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È giusto tradurre i nomi delle squadre?
10 feb 2018
10 feb 2018
Sandro ci ha chiesto come sarebbe giusto comportarsi con le traduzioni dei nomi. Risponde Fabrizio Gabrielli.
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Cara redazione, una domanda magari scema ma che mi tormenta praticamente da quando seguo il calcio. Quando si trascrive il nome di una squadra estera è più corretto tradurla o lasciarla nella sua versione originale? Per dire: Bayern Monaco o Bayern München?

 

I miei dubbi aumentano a partire dal fatto che solo alcune vengono tradotte selettivamente. In Bundesliga si usa comunemente Bayern Monaco, ma invece di dire Magonza diciamo Mainz: perché?! Le squadre sono un brand e mi sembra strano andare a tradurre selettivamente solo alcuni nomi. Anzi: non sarebbe proprio illegale tradurre il nome di un brand?

 

Se avete una risposta mi fate felice.

 

Sandro

 

 



 

 

Ciao Sandro,

per questa domanda-mondo, che è una specie di proiettile di platino con il quale hai caricato la mia personalissima pistola spara-tarli-nella-mente, non so bene se ringraziarti o maledirti: da quando l’ho trovata nella nostra mailbag non faccio che leggerla, passeggiare in circolo con le mani dietro la schiena, riflettere. Poi torno a leggerti, convinto di aver trovato il bandolo della matassa, finendo per trovarmi a smontare tutte le teorie precedenti.

 

La traduzione, dopotutto, è sempre una questione delicata: parafrasando Umberto Eco tradurre è dire quasi la stessa cosa, e se credi che l’approssimazione sia affar solo dei concetti, e non anche dei toponimi, perché è attorno a questa categoria semantica che gira il grosso dell’assunto, sei sulla strada sbagliata. Proverò perciò a darti una risposta della quale non sono certo, un giorno, potrei vergognarmi, perché il ragionamento che farò cammina in bilico su quel filo sottile che separa l’essersi guadagnati 60 CFU curriculari in linguistica e teoria della traduzione dalla pura agnizione.

 

Julio Cortázar, che per buona parte della sua vita è stato traduttore per l’UNESCO, raccontava di avere a casa, poggiato sul mobile all’ingresso, un caleidoscopio. Quell’oggettino insulso, o stupefacente a seconda dei punti di vista, gli serviva a catalogare le persone che passavano a trovarlo sulla scorta dell’impressione che l’immagine frammentata destava: se impazzivano, e lo trovavano appunto stupefacente, erano veri cronopios, e ci si abbracciava. Se li lasciava indifferenti, o peggio ancora indispettiti, probabilmente non ci sarebbe stato un secondo rendez-vous.
Proviamo ad applicare la stessa tranciante teoria a come pronunciamo i nomi delle squadre di calcio europee: ti sentiresti di fare l’alba mangiando empanadas con chi dice RB Leipzig o semplicemente Lipsia? Portando la questione al livello del brand, sono certo che nessuno nella sede del RasenBall ne avrebbe a male, a patto che le empanadas vengano accompagnate da sorsate copiose di Red Bull.

 

Personalmente ho imparato più nozioni sulla geografia di quanto mi potessi aspettare (e si augurasse il mio profe di geografia delle medie, immagino) sul Guerin Sportivo. Le città, prima di essere città, con i palazzi e i mercati e i quartieri proletari abitati da cittadini che davano a quella città del tu, erano squadre di calcio.
Come le città, i nomi delle squadre assumevano i contorni rassicuranti delle parole-etichetta che conoscevo: non ho mai titubato sull’uso di Sparta Praha al posto di Sparta Praga, ma è pur vero che non ho mai pensato allo Sparta Praha™ come un brand, né al fatto che maneggiare quel brand in maniera superficiale potesse intaccare l’economia ceca. Come amava dire Luciano Bianciardi quando parlava di traduzione, sono sempre stato più fedele allo spirito, che non alla lettera. Che il CDA dello Sparta mi perdoni.

 

Ho fatto un illuminante tour nei siti di alcune testate sportive europee, e ciò che ho scoperto è che non siamo noialtri a non avere una teoria precisa: la verità è che una teoria e una prassi precisa - piena di cavilli, e semafori rossi, e rassicuranti frecce che ti indicano dove andare a parare - non esiste proprio. Ci sono un miliardo di eccezioni che invalidano la regola.
In Spagna, per esempio, la linea di condotta sembra chiara: le squadre che portano i nomi della città che le ospita, quelle si traducono. Perciò abbiamo il Bolonia, il Napoles, il Marsella e i Girondins di Burdeos. Anche in Germania si comportano così: per questo esistono l’AC Mailand e l’FC Florenz. Però, per esempio, lo Strasbourg in Spagna non diventa l’Estrasburgo. E soprattutto, ecco: il Mainz 05 lo chiamano Mainz 05, e non Maguncia.

 

Nessuno studio di caso approfondito sul tema che sollevi, al quale questa mia risposta non potrebbe che essere una scanzonata appendice, dovrebbe partire altrove che da Magonza. Perché se il Bayern, che sia di Monaco o Muenchen o Munich, evoca abbastanza istintivamente un’idea-Bayern, non sembra anche a te che il Mayence possa essere qualcosa d’altro rispetto al Mainz? Sapresti dire che stemma ha il Mainz? E il Mayence?

 

Il fatto è che nell’uso che facciamo della lingua tendiamo a utilizzare lo stesso approccio che abbiamo quando dobbiamo scegliere in che ristorante andare a cena se siamo in una città che non conosciamo: ci affidiamo all’immagine del ristorante più frequentato, meglio se dalla gente del posto. Anche se fanno gli spaghetti alla Alfredo.

 

Quando si intraprende una traduzione, diceva Voltaire, occorre scegliere l’autore come si sceglierebbe un amico, ossia di gusto conforme al proprio.
La maniera in cui traduciamo i nomi delle squadre di calcio, mi pare, è più eloquente di quanto vorremmo del rapporto che c’è tra chi parla la lingua d’arrivo e la visione che questo parlante, e per osmosi il pubblico che lo ascolterà, ha della cultura che c’è dietro la lingua di partenza.
Sai la storia di come viene tradotta nelle varie lingue europee la parola “sifilide”? I francesi la chiamano “mal de Naples”. Noi, e con noi gli spagnoli, “male francese”. Tradurre, a volte, è esercitare una ripicca.

 

Insomma, più che verso il nome-inteso-come-brand, credo che il perno del rispetto poggi sul grado di importanza che riconosciamo alla lingua, e quindi alla cultura, altra, ma anche alla nostra. Non ci sogneremo mai, in condizioni normali, di piena democrazia e arbitrarietà delle scelte, di parlare del Città di Mancunia o del Bavaria di Monaco (i telecronisti russi di BeIN, spesso, invece, lo fanno). Ma se esiste un nome universalmente accettato, che abbiamo introiettato senza starci a fare troppi problemi come nel caso di Lipsia per Leipzig, credo sia normale adottarlo. Più di qualcuno, al bar, ti guarderebbe storto se cominciassi a disquisire di quanto stia facendo bene, quest’anno, il Barcelona.

 

La tua domanda, alla fine, è piena di poetica, ma non ha una risposta. Sei come Stanisław Jerzy Lec quando si chiedeva com’è che si traducono, i sospiri, nelle altre lingue.

 

Però ti ringrazio: potevi sempre chiedermi quale sia l’articolo determinativo giusto da mettere davanti ai nomi delle squadre. Questo sì che sarebbe stato un proiettile di platino potenzialmente letale con cui caricare il tamburo della mia pistola-spara-tarli-nella-

mente.

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