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Gian Marco Porcellini
Ederson è l'ultima frontiera del portiere
13 dic 2017
13 dic 2017
Il portiere brasiliano sta rivoluzionando il suo ruolo e aiutando il Manchester City a risolvere i problemi che avevano afflitto la sua fase difensiva la scorsa stagione.
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Gian Marco Porcellini
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In un calcio sempre più universale, in cui in tutti i ruoli è richiesta una completezza tecnica sempre maggiore, anche il portiere è stato lentamente coinvolto in quest’evoluzione, a partire dal divieto di poter ricevere un retropassaggio con le mani (nel 1992). Oggi è diventato a tutti gli effetti un elemento attivo in entrambe le fasi di gioco e nel gioco di posizione di Pep Guardiola, che nasce da una prima costruzione bassa il più pulita possibile, l’influenza dell’estremo difensore aumenta ulteriormente. Con il tecnico catalano il portiere si trasforma in una sorta di regista arretrato, il primo della squadra, attraverso cui ricercare la superiorità numerica alle spalle delle linee di pressione avversarie già nei primi 20 metri di campo.

 

Inoltre, in un sistema in cui anche la riconquista del pallone viene spostata sempre più in alto, trascinando la difesa costantemente nei pressi della linea di centrocampo, il portiere diventa fondamentale anche senza il pallone, per coprire tutta la propria metà campo attraverso le uscite. Gli inglesi hanno ribattezzato questa interpretazione del ruolo con il termine“

” - letteralmente “portiere libero” - e per capire cosa si intende basterebbe passare in rassegna i portieri allenati dallo stesso Guardiola nel corso della sua carriera: Victor Valdes, Manuel Neuer ed Ederson Moraes. Anche solo analizzando questi tre è possibile intravedere l’evoluzione che sta investendo il portiere negli ultimi anni. In questo senso, Ederson può essere considerato la versione più moderna dello sweeper keeper, ormai sempre più vicino ad essere un vero e proprio giocatore di movimento.

 


L’allenatore del Manchester City ne era rimasto impressionato già nel 2016, quando lo incrociò nei quarti di finale di Champions League in un Benfica-Bayern Monaco che vedeva il catalano sulla panchina bavarese e il brasiliano a difendere la porta delle “Aquile”: «Quando abbiamo provato ad analizzare il Benfica -

Guardiola in estate, in riferimento a quella gara – abbiamo visto come calciava Ederson e abbiamo organizzato una riunione per dirci: “Ragazzi, cosa c’è che non va? Com’è possibile?”».
In quella partita Ederson dimostrò tutta la varietà e la qualità del suo repertorio, in affinità allo stile di gioco proprio di Neuer, che difendeva i pali del Bayern Monaco. Il portiere brasiliano permetteva al Benfica, che aveva difensori piuttosto lenti nel coprire la profondità alle proprie spalle, di mantenere la linea difensiva ad un’altezza abbastanza alta, accorciando così la squadra. Il Benfica, dal canto suo, sapeva di poter contare su un estremo difensore in grado di coprire quei 30 metri alle spalle della linea di difesa con una reattività sbalorditiva.

 

Ederson, tra l’altro, era uno dei più abili tecnicamente tra gli elementi della difesa portoghese. I difensori, quando erano chiamati a costruire dal basso e non avevano opzioni di passaggio corto, preferivano scaricare sul portiere brasiliano, la cui sensibilità nel gioco lungo gli permetteva di superare la pressione con un rinvio diagonale verso il terzino o con un lancio lungo verticale direttamente verso Mitroglu. Alla fine di quel quarto di finale, vinto dal Bayern con un 3-2 tra andata e ritorno, Ederson risulterà il secondo nelle fila portoghesi per numero di passaggi tentati a partita: 40,5. Un dato che denota da un lato le difficoltà della formazione di Rui Vitoria nel risalire il campo, dall’altro la fiducia riposta dalla squadra portoghese nel proprio portiere, che prima della sfida d’andata aveva disputato soltanto un’altra partita in Champions.

 

Nato nel 1993, Ederson è tornato al Benfica nell’estate del 2015 dopo due anni nel settore giovanile, un campionato di serie B portoghese con il Ribeirao e due di Primeira Liga con il Rio Ave. Fino a marzo 2016 veniva di fatto considerato la riserva di Julio Cesar. L’infortunio dell’ex portiere dell’Inter ha poi assunto i connotati del passaggio di consegne: un avvicendamento divenuto presto definitivo, con Ederson titolare anche la stagione successiva, in cui vincerà campionato, Coppa portoghese, Coppa di lega, in cui

miglior portiere del torneo.

 

In estate il trasferimento per 35 milioni di sterline al Manchester City l’ha reso il secondo portiere più costoso della storia del calcio dopo Buffon e ha aumentato il carico di pressioni su di lui e su Guardiola, che ha speso una piccola fortuna pur di trovare un portiere funzionale alla sua idea di calcio e capace di fornirgli quegli standard di rendimento che Bravo non garantiva la scorsa stagione.

 

Una cifra che è ancora più grande se pensiamo alla scarsa esperienza internazionale di Ederson fino a quel momento e al fatto che fosse ancora fuori dal giro della nazionale (debutterà con il Brasile soltanto l’11 ottobre, anche per via della grande concorrenza rappresentata da Alisson). Adesso, però, alla luce delle caratteristiche messe in mostra e quindi della futuribilità di questo talento, la cifra pagata dal Manchester City diventa molto più accettabile. «Come passaggi corti e lunghi prende sempre la decisione giusta e legge le situazioni molto bene –

Guardiola al suo arrivo - questo è il motivo per cui l’ho voluto, perché per competere ad alti livelli ci servono due portieri eccellenti».

 


Non solo Ederson si sta dimostrando all’altezza della situazione, ma sta anche contribuendo a risolvere i problemi che hanno afflitto il Manchester City lo scorso anno. Uno dei suoi punti di forza è costituito dalle uscite: siano esse in anticipo, a contrasto o in opposizione, il brasiliano è quasi sempre efficace e vince la maggior parte dei duelli che ingaggia quando abbandona la sua porta. Come con il Benfica, non si deve limitare a difendere la porta, ma anche i 10-15 metri fuori dall’area nel caso in cui la difesa sia molto alta sul campo.

 

Alla base del tempismo dei suoi interventi c’è una spiccata sensibilità nel leggere il gioco, ma anche un’esplosività atletica sopra la media per il suo ruolo, che gli permette di anticipare l’attaccante anche quando parte da situazioni di svantaggio. Ederson sembra lanciato da una fionda quando esce dalla porta, non appena realizza che potrebbe intervenire sulla palla.

 


Qui recupera con un’uscita ai limiti della sfrontatezza.


 

Uno stile rischioso, necessario quando si tiene la linea difensiva così in alto, che lo porta a prendersi responsabilità superiori rispetto ai portieri più conservativi: se Ederson sbaglia i tempi dell’intervento, infatti, per la squadra avversaria sarà quasi sicuramente gol - un errore di questo tipo, di coordinazione tra Ederson e la difesa del City ma anche solo nel tempismo scelto dal portiere è avvenuto appena una settimana fa, in Champions League contro lo Shaktar - oppure dovrà provare a rimediare con un fallo, esponendosi a espulsioni (finora ne ha presa solo una) o contrasti duri con gli attaccanti.

 

Esemplare in questo senso

nel 5-0 al Liverpool, in cui Ederson, nell’anticipare di testa l’attaccante senegalese, ha preso un calcio in testa ed è stato costretto ad uscire per un bruttissimo infortunio (Mane è stato espulso anche se riguardando l'azione il colpo non è sembrato volontario). Nella conferenza stampa post partita, Guardiola, nell’analizzare l’episodio, ha spiegato l’altro motivo, oltre al gioco con i piedi, per cui abbia scelto Ederson: «Restiamo alti a tal punto che il portiere deve coprire tutta l’area per aiutarci su quei palloni filtranti, specialmente quando il campo è bagnato e la palla arriva in quella posizione. È importante per i nostri difensori sapere che sui palloni lunghi hanno un uomo in più che può dare loro una mano».

 

Nelle uscite a contrasto attacca la palla in uscita bassa solo se è lontano, se no cerca di coprire lo specchio della porta con

. Si tratta di una tipologia di intervento mutuata dall’hockey sul ghiaccio e dal futsal, introdotta nel calcio a 11 dalla scuola brasiliana, che prevede un ginocchio a terra (solitamente quello più lontano dal palo che si vuole coprire) e l’altra gamba divaricata, con il tronco eretto. Questo posizionamento, se assunto a 1-2 metri dall’avversario, consente di aumentare il volume rispetto ad un’uscita bassa (in particolare permette di difendere i pallonetti) e di evitare contatti fallosi o traumatici. Ovviamente ha anche delle controindicazioni, che risiedono in una maggior staticità e vulnerabilità sui tiri rasoterra.

 

Per tempismo ed esecuzione, Ederson rappresenta uno dei migliori interpreti in circolazione di questa uscita. Lo slancio e l’esplosività con cui esegue queste uscite potrebbero farne sembrare alcune persino troppo grezze, perché condizionate dalla sua fisicità eccezionale, ma in realtà a livello tecnico la sua croce è da manuale, al punto che a volte sembra quasi anticipare il tentativo a rete.

 


Qui un esempio di uscita bassa. È stupefacente il riflesso sulla finta di suola del giocatore dell’Oriental.


 

A volte però, e questo è l’unico appunto che gli si può fare sulle uscite, la ritrosia a sbilanciarsi in avanti lo porta talvolta ad andare a terra con il fondoschiena in leggero anticipo sulla conclusione, soprattutto quando non riesce ad accorciare in tempo dell'intervento.

 

La sua generale tendenza ad abbandonare la porta senza farsene un cruccio troppo grande si può riscontrare anche sui cross dalle fasce e sui calci piazzati, in cui interviene spesso e volentieri in presa alta, di pugno o a mano aperta per allontanare la sfera. A volte è addirittura troppo avventuroso, soprattutto quando la palla spiove lontano dall’area piccola, e una respinta non produce effetti significativi se non quello di sguarnire la porta. Ma in generale la sicurezza con cui gestisce questo aspetto gli permette di diminuire le sbavature al minimo.

 


Ma la grande modernità di Ederson si esprime principalmente attraverso il gioco con i piedi, così valido che non sfigurerebbe nell’impostazione dell’azione anche in una posizione più avanzata, magari da difensore centrale, se in quel ruolo si dovesse davvero solo costruire solo l’azione dal basso.

 

Al Manchester City Ederson fa un gioco molto diverso rispetto a quello che faceva in Portogallo - in particolare è diminuita sensibilmente la lunghezza media dei passaggi, dai 44,24 metri del 2016-’17 agli attuali 27,9 – e anche rispetto al suo predecessore Claudio Bravo gioca più palloni e con una maggior precisione: il cileno nella scorsa stagione si è fermato a 23,29 passaggi in media su 90 minuti, con il 79% di accuratezza; Ederson invece ne effettua 25,9, di cui l’85,5% completati. Numeri che aiutano a capire come il brasiliano sia riuscito a conquistarsi la fiducia dei compagni, che non esitano ad affidarsi a lui anche sotto pressione (nel derby con lo United, Walker gli ha passato una palla con Martial in pressione con una forza decisamente eccessiva, ma lo stop di Ederson di piatto sinistro è stato perfetto). Come detto, un portiere di questo tipo diventa una fonte di gioco supplementare, da sfruttare per ricercare la superiorità numerica attraverso un cambio di gioco o un passaggio taglia linee. Anche quando gli viene chiuso il sinistro, il suo piede naturale, sa usare il destro in maniera sufficientemente buona per calciare lungo.

 


L’approccio proattivo di Ederson: serve con le mani Otamendi e si allarga subito per fornire un’opzione di passaggio al difensore argentino.


 

Ederson nel gioco lungo pare a proprio agio esattamente come in quello corto. Anzi, è proprio nei lanci che dimostra maggiormente la sensibilità dell’intera superficie del piede sinistro, capace di colpire la sfera di mezzo esterno, collo pieno o interno. Tra l’altro quando esegue un rinvio di 60-70 metri non lascia mai andare completamente la gamba, il che testimonia della sua potenza fisica, che non lo costringe mai ad uno sforzo massimale per raggiungere il compagno.

Per dare l’idea della potenza e della precisione del suo calcio, basti pensare che due rinvii nelle giovanili del Benfica si sono trasformati in gol, mentre contro il Vitoria Guimaraes (5-0), nella stagione passata di Primeira Liga, è riuscito addirittura a servire direttamente l’assist a Raul Jimenez.

 


via Manchester City


 

La fiducia dei suoi compagni è tale che, in

realizzata dal canale YouTube del City, Fernandinho ha scherzato sulle qualità di Ederson sui calci di punizione, esortando Guardiola a fargliene tirare qualcuno. Chissà che in futuro, magari in un campionato meno probante e in una squadra più povera tecnicamente, l’ex Benfica non si possa davvero cimentare in qualche punizione diretta, sulla scia dei grandi specialisti del recente passato, come Chilavert e Rogerio Ceni.

 



La capacità di vedere il gioco si riflette anche nelle sue parate. Cogliere Ederson fuori posizione è davvero difficile per via della sua incredibile qualità in posizionamento, che si esprime principalmente nei passi propedeutici al tuffo, con cui prepara la parata e corregge eventuali errori di posizionamento. Sui tiri angolati più improvvisi non si fa prendere dalla tentazione di tuffarsi subito, anche perché non possiede una grandissima spinta con le gambe in tuffo o un’altezza che gli permetta di coprire subito tutto lo specchio (1,88 metri, qualche centimetro sotto la media).

 

Nelle prese basse e in generale nelle conclusioni vicine al corpo emerge invece la sua abilità nell’andare a terra. In questi casi, la statura lo agevola nell’accartocciarsi sulla palla o nel coprire con gli arti anche lo spazio accanto al busto che altrimenti rimarrebbe sguarnito. Dopo il tuffo, ha grande elasticità nel rialzarsi: dalla velocità con cui va a terra e torna in piedi a volte sembra quasi un omino del Subbuteo. La sua propriocettività - cioè la percezione della posizione del proprio corpo nello spazio - viene esaltata dai tiri da distanza ravvicinata, in cui elabora il movimento più efficace per opporsi ad un tentativo a rete in una frazione di secondo.
Come sempre, non è tutto oro ciò che luccica, e soprattutto sulle conclusioni centrali il portiere brasiliano riscontra difficoltà nel portare la palla al petto, così come nel trattenere i palloni alti. Più in generale, quello di Ederson è uno stile non propriamente convenzionale, a volte rivedibile esteticamente, ma estremamente efficace, mirato in primo luogo ad allontanare la palla verso l’esterno sfruttando l’intero volume del corpo. Si tratta di uno stile depurato da eccessi o tuffi superflui, non affettato, che nonostante abbia prodotto nel corso della sua breve carriera numerose

da YouTube, conserva un approccio estremamente razionale e istintivo. Se per anticipare un attaccante sceglie di superarlo con uno scavino prima di passarla al compagno, ad esempio, Ederson non vuole compiere un preziosismo fine a se stesso, ma piuttosto la giocata più immediata per rompere il pressing avversario. Questo è l’unico modo in cui sa giocare, non c’è nulla di costruito o indottrinato.

 

Ederson è lontano dallo stereotipo del portiere fenomenale e pazzo, a suo modo è sì geniale e un’avanguardia nel suo ruolo, ma è anche grazie alla sua regolarità e alla costanza di rendimento se è riuscito a trasmettere sicurezza al reparto difensivo del Manchester City che aveva molto sofferto nella scorsa stagione. Indubbiamente il contesto quanto mai funzionale alle sue caratteristiche ne ha facilitato l’inserimento in rosa, ma vanno tenute conto anche le difficoltà di chi è condannato a farsi trovare sempre pronto nonostante venga sollecitato più dai compagni che dagli avversari (in Premier League sta subendo la miseria di 5,9 tiri a partita).

 

Sarà quindi interessante capire se Ederson Moraes sarà in grado di mantenere il livello delle proprie prestazioni così in alto, in una squadra in cui è investito di molte più responsabilità di un portiere qualunque.

 

 

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