.
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Daniele Manusia
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Fabrizio Andrea Bertani / Imago
(foto) Fabrizio Andrea Bertani / Imago
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Sono passati venti minuti della semifinale di ritorno e l’intensità del Milan sta avendo una certa efficacia. Si gioca per lo più nella metà campo dell’Inter e l’occasione capitata dopo dieci minuti sui piedi di Brahim Diaz lasciava immaginare che anche in modo confuso e improvvisato un episodio che riapra il discorso qualificazione potrebbe accadere. All’Inter un contesto di questo tipo può anche andar bene ma deve provare ad abbassare i ritmi e guadagnare campo senza allungarsi, e poi lasciare che il tempo faccia il suo lavoro logorando i muscoli e i pensieri dei milanisti. L’unica scelta non forzata di Pioli nella formazione era stata quella di Thiaw al posto di Kjaer, per avere maggiore aggressività su Dzeko e Lautaro che, in effetti, fin qui hanno faticato a tenere su la palla. ___STEADY_PAYWALL___ Al ventunesimo il Milan sta costruendo sulla sinistra con Leao che, pressato da Dumfries torna indietro e prova a cambiare lato rasoterra su Calabria. Edin Dzeko arriva in copertura fino quasi al proprio limite dell’area e anticipa Calabria passandola a Dimarco che però, con Messias addosso, non riesce a fare di meglio che alzare la palla a campanile. Tonali di testa un po’ a caso in avanti, Darmian lo stesso ma in direzione opposta, la palla arriva sui piedi di Lautaro, stretto tra Krunic e Theo Hernandez. Lautaro controlla di sinistro poi usa l’esterno del piede destro per ruotare verso l’interno del campo. Theo è sorpreso dalla sterzata e perde una frazione di secondo ma c’è Tonali al raddoppio immediato. Lautaro fa una brevissima pausa, legge la situazione e si allunga la palla verso il centro, nello spazio svuotato da Barella che con un taglio verso l’esterno si è portato dietro Krunic. Lautaro si alza leggermente la palla, come se dovesse uscire da una pozzanghera o da banco di sabbia, per correre più veloce. Prende due metri a Tonali che, superata la metà campo, quando Lautaro rallenta, fa fallo. San Siro, quasi tutto nerazzurro, esulta e l’Inter può alzarsi nella metà campo offensiva senza correre rischi. [gallery columns="4" ids="91613,91611,91612,91610"] La ricerca delle punte era stato uno dei fattori anche dei derby passati e in questa semifinale di ritorno, nonostante le attenzioni di Pioli, il Milan ha sofferto di nuovo i duelli dei suoi centrali con i due attaccanti nerazzurri. Dopo aver contribuito al gol di Mkhitaryan nella partita di andata, con il velo che gli ha aperto la strada per il tiro, Lautaro ha segnato la rete che ha deciso la partita, andando poi a esultare scenograficamente sotto i propri tifosi, in piedi sui cartelloni pubblicitari come se si fosse messo d’accordo con i fotografi per realizzare uno degli scatti sportivi dell’anno. Non è mai stato così evidente, insomma, che la superiorità dell’Inter viene anche dai suoi attaccanti, ma è stato soprattutto il lavoro sporco che ha realizzato in coppia Dzeko per più di un’ora a fare la differenza. Anche quando non riuscivano a tenere palla, anche quando sbagliavano il passaggio, la spizzata di testa, la conduzione o il dribbling, Dzeko e Lautaro spingevano il Milan verso il basso come una coppia di impiegati della metropolitana di Tokio che premono, con le mani guantate di bianco, i corpi dei passeggeri dietro le porte che si chiudono. A proprio agio in questa specie di tiro alla fune con la difesa avversaria, consapevoli dell’utilità del proprio lavoro oscuro. Per capirne l’importanza tattica basta guardare due azioni del loro omologo in maglia rossonera, Olivier Giroud. Un maestro del gioco spalle alla porta e dei duelli aerei, che però si è ritrovato spesso isolato, sconnesso dal resto della squadra. [gallery columns="4" ids="91622,91621,91620,91619"] Nella prima occasione Giroud vince il duello ma i compagni a sostegno sono o troppo lontani (Leao gli va dietro alle spalle, Theo è a trenta metri di distanza) o schermati dagli avversari (Tonali e Brahim con davanti Mkhy e Barella). Giroud colpisce la palla ma la sua sponda finisce nel vuoto.

Nel secondo caso è Giroud a scegliere in modo controintuitivo, girando una sponda alle sue spalle, sul lato del campo dove Leao è da solo contro due avversari e dove lui non può vedere, anziché smorzare la palla per Messias. Da una parte è un problema di forma, individuale e di squadra, tecnico, tattico e psicologico. Per il Milan ieri sera era difficile trovarsi e dialogare ad alta intensità, tenere alto il ritmo, l’urgenza di una partita in cui doveva recuperare due gol, senza perdere qualità. Mentre l’Inter è maggiormente abituata, le prestazioni migliori in stagione (le due con il Barcellona, la vittoria con il Napoli) le ha giocate con il fuoco sotto ai piedi, esaltando il dinamismo del proprio centrocampo e appoggiandosi sulla forza dei due attaccanti. Dall’altra però è anche una questione strutturale. L’Inter difende con tre uomini su un solo centravanti, il Milan con due centrali su due attaccanti. Giroud fa da unico punto di riferimento sui palloni lunghi, statico, prevedibile; Dzeko e Lautaro si dividono il compito di regia offensiva con grande libertà di movimento. Ogni duello perso da Tomori e Thiaw genera potenzialmente una situazione di inferiorità e quando la palla arriva dalle loro parti il Milan va in apprensione, Theo e Calabria non possono allontanarsi troppo e anche Krunic deve fare la guardia. Non è stata una partita perfetta da parte dei due attaccanti interisti, sono stati imprecisi tecnicamente in alcuni momenti, in altri semplicemente caotici, ma con il passare dei minuti hanno piegato il contesto sulle situazioni che preferiscono. A inizio secondo tempo Lautaro ha fatto ammonire Thiaw anticipandolo con la punta del piede su un lancio lungo finito nel vuoto del centrocampo: è stata questa maggiore reattività, questa furbizia - dal francese fourbe: quello che ripulisce, il ladro che ti svuota le tasche - a togliere progressivamente energia alla difesa rossonera.

Una delle migliori giocate di Dzeko dal punto di vista tecnico: il cross di Barella è una sassata ma lui lo controlla come se avesse la colla sugli scarpini, poi in una frazione di secondo vede Mkhitaryan al limite dell’area e lo serve con la punta del piede. Il tiro finisce fuori ma la giocata di Dzeko resta notevole.

Nella sua ultima azione prima di uscire Dzeko sbaglia un passaggio per Dimarco che si era sovrapposto sulla sinistra, gli tira la palla troppo sulla corsa, sul calcagno per la precisione. Messias lo punta ma Dzeko non si fa saltare e va una prima volta al contrasto. La palla finisce su Calabria e Dimarco, non lontani, che si intrecciano come due wrestler e finiscono a terra, poi Messias controlla e prova a calciare in avanti, ma Dzeko ha accorciato di nuovo e lo chiude in fallo laterale. Poi viene sostituito, ma esce sereno come sempre perché Edin Dzeko non esce mai dal campo senza aver fatto il suo lavoro. Senza aver fatto tutto quello che poteva: proteggere palla, rifinire le azioni sulla trequarti, provare a fare gol (con un colpo di testa nel primo tempo aveva costretto Maignan al miracolo) ma anche pressare, disturbare, rompere il filo del discorso milanista.Poco prima, al 60esimo, Lautaro aveva raccolto un lancio di Brozovic, poco dopo la metà campo, sul lato destro del campo. Gli era andato contro Tomori che, come ricorderanno i tifosi di entrambe le squadre e gli stessi giocatori, aveva perso un duello terribile in Supercoppa, cadendo nella finta di Lautaro che aveva lasciato scorrere una palla lunga in area di rigore per poi concludere di esterno destro sul secondo palo. Stavolta Tomori non va per il sottile e da dietro scivola fermando in qualche modo la palla e facendo cadere Lautaro.

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Ma queste sono le situazioni che Lautaro preferisce. Senza neanche rialzarsi si gira verso la porta arpionando la palla col piede destro, poi punta Tomori e prova a saltarlo con un elastico interno-esterno. Prova a superarlo ma Tomori resiste e, nell’ultimo momento disponibile, riesce a tornare fermare il pallone e con l’anca a tenersi Lautaro dietro alle spalle. I due restano abbracciati così per un po’, anche quando Krunic prende il pallone e lo porta via, Tomori continua a proteggere una palla che non c’è più e Lautaro non vuole finire quel duello che sembra dargli gusto.Da questo tipo di situazioni Lautaro Martinez sembra uscire come nuovo, rigenerato, esaltato. I difensori che lo marcano, invece, sempre un po’ più stanchi, consumati. Pochi minuti dopo aver segnato l’1-0 Lautaro è andato di nuovo al tiro. Dopo aver controllato di schiena, senza vedere, in modo del tutto casuale, un lancio di Onana. La palla gli è rimasta lì e Lautaro non ci ha pensato due volte, ha preso la mira e ha calciato. Maignan era qualche passo fuori dai pali e per poco non si fa scavalcare. A Lautaro Martinez, a Edin Dzeko (che a un certo punto ha spedito un cross di sinistro tra i tifosi del secondo anello), all’Inter in generale, non interessa la pulizia tecnica, la precisione. La felicità non è nel controllo della partita - anzi, quando l’Inter si illude di controllare finisce col soffrire - ma in quei momenti in cui l’aria si scalda, in cui il campo da calcio diventa un terreno fangoso, una foresta pluviale in cui farsi strada col machete. Questo è il calcio che piace all’Inter di Inzaghi. Questo è il calcio che l’ha portata in finale.

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