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Stefano Borghi
E se fosse la volta buona per l'Argentina?
21 giu 2017
21 giu 2017
È presto per capire come andrà, ma Sampaoli è un uomo con una missione da compiere.
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Stefano Borghi
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Dopo aver conquistato la panchina più cara, desiderata e importante della sua carriera, Jorge Sampaoli ha dovuto rovistare nella dispensa per cercare un ingrediente nuovo da aggiungere alla sua avanguardistica ricetta: il sentimento.

 

La maggior parte dei calciatori che ha avuto a che fare con lui ti dice che il primo e più importante insegnamento del Pelado è stato quello di coltivare l’ambizione. Gli uomini di Sampaoli devono essere convinti di quello che fanno, e maturare la convinzione che la vittoria passa attraverso - prima di tutto - la sicurezza in se stessi. Poi c’è tutto il resto: gli schemi, i sistemi, le idee. Ma non c’era mai stato, come c’è adesso, anche il sentimento.

 

Il concetto fondamentale, che trasuda dalle sue rivelazioni da quando ha assunto il timone dell’Albiceleste, è stato: «Il mio progetto non riguarda un elenco di giocatori, ma 40 milioni di argentini».

 

Ed è già una mezza specie di manifesto: l’obiettivo principe, ambizioso, parte dalla dichiarazione che stavolta non si limiterà a portare una di quelle rivoluzioni tattiche alle quali ci ha abituato altrove, spesso con esiti sconvolgenti. Jorge Sampaoli vuole andare oltre: non si vuole solo mettere alla testa di un gruppo di giocatori, per quanto nutrito, ma di un’intera Nazione, un popolo di tifosi stremati da venticinque anni senza trofei di rilievo, nonostante siano passate almeno un paio di generazioni di giocatori che ne promettevano a cascate. Il fatto che a tenerlo a battesimo sia stato il Brasile, sconfitto a distanza di cinque anni dall’ultima volta, è già di suo un assist dal destino.

 

Per una squadra come quella Albiceleste, l’avvento di un rivoluzionario come Sampaoli non poteva essere più puntuale. Il “zurdo” (mancino) porta con sé una storia di rottura, sa dosare le promesse in bilico tra il sogno e il pragmatismo; e poi è un personaggio capace di essudare populismo. Non gli risulterà difficile ergersi a paladino, mille volte più di quanto abbia saputo fare il suo predecessore Edgardo Bauza.
Saprà anche risanare il complicatissimo rapporto con la stampa argentina, contro cui ancora i giocatori sono ancora in aperto conflitto (anche dopo lo show di Melbourne nessuno si è fermato a rilasciare dichiarazioni), che si è affrettata a sottolineare i tratti da capopopolo del nuovo condottiero e che, non a caso, ha dato molto risalto al fatto che Sampaoli, per liberarsi dal suo precedente impiego, abbia accettato di anticipare di tasca sua gli 850mila dollari che servivano per soddisfare le richieste del Siviglia. Così come la stampa argentina non ha perso occasione di sottolineare marcatamente che il quinquennale firmato con la AFA gli porterà uno stipendio inferiore a quello che percepiva in Spagna, e che contribuirà personalmente all’ingaggio del suo staff.

 



Lo staff, per Sampaoli, è davvero affar serio. Tracciarne la composizione ha richiesto diverso tempo, ma è stata una condizione imprescindibile: tramontata l’ipotesi di avere Juanma Lillo al fianco come secondo, la scelta è ricaduta su di un altro suo socio storico, Sebastian Beccacece, che - con la lealtà che contraddistingue i sodali del caudillo - ha rinunciato ad essere il capo-allenatore del Defensa y Justicia (col quale stava facendo la storia del club in Copa Sudamericana, dove ha eliminato il San Paolo) per rispondere alla chiamata alle armi di Sampaoli.

 

Ad accompagnarlo ci saranno anche altre figure evocative, come l’ex giocatore di Lazio e Atalanta Lionel Scaloni che si occuperà di analizzare i rivali, il suo fido preparatore atletico Jorge Desio, Matias Manna che fa l’analista video ed è docente alla Universidad de Chile o Francisco Meneghini, uno che viaggia per il mondo osservando partite su partite e riempiendo tonnellate di taccuini. Uno che ha lavorato con Bielsa e – si dice – sia stato consigliato a Sampaoli proprio dal Loco.

 

Con una squadra di collaboratori del genere, creare le condizioni della rivoluzione è una sfida che non lo spaventa, nonostante i tempi ristretti: anche l’anno scorso Sampaoli è arrivato a Siviglia in mezzo a una selva di fucili spianati, armati di uno scetticismo tanto profondo quanto figlio della “non conoscenza”. E il risultato è che in due mesi aveva già ai suoi piedi sia il popolo che la critica, e che per due terzi di stagione ha sconvolto la Liga in un modo che non si vedeva da tanto tempo. Non sembra essere una difficoltà nemmeno il fatto di dover lavorare sulla sua creatura solo in certi periodi dell’anno e non quotidianamente: conosce queste dinamiche, visto che è stato con la Nazionale cilena che ha trovato il grande trampolino della sua carriera.
Tutto è pronto, tutti sono pronti. L’incognita maggiore è capire come sarà la sua Argentina. Come sarà organizzata dentro e fuori il campo. Le prime due uscite, contro Brasile e Singapore, ci hanno dato qualche indicazione.

 

Innazitutto, Sampaoli non ha perso tempo: ha subito dettato le linee, ha subito cominciato a lavorare, e ha subito ricevuto riscontri. Fin dal primo allenamento ha organizzato esercitazioni specifiche per inculcare nella mente del gruppo quello che vorrà vedere sul campo. Il punto di partenza è stato lavorare sul recupero di palla, da ricercare in modo corale: un po’ per questo - e un po’ perché è veramente lo slogan di questo nuovo corso - la parola più usata da Jorge Sampaoli nei confronti dei suoi giocatori è stata “juntos”. Uniti.

 



 

I primi risultati si sono visti già nell’aggressività sfrenata con cui i suoi pressavano altissimi contro il Brasile.


 

Anche sull’uso e la gestione del pallone c’è già stato del lavoro specifico, anche se poi - vista la qualità e la peculiarità degli interpreti a disposizione - l’idea è quella di non ingabbiare il talento, ma al contrario di liberarlo e scatenarlo.

 

I principali esercizi svolti prima del debutto, al fine di insegnare i suoi concetti in tema di pressing e riconquista del pallone - ma anche di stimolare la squadra ad attaccare con quanti più elementi possibile - sono stati quattro:

 

1) “Larghi e stretti”. Ovvero: larghi quando si gioca la palla, stretti quando si porta il pressing. Si mettono tre giocatori liberi di gestire il possesso palla e si organizzano due gruppi che si alternano per recuperarla e poi smistarla, generando spazi.

 

2) Recupero palla in inferiorità numerica: in un rettangolo vengono formati due gruppi, uno di dieci e l’altro di sei giocatori. Il pallone è inizialmente della squadra in superiorità numerica, mentre l’altra deve recuperarlo compattandosi, addensandosi e scegliendo il momento giusto per attaccare in pressing.

 

3) Impostazione dei centrali: in un quadrato, con i difensori in possesso palla, si formano due gruppi: uno che difende e uno che attacca cercando di generare una superiorità numerica e di sfruttarla.

 

4) Attacco con sostegno: in una situazione esclusivamente di attacco, una squadra completa di dieci giocatori si riversa interamente in una metà campo, generando continue ondate di attacchi e costruendo situazioni da gol partendo dal possesso palla.

 

Queste tecniche di allenamento sono propedeutiche all’applicazione del suo progetto tattico, che si basa in primo luogo sulla costruzione paziente del gioco di posizione.

 



 

 

Una volta costruito il possesso palla con cui controllare la partita, c’è la ricerca di continui corridoi interni - negli spazi di mezzo - ed esterni - lungo la linea del fallo laterale - tramite l’avvicinamento e l’allontanamento dei giocatori, che si sganciano dalle posizioni secondo una strategia costruita per superare il pressing avversario.

 



 

Corridoio interno magistralmente sfruttato da Mercado.


 

L’obiettivo finale, ovviamente, è la ricerca costante della superiorità numerica. Sulla traccia di questa “tavola dei comandamenti”, Sampaoli ha immediatamente cominciato a costruire una squadra tipicamente sampaoliana: vale a dire mai con una forma stabile (nei primi 90’ con il Brasile ha presentato tre moduli: un 3-4-2-1, poi 4-2-3-1 e 4-3-3; contro Singapore, in vena di esperimenti, ha addirittura messo in campo un suggestivo 2-3-5 che si è rivelato una rilettura del 4-1-4-1 di Guardiola), sempre densa e compatta, costantemente in grado di sorprendere sia negli interpreti che nelle dinamiche.

 

Il risultato, in alcuni casi, è stato bielsismo puro, come in questa verticalizzazione vertiginosa su Di Maria, ispirata dal playmaking di Biglia in posizione bassissima e dalla qualità del mancino di Dybala:

 



 

 



Insomma, già dalla partita con il Brasile (più che dalle sperimentazioni DaDa con Singapore) si è potuto intuire qualche primo tratteggio dell’arazzo che Sampaoli ha in mente, anche e soprattutto in termini di scelta degli interpreti che andranno a curare l’applicazione pratica del suo pensiero.

 

Anche se non ha potuto schierarlo in nessuna delle due partite, a causa di noie muscolari, Sampaoli ha subito chiamato Icardi, motivando la convocazione come una decisione dettata dal rendimento stagionale del capitano dell’Inter (o forse, più plausibilmente, come una introduzione al gruppo), lodandolo in conferenza. Sfatando, in ogni caso, la radicata convinzione del suo predecessore Bauza nel preferirgli Lucas Pratto, che è stata una delle posizioni più unanimemente contestate nella storia del calcio, almeno di quello argentino.

 

Imporre una scelta dibattuta può anche essere l’attestazione di un imperativo categorico: la legge che vigerà all’interno dello spogliatoio argentino, se mai ce ne sarà una, sarà solo e soltanto quella che vorrà imporre il Direttore Tecnico. L’Argentina è un paese strano, nessuno si fa problemi a dirti in faccia che Icardi sarebbe il “9” perfetto per la Selección; però poi dietro ti sussurrano che forse non è il caso di chiamarlo per “problemi ambientali”. Laggiù, la comunicazione (e, più ad ampio spettro, la vita) è fatta di codigos, di codici a volte incredibilmente criptati. Sampaoli lo sa e, da argentino purosangue, sposa questa situazione. Con la postilla che i codigos ora in vigore saranno i suoi.

 

A livello di sistema di gioco, gli esperimenti hanno portato all’orizzonte alcune nuove certezze. Su tutte, la sensazione che la base sarà una difesa a tre, con la quale l’Argentina non gioca dai tempi di Marcelo Bielsa e che avrà il suo epicentro in Javier Mascherano. Il “Jefecito” – infortunatosi nel finale di stagione e indisponibile per le prime due uscite della nuova Argentina - è stato rimpiazzato con Federico Fazio (in gol all’esordio con Singapore). Non due giocatori paragonabili, è chiaro, e questa decisione sembra inclinare la prospettiva verso la conferma, quando possibile, di Mascherano come perno centrale del pacchetto arretrato.

 

Attorno a Mascherano, che verrà utilizzato da novello (o rassegnato) Beckenbauer, prende corpo l’idea che l'Argentina abbia bisogno di due marcatori molto fisici ma anche reattivi e propulsivi: il pressing alto chiede un forte dispendio fisico, e apre al rischio di voragini difensive difficili da colmare.

 



 

 

Un punto fisso è Gabriel Mercado, che Gallardo e Sampaoli hanno plasmato portandolo a performance di un livello che si è spinto oltre ogni previsione, e che - sempre per la forza del destino che strizza volentieri l’occhio a chi lo provoca - ha firmato il successo all’esordio; il terzo posto è per un giocatore del tipo di Otamendi (ruvidamente impeccabile alla prima), Musacchio, Funes Mori o appunto Fazio: calciatori con una comprovata esperienza europea che dovranno tuttavia sapersi guadagnare i gradi.

 

Ma anche Facundo Roncaglia, un elemento che ha dalla sua una polivalenza sulla quale Sampaoli fa molto affidamento, e Mammana, che rappresenta un po’ il futuro da costruire e confermare, potranno avere spazio. Senza trascurare opzioni come Maidana e Pinola, esponenti di un campionato locale il cui livello generale è in continua discesa (anche se il River Plate gioca un calcio bellissimo) ma che sicuramente godrà di grande considerazione, non foss’altro perché – come già detto – questa Selección dovrà rappresentare, in primis, il popolo argentino.

 



 

Una chiusura perentoria di Gabriel Mercado in una recente sfida contro il Cile: il presente, il passato e il futuro di Sampaoli in un tackle brutale ma preciso.


 

I laterali, i cosiddetti carrilleros, ora come ora sono il più grosso punto di domanda: Gómez (titolare a destra contro il Brasile) del Lanús è giovane e in patria è esaltatissimo dalla critica, ma quando è stato portato su palcoscenici internazionali non ha convinto così tanto - né nelle Olimpiadi, né tantomeno in Australia.

 

La prestazione rivedibile di Tagliafico dell'Independiente (subentrato nel secondo tempo al posto di Gomez, e regolarmente irriso dal laterale brasiliano avversario, qua Willian) pone più di un interrogativo, ragion per cui guerrieri forgiati dal fuoco inglese come Zabaleta e Rojo – una volta ristabiliti dagli infortuni – potranno legittimamente (continuare a) candidarsi, così come Acuña del Racing o Salvio del Benfica, esterni ai quali Sampaoli ha demandato compiti di copertura con Singapore, con buoni risultati.

 

E poi c'è la possibilità, praticamente una certezza, che il “comandante” possa inventarsi qualcosa di incredibile e, per sua definizione, impossibile da prevedere. E forse conviene andare per esclusione, tenendo a mente che i punti fissi del sistema offensivo di Sampaoli saranno un centravanti vero (Icardi o Higuaín, che però contro il Brasile ha steccato malamente prolungando l’agonia di un finale di stagione in sordina), più il duo creativo: Messi e Dybala. Entrambi inquadrati in un sistema di comunicazioni e lasciati liberi di smistare palloni, indipendentemente dalle posizioni di partenza e da ruoli posticci inseriti in una formula numerica.

 

Togliendo dunque tre difensori e tre attaccanti, rimangono quattro ruoli nei quali sbizzarrirsi con l’immaginazione. Uno spazio nel quale sono potenzialmente collocabili tutti coloro i quali compongono la sterminata lista dei calciatori a cui Sampaoli potrebbe affidarsi. Il nome più illustre, forse, quello a cui va trovato in qualche modo una collocazione, è quello di Ángel Di María, che ha qualità lampanti ma che – soprattutto secondo la convinzione dominante in Argentina – avrebbe bisogno di una scossa temperamentale.
Sampaoli sembra avergli chiesto umiltà, piazzandolo a fare l'esterno a tutta fascia contro il Brasile, a sinistra, perché la legge imperante sarà questa doppietta di sostantivi: sacrificio e dedizione. E a giudicare da quanto visto alla prima, il Fideo minaccia di essere l’ultimo iscritto al partito dei giocatori ai quali verranno offerte prospettive nuove e piaceri inediti.

 

Altro nome che potrebbe venire esaltato dal sistema di Sampaoli è quello dell'ex sampdoriano Joaquín Correa: il Tucu l'estate scorsa è sbarcato a Siviglia su richiesta espressa dell’allenatore, addirittura allucinato dalla capacità di un ragazzo alto quasi un metro e novanta di tenere un simile livello tecnico a tali velocità. Ci hanno messo un po' a prendersi, ma quando l'hanno fatto è fiorito un bouquet straordinario: Correa ha giocato in svariati ruoli, ha difeso, ha attaccato, ha convogliato in modo sempre più giusto tutto il suo potenziale e ha finito la stagione risultando imprescindibile nell’economia della squadra.

 

Poi c'è una sfilza di candidati in cerca di spazio e soprattutto di una dimensione ancora più alta rispetto a quella già raggiunta: Biglia, il magnifico rettore della mediana nella partita contro il Brasile, ma anche Banega, Lanzini (impegnato come enganche basculante tra le posizioni alle spalle di Dybala e al fianco di Correa, contro Singapore), Paredes, Ángel Correa e persino Guido Rodriguez o Enzo Pérez (oltre ai local-lads Nacho Fernández, Alario e Driussi), tutti elementi che nel calcio del nuovo CT argentino possono provare a spingersi verso orizzonti inesplorati e fornire alternative decisive. Molti di loro sono stati testati con Singapore, non una partita probante tatticamente, ma decisiva per comprendere l’attitudine alla novità, al sacrificio, in alcuni casi allo snaturamento.

 



 

Cross di Driussi, tiro al volo di Nacho Fernández. Ammesso e non concesso che restino al lungo al River, l’Argentina “argentina” di Sampaoli sono anche e soprattutto loro.


 

Materiale ce n'è parecchio; e se c'è uno al quale non manca l'energia e l'ispirazione per impastarlo quello è Jorge Sampaoli, che ha appena inaugurato l’avventura lavorativa più importante della sua vita, e che per il successo vuole puntare – ora più che mai – solo su se stesso. Partito dall’Argentina con un’aura da Che Guevara e diventato poi Fidel Castro, nato sognatore e arrivato ad imporsi come stratega, più argentino del mate e per la prima volta dalla parte dell'Argentina, l'hombrecito Sampaoli si gioca tutto in questo all-in. Sta scoprendo le sue carte al destino, e il destino si sa, è un croupier severo, per batterlo ci vuole un uomo che sappia davvero fare di 40 milioni di persone un corpo solo. Chissà che quell’uomo, per l’Argentina, non sia proprio Jorge Sampaoli.

 

 

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