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È più forte Marcelo o Roberto Carlos?
29 mag 2018
29 mag 2018
Sfida tra i due terzini sinistri più forti della storia recente del Real Madrid e del Brasile.
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Quello tra Roberto Carlos e Marcelo è stato un passaggio di consegne altamente simbolico e riuscito, la storia di un Maestro e di un Allievo che ricorda quelle raccontate in molti film e romanzi, come se il ruolo di terzino sinistro del Real Madrid e del Brasile fosse un trono che si eredita per lignaggio calcistico.

 

Roberto Carlos ha lasciato lo scettro nel biennio 2006-2007 e Marcelo - dopo le difficoltà iniziali durante le quali era considerato inadatto a difendere e veniva spesso impiegato da ala - lo ha raccolto con una naturalezza tale da diventare nel giro di pochi anni, diciamo a partire dalla stagione 2009-10, quello che tutti si aspettavano fosse, e cioè il suo erede. Il Real Madrid è quel posto magico dove se acquisti il “nuovo Roberto Carlos” poi quel giocatore non finisce nei tweet ironici dieci anni dopo con i titoloni dei giornali, ma diventa davvero il nuovo Roberto Carlos.

 

Ma il Real Madrid degli ultimi anni sembra davvero al centro della benevolenza divina, perché Marcelo ha avuto una crescita e una carriera talmente splendente che l’Allievo ha iniziato a fare ombra al Maestro. Oggi, dopo anni di trofei e di stop di suola, la domanda su chi dei due sia più forte non è così assurda. Anzi, forse è persino utile provare a rispondere: è più forte Roberto Carlos o Marcelo?

 



Ci sarà già qualcuno che starà storcendo la bocca perché non si possono comparare giocatori di due epoche diverse. Ma c’è da dire innanzitutto che il calcio di Roberto Carlos e quello di Marcelo non sono poi così lontani, e anzi, sono talmente vicini che sono arrivati a toccarsi, anche se solo per un momento.

 

Il 4 marzo del 2007 il Real Madrid ospita il Getafe per la 25esima giornata della Liga e i “merengues” vanno addirittura sotto al 38esimo. Ma al di là della partita faticosa (finirà 1-1), quello che conta ai fini del nostro racconto è che all’88esimo del secondo tempo entra in campo Marcelo, da esterno destro in un’improvvisata difesa a cinque, con Roberto Carlos in campo e saldamente al comando dell’esterno sinistro.

 

I tifosi del Real Madrid non potevano sapere dell’eccezionalità del momento, ma sarà l’unica occasione in cui potranno ammirare sullo stesso campo da gioco i due terzini sinistri più forti della loro storia recente.

 



 

Altri elementi eccezionali di quella partita: Marcelo è rasato e Sergio Ramos ha i capelli lunghi, Higuain gioca ala destra adolescente, c’è Capello in panchina e Cassano con la maglietta del Real Madrid, c’è Cosmin Contra.


 

Da quel momento il confronto tra Roberto Carlos e Marcelo ha iniziato ad aleggiare sulle loro teste, tanto che sono loro stessi ad aver affrontato l’argomento diverse volte, forse per scacciarlo definitivamente.

 

Roberto Carlos, ad esempio,

Marcelo “il migliore al mondo nel suo ruolo”:

Se avessi avuto la sua qualità tecnica, avrei ricevuto un trofeo in ogni stagione. Tecnicamente è più forte di me. Lo guardo e mi dico che avrei dovuto lavorare più sull’aspetto tecnico. Ero esplosivo, ma avevo bisogno della classe di Zidane, mentre Marcelo può fare tutto da solo»



 

Marcelo, messo di fronte al confronto con

, che lo considerava il migliore al mondo, ha voluto cambiare discorso in segno di reverenza: «Vuoi che pianga qui adesso?».

 




Il punto di partenza più semplice per rispondere alla domanda di fondo di questo pezzo -

- è quello di aprire la bacheca di entrambi e guardarci dento. Non che questo basti per arrivare ad una risposta definitiva (come sembra sottintendere Roberto Carlos, quando associa la tecnica individuale alla vittoria di trofei) quanto piuttosto per avere una mappa abbozzata della loro carriera con cui poterci avventurare nel ragionamento.

 

Dando un primo sguardo ai trofei collettivi per club, sembrerebbe esserci poca partita. Marcelo ha vinto più trofei (20 contro 17) e dal peso specifico molto diverso: l'attuale terzino del Real Madrid ha vinto 4 Champions League in carriera (contro le 3 di Roberto Carlos) e ha già messo le mani su 3 Campionati del Mondo per club (contro le 2 Coppe Intercontinentali vinte da Roberto Carlos) e 3 Supercoppe Europee (Roberto Carlos ne ha vinta “solo” una).



 

Ma al di là del valore assoluto delle due bacheche - qualsiasi cosa significhi sul valore dei due giocatori - è più interessante il modo in cui le hanno riempite. Se Marcelo ha vinto tutti i suoi trofei da protagonista con un’unica squadra e in un periodo di tempo relativamente limitato (cioè con il Real Madrid nel quinquennio 2013-2018), Roberto Carlos li ha spalmati lungo tutto il corso della sua carriera e con 3 club diversi: ci sono due campionati brasiliani (nel 1993 e nel 1994) e due Supercoppe di Turchia (nel 2007 e nel 2009).

 

Se allarghiamo il discorso alla Nazionale invece i rapporti si ribaltano. Roberto Carlos non ha vinto solo il Mondiale del 2002, ma anche due Coppe America, nel 1997 e nel 1999. Marcelo, invece, ancora deve mettere le mani su un trofeo per nazionali (con l’unica, triste, eccezione della Confederations Cup del 2013) e la sua carriera in verde-oro è ancora macchiata dal

del 2014 durante i Mondiali casalinghi (sempre che non venga lavata via da una vittoria quest’estate in Russia).

 

Si può notare una leggera differenza tra i due anche a livello individuale, segnata principalmente dall’incredibile secondo posto nella classifica del Pallone d’Oro ottenuto da Roberto Carlos nel 2002, dietro a Ronaldo. Un riconoscimento quasi unico per un difensore nel calcio contemporaneo (nei 16 anni successivi gli unici difensori a rientrare nei primi tre posti saranno Maldini e Cannavaro) e che Marcelo non è riuscito mai a sfiorare in tutta la sua carriera, arrivando al massimo 16esimo nel 2017.

 

È curioso però come anche parlando di riconoscimenti individuali Marcelo riesca a vincere il confronto con Roberto Carlos all’interno della storia recente del Real Madrid: alla fine dello scorso anno, ad esempio, Marcelo

il giocatore non spagnolo con il maggior numero di vittorie ottenute con la “

” (302), battendo il precedente record fissato proprio da Roberto Carlos.

 



I trofei sono un modo rudimentale e diretto attraverso cui scrivere il proprio nome sulla sabbia della storia, ma i calciatori hanno un potere sul nostro immaginario a se stante, che utilizzano per rimanere scolpiti nella memoria collettiva al di là delle vittorie delle proprie squadre.

 

Pesare la capacità di Marcelo e Roberto Carlos in questo ambito è un altro modo per distinguerne il valore. E quello di diventare icona, di trasformarsi in archetipo platonico di se stessi nella testa delle persone, è forse il campo, al di fuori da quello da calcio, in cui sembra esserci più distanza.

 

Roberto Carlos veniva chiamato “

”, cioè l’uomo proiettile, un soprannome che gli si cuciva addosso perfettamente non solo perché assomigliava fisicamente ad un proiettile – la testa lucida e il corpo compatto – ma anche perché sembrava correre ad una velocità diversa rispetto agli altri 19 giocatori di movimento in campo e perché calciava il pallone con una potenza tale da poterlo fare esplodere (una caratteristica che

nemmeno dopo aver svestito i panni del calciatore).

 

La sua fisicità era talmente in vista che durante i Mondiali del 2002 si scrivevano

sul diametro delle sue cosce - se siete interessati: quasi 61 centimetri, come quelle di Muhammad Ali quando fu incoronato campione del mondo dei pesi massimi.

 

Roberto Carlos è in due degli spot più riusciti della storia della Nike, “The Secret Tournament” (quello con la gabbia, per intenderci, in cui addirittura segna di scorpione) e quello girato in aeroporto con la nazionale brasiliana del 1998, in cui ovviamente tira fortissimo lanciando il pallone in orbita.

 

Ma, al di là degli spot, Roberto Carlos è riuscito a sublimare la sua immagine in maniera ancora più profonda, imprimendo un suo singolo gesto tecnico - il cosiddetto “

” su punizione in un'amichevole contro la Francia nel 1997 - nell’immaginario collettivo del calcio degli anni Novanta. La sua rincorsa lunghissima che accelerava all’approssimarsi del pallone come se il campo fosse inclinato in avanti, con i passettini iniziali e la telecamera costretta a zoomare all’infuori per includerlo nell’inquadratura, sono la prima animazione personalizzata che io ricordi a Pro Evolution Soccer.

 



 

Pensare a Roberto Carlos significa riprodurre nella mente l’immagine astratta di quella punizione, che potrebbe essere calciata in qualunque momento, con qualunque squadra, contro qualunque avversario. In un certo senso, Roberto Carlos

il banana shot.

 

I tiri di Roberto Carlos sono, d’altra parte, delle icone a parte, un’espressione di potenza talmente sfacciata che fa effetto ancora oggi rivederli. Non solo per la violenza con cui calciava il pallone, che lo faceva rimbalzare sulla rete in maniera del tutto innaturale come se non fosse fatta di spago ma di mattoni, ma anche per le traiettorie incredibili che riusciva a dargli. A volte Roberto Carlos riusciva ad imprimere al pallone talmente tanto effetto da riuscire a sorprendere i portieri anche dalla linea di fondo.

 

Raggiungere lo stesso livello d’astrazione con Marcelo è impossibile. Nonostante abbia un gioco più ricco e complesso con il pallone, un set di skills e trick molto più vario a cui attingere, l’attuale terzino del Real Madrid non può vantare una posa o un gesto tecnico così peculiare da poter essere ricondotto direttamente a lui. A quale sineddoche potremmo aggrapparci per ricostruire la sua icona?

 

L’unico gesto che si avvicina vagamente al potere immaginifico di Roberto Carlos è l’incredibile stop di suola nella semifinale di ritorno di quest’ultima Champions League contro il Bayern Monaco. Troppo recente e comunque già digerito dal nostro sistema culturale.

 





 

Anche nella narrazione dei momenti chiave è difficile trovare qualcosa di così luminoso a cui collegare direttamente la sua memoria, nonostante Marcelo possa vantare un gol in una finale di Champions League che Roberto Carlos non ha mai segnato.

 

L’iconografia di Marcelo è sempre diluita in quella più grande del Real Madrid leggendario degli ultimi anni, come il 3-1 all’Atletico Madrid nella finale del 2014 (finita 4-1 dopo il rigore finale di Cristiano Ronaldo) nato da una delle sue tipiche conduzioni palla in diagonale verso il centro e da un tiro che forse non avrebbe sfigurato nella collezione di bombe dalla distanza di Roberto Carlos.

 



Se siete arrivati fino a questo punto, però, adesso vorrete sapere chi è il più forte

.

 

Purtroppo non siamo venuti in possesso di un macchina del tempo capace di metterli a confronto all’apice della loro condizione psico-fisica, in un uno-contro-uno in uno di quei campetti da uno contro uno in cemento con le porticine metalliche (probabilmente il modo in cui la Nike penserebbe di risolvere la questione). Dovremo fare affidamento ad altri strumenti, purtroppo.

 

È probabile, comunque, che una sfida di quel tipo sarebbe vinta da Marcelo, un giocatore dal primo controllo migliore e con una maggiore capacità di dribblare in spazi stretti rispetto al suo Maestro. Roberto Carlos utilizzava il piede in maniera più rudimentale, fermando il pallone quasi sempre con il piatto, e giocava spesso a due tocchi, associandosi con i compagni più vicini e risalendo il campo insieme al resto della squadra. Il campo ridotto, inoltre, gli toglierebbe molte delle sue armi fisiche, a partire dalla velocità nel lungo, con cui superava gli avversari per pura superiorità (Roberto Carlos correva i 100 metri in 10,6 secondi).

 

Se diamo al termine “tecnica” un’accezione ristretta, utilizzandolo per riferirci solo al modo in cui un giocatore tratta il pallone, allora non si può che dare ragione a Roberto Carlos e dare lo scettro di questa contesa a Marcelo. L’attuale terzino del Real Madrid sa usare il piede in tutte le sue parti con la stessa sensibilità, e utilizza spesso la suola per controllare il tempo e lo spazio delle sue giocate.

 


Il controllo sulla sfera di Marcelo rimane praticamente invariato anche quando la sfera è una pallina da tennis.


 

Di più: Marcelo ha un’indole creativa che Roberto Carlos non aveva, comportandosi da regista alto non solo nei movimenti (venendo dentro al campo a giocare da trequartista di fatto con delle conduzioni in diagonale che spesso fanno collassare le strutture posizionali delle squadre avversarie) ma soprattutto nella volontà di controllare il ritmo e il modo in cui il Real Madrid gioca il pallone.

 

In questo senso, è esatto considerare Marcelo un regista, mentre lo stesso non si potrebbe dire di Roberto Carlos, che tagliava il campo in diagonale dall’esterno verso il centro quasi esclusivamente per tirare dalla distanza o andare direttamente in porta, come se ne fosse attratto magneticamente.

 

Ma se invece interpretiamo “tecnica” in senso lato, allargando la semantica della parola a quell’insieme di movimenti e azioni che un giocatore compie nel campo nell’arco della partita, anche senza il pallone, allora il discorso si fa molto più complesso.

 

Nonostante lo ricordiamo principalmente per i suoi tiri dalla distanza, Roberto Carlos, ad esempio, era un ottimo difensore. L’ex terzino del Real Madrid era molto esuberante offensivamente, e a volte perdeva palla in maniera pericolosa alla ricerca di un numero, ma sapeva utilizzare il corpo in maniera magistrale per indirizzare gli avversari verso le zone meno pericolose di campo, e, oltre ad essere insuperabile nella copertura della profondità, sapeva difendere anche molto bene in avanti.

 

Se Roberto Carlos con il pallone aveva bisogno della classe di Zidane per splendere, insomma, in fase difensiva non avrebbe mai avuto bisogno di un Sergio Ramos che gli coprisse le spalle.

 



Se dovessimo confrontare i due come faceva Guida al Campionato adesso comparirebbe un cartello con scritto “DIFESA”, con un voto per Marcelo che si aggirerebbe tra il 5 e il 6, in confronto ad uno di Roberto Carlos tra l’8 e il 9. Ma quello che è interessante ai fini del nostro discorso è come il modo di giocare di Marcelo, in tutte le sue peculiarità, sia un tassello imprescindibile di

Real Madrid.

 

Il terzino brasiliano dice di averlo capito i primi anni della sua esperienza in Spagna, giocando con Cannavaro. «Puoi giocare con questo tipo di libertà solo se hai un buon feeling con i tuoi compagni»,

lui stesso per The Player’s Tribune all’inizio di questa stagione. «Fabio Cannavaro giocava dalla mia parte e mi diceva: “Puoi andare Marcelo, ci sono io qua. Stai tranquillo, rilassati. Sono Cannavaro, ci penso io”. È come con Casemiro oggi: “Vai avanti Marcelo, ci preoccuperemo dopo del resto”. Ahhh, Casemiro. Mi ha salvato la vita. Potrei giocare fino a 45 anni con lui al mio fianco».

 

È lo stesso Marcelo a marcare la differenza con Roberto Carlos in questo ambito: «Roberto Carlos andava su e giù sulla fascia sinistra come una bestia. Mentre sai perfettamente cosa vedrai quando sono io in campo, che mi si ami o mi si odi. Mi piace attaccare. Non attaccare e basta. ATTACCARE, capito? E poi se abbiamo un problema dietro lo sistemeremo. Ma come prima cosa: attacchiamo».

 

Questo è uno degli aspetti più inspiegabili dell'attuale Real Madrid, e di riflesso anche dell'affermazione di Marcelo a questi livelli, e cioè come abbia fatto una squadra composta da uno spirito così offensivo a riuscire a trovare un equilibrio da riuscire a farle vincere quattro Champions League in cinque anni. Restringendo il discorso solo all'ultima finale, contro il Liverpool, viene da chiedersi se Marcelo avrebbe potuto fare la stessa partita spensierata senza l'infortunio di Salah, se le cose sarebbero andate allo stesso modo con la preoccupazione di lasciare tutto quello spazio alle proprie spalle ad un giocare in grado di bruciare l'erba sotto i piedi correndo.

 

In ogni caso, mi sembra molto significativo che nell’articolo Marcelo mischi la prima persona singolare alla prima persona plurale senza nemmeno accorgersene. Un tic linguistico che riflette l’atteggiamento in campo di una squadra in cui 11 giocatori unici sembrano dare vita a una sinfonia collettiva perfettamente armonica in maniera del tutto spontanea. E a questo punto la domanda, pertinente al confronto con Roberto Carlos, diventa: Marcelo avrebbe potuto esprimere il suo gioco in una squadra che non fosse questo Real Madrid?

 

E dobbiamo tornare a quell’atteggiamento istintivo in fase difensiva, che non raccoglie entusiasmo unanime quando inserito in un contesto diverso del Real Madrid odierno. Un allenatore attento alla solidità difensiva come Dunga, ad esempio, ha trattato il suo modo di giocare alla stregua di quello di un dilettante, quando era allenatore del Brasile: «Quante volte [Marcelo] è andato in avanti? Venti. Quanti gol ha segnato o costruito? Nessuno. Quante volte siamo stati presi alle spalle della nostra difesa? Tre o quattro».

 

L’unicità del talento di Marcelo, in questo senso, si contrappone all’universalità di quello di Roberto Carlos. “

” aveva una fisicità che probabilmente sarebbe fuori scala anche oggi ed era difficile trovargli dei veri e propri difetti dal punto di vista tecnico. Roberto Carlos sapeva attaccare, difendere, passare, tirare e crossare con lo stesso, perfetto, livello di pulizia tecnica: era un giocatore completo, la rappresentazione perfetta di ciò che si pensava dovesse essere l’evoluzione del calciatore del futuro.

 

Se guardassimo ai giocatori come fa l’algoritmo di FIFA, come una somma di ATTACCO+DIFESA+TECNICA+TIRO, cioè, allora Roberto Carlos vincerebbe a mani basse. E la sua completezza a mio modo di vedere spiega anche perché nella sua carriera abbia avuto un riconoscimento individuale molto maggiore rispetto a quello di Marcelo.

 



 

Roberto Carlos ha portato il terzino alla sua massima evoluzione fisica, tecnica e tattica, diventando l’espressione più luminosa dell’idea molto fisica che c’era del ruolo negli anni Novanta (idea che aveva altri grandi esponenti come Zambrotta o Javier Zanetti).

 

Marcelo, invece, lo ha rivoluzionato, aprendo un’epoca in cui centralmente non c’era più tempo e spazio per ragionare, e le squadre erano costrette a spostare i propri registi sugli esterni per far avanzare il pallone. La sua è un’interpretazione unica e irripetibile, pionieristica per molti versi e quindi meno inquadrabile nei canoni del suo tempo (e più imperfetta anche rispetto ad altri grandi terzini di questi anni, come Lahm, più attenti ma di sicuro meno originali).

 

Marcelo e Roberto Carlos, in questo senso, sono agli estremi opposti dello spettro calcistico, e il loro passaggio di consegne rappresenta la fine di un modo di concepire il ruolo di terzino e l’inizio di uno nuovo.

 

Se Roberto Carlos era la perfetta rappresentazione dell’idea di calcio di quegli anni, a livello mediatico e pubblicitario – la velocità, la potenza, il dominio fisico – Marcelo, invece, ha avuto la fortuna di sbocciare nell’unica squadra che potesse permettersi il lusso di capirlo, e quella squadra ha avuto a sua volta la fortuna di ritrovarsi un terzino con le sue potenzialità.

 

Come ha intuito brillantemente Emiliano Battazzi in

: «Il Real Madrid sembra essere un fenomeno inspiegabile, guidato da un fato che sembra volerla far passare indenne attraverso qualunque momento, uscendo senza un graffio, o quasi, da qualunque partita nonostante sia una squadra quasi del tutto disfunzionale. In questo momento storico, non riusciamo a comprendere bene la dimensione di questa squadra: forse tra qualche anno ne parleremo come l’avvio di una rivoluzione».

 

 

Roberto Carlos vince la gara della nostalgia (anche tra vent’anni la nostalgia riguarderà i suoi tiri a banana e la sua testa pelata), ma se la storia del calcio, come quella di tutti gli altri campi, tende a ricordare maggiormente chi fissa un punto d’inizio rispetto a chi segna una fine, allora forse andrà ricordato meglio Marcelo.

 

Non ci ricorderemo di Marcelo come il terzino brasiliano, e del Real Madrid, più

di sempre, come quello più

tra lui e Roberto Carlos, bensì come quello più significativo.

 

 

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