L’ultima Juventus di Antonio Conte e la prima di Max Allegri si sono rette sulle spalle forti di Carlos Tévez, che giunto all’apice della sua parabola professionistica ha lasciato la Vecchia Signora per una scelta di vita che lo sta già ripagando. Per raccogliere la sua eredità era stato scelto un altro argentino, Paulo Dybala, arrivato a Vinovo con tutto da dimostrare e tutto da vincere. Ma dopo i primi mesi non è ancora chiaro in cosa esattamente Dybala dovesse sostituire Tévez, e se si è trattato di una buona idea. Ed è interessante iniziare chiedendosi cosa ha dato Tévez alla Juve.
Chi era Carlitos
Tévez era il playmaker offensivo della Juventus di Allegri: l’allenatore gli chiedeva di tenere una posizione perpendicolare rispetto all’altra punta e il resto della squadra lavorava per creargli lo spazio per una ricezione agevole. Il compagno di reparto di Tévez doveva occuparsi di tenere la linea difensiva bassa, mentre gli interni di centrocampo dovevano allargarsi, portando via dalla zona centrale i rispettivi marcatori e liberando le possibili linee di passaggio verso l’ "Apache".
E se la ricezione di palla tra le linee è così importante nel calcio moderno è anche perché, con un singolo passaggio in verticale, si tagliano fuori tutti gli uomini che provano a impedire la costruzione bassa e tentano di riconquistare il pallone più in alto possibile, cioè una potenziale minaccia per una squadra sbilanciata nel tentativo di portare su il pallone.
Tévez intuisce le intenzioni di Pirlo e scappa dalla marcatura di Isco per ricevere il pallone tra le linee. Sette uomini del Real sono tagliati fuori da una singola verticalizzazione.
Inoltre, l’uomo tra le linee costringe il difensore avversario a effettuare una scelta: tenere la posizione o uscire in marcatura? In entrambi i casi la sua scelta avrà delle conseguenze: se resta in linea, il portatore di palla avrà la possibilità di girarsi e avanzare verso la porta, arrivando nella zona utile per tirare o servire il taglio di un compagno a palla scoperta; se si alza, crea una falla nella difesa, lo spazio in cui un altro giocatore può inserirsi, rischiando un effetto domino con i compagni di difesa che devono coprirlo.
Quindi, una volta ricevuta palla, Tévez aveva una gamma di opzioni a sua disposizione: se non pressato poteva provare a girarsi e puntare la porta, direttamente palla al piede o scambiando con il trequartista; in caso contrario poteva allargare il gioco per portarsi in area di rigore in un secondo momento, fuori dai radar dei difensori.
Questo set di movimenti è stato costruito attraverso l’allenamento: il grande merito che ha avuto Tévez nella sua carriera è stato quello di adattare le sue caratteristiche al contesto. Nell’altra Juve, quella di Conte, Tévez restava per lo più in linea con l’altra punta, cercando di creare un due contro due in zona centrale. L’argentino usciva dalla linea solo quando il pallone arrivava all’esterno nel 3-5-2, facendo un movimento all’indietro e in diagonale, dal centro verso la fascia. In questo modo, Tévez aiutava la creazione della superiorità numerica in fascia e apriva un varco nella difesa che poteva essere preso dall’interno di centrocampo. E poi, sempre con l’ultima Juventus di Conte, che gestiva alcune fasi dell’incontro aspettando gli avversari con tutti gli effettivi sotto la linea della palla, Tévez guidava la transizione difesa-attacco con i suoi strappi in velocità.
Mancini al City lo ha utilizzato praticamente in tutte le posizioni d’attacco del 4-2-3-1, mentre Alex Ferguson lo vedeva solo come punta nel 4-4-2 al fianco di Rooney. Il suo primo anno europeo, Tévez lo ha speso al West Ham che fu prima di Pardew e poi di Curbishley. Mentre il secondo lo ha schierato più volte da ala sinistra prima di portarlo più vicino alla porta avversaria, il primo gli preferiva Sheringham, Zamora o Harewood (!).
Eppure Tévez, a 22 anni, era un calciatore fatto e affermato: il suo palmarès conteggiava già, tra le altre cose, una Coppa Libertadores, una Intercontinentale, tre Palloni d’Oro sudamericani. Al di là della posizione nella quale venisse impiegato, in tutti i filmati del suo periodo inglese si rivedono le stesse caratteristiche di base: una grande combattività con e senza palla, una buona visione di gioco, un eccezionale calcio di destro.
Per questo è bene sottolinearlo ancora: Tévez ha sempre messo le sue caratteristiche al servizio della squadra in cui militava, in maniera molto controllata, e forse il Tévez più istintivo è proprio l’ultimo, quello che ha appena conquistato il campionato argentino nella sua seconda vita al Boca Juniors. Tornato a casa, l’ "Apache" ama isolarsi sulla fascia sinistra, ricevere il pallone da un cambio di gioco e affrontare il difensore nell’uno contro uno. Da quella posizione può decidere se andare sul fondo; oppure può accentrarsi per il tiro o per servire l’assist al centro dell’area di rigore.
Chi era Paulo
Dybala nel suo paese ha disputato un solo campionato da titolare, nell'Instituto de Córdoba, nella Serie B argentina. “La Joya” era una vera prima punta, nel 3-4-3 di Dario Franco: poco coinvolto nelle varie fasi del gioco, fatale negli ultimi 5-6 metri. In 38 partite rompe una dozzina di record, locali e nazionali, un paio dei quali strappati a un immortale come Mario Kempes. Ad appena 18 anni e 8 mesi Dybala è sbarcato a Palermo e nessuno potrà mai dire se sarebbe riuscito a conquistare gli stessi trofei di Tévez in patria.
Tutti i 17 gol di Dybala per l’Instituto, dove mette in mostra il suo opportunismo e una buona teatralità nelle esultanze.
La prima stagione in Italia non è semplice per un veterano, figurarsi per un ragazzino. Se poi Zamparini ci mette del suo, tutto si complica. Sulla panchina rosanero in stagione si sono alternati: Sannino, Gasperini, Malesani, ancora Gasperini, ancora Sannino. Dybala ha segnato i suoi unici 3 gol in campionato durante il Gasperini I, che lo vedeva anch’egli punta centrale nel 3-4-3.
È in Serie B con Iachini che Dybala ha cominciato a cambiare il suo gioco. Il tecnico di Ascoli lo schierava davanti, nel 3-5-2, in coppia con un attaccante dal fisico possente, come Lafferty o Hernández. Dybala doveva ricercare spazi sulle fasce e garantire ampiezza, allargandosi più spesso a sinistra. Anche quando, nel finale di stagione, Iachini ha aggiunto Franco Vázquez alla sua ricetta, i compiti di Dybala non sono cambiati.
Risalito in A, lo scorso anno, Dybala è tornato a giocare da prima punta, supportato dal "Mudo" Vázquez. Il suo gioco è però radicalmente diverso rispetto agli esordi argentini: Dybala preferisce decentrarsi, preferibilmente sulla fascia destra, per ricevere il pallone anche con un lancio lungo dalla difesa, con il corpo già orientato verso la porta avversaria. Con la possibilità di entrare nel campo verso il suo mancino, Dybala carica le difese avversarie correndo loro incontro, cercando di crearsi lo spazio per il tiro o invitando un compagno a offrirsi come sponda.
I palloni ricevuti da Dybala nell’ultimo derby della Mole, a sinistra; quelli ricevuti in Palermo - Torino, lo scorso anno, a destra. Il Dybala di oggi svaria meno sulle fasce e prova ad avvantaggiarsi di una ricezione alle spalle dei centrocampisti, sul centro-destra.
Il nuovo Dybala
Allegri ha impiegato tutta la prima parte del campionato per trovare soluzioni alternative a Tévez. D’altra parte, l’intero parco attaccanti è stato rinnovato in estate, a esclusione di Álvaro Morata. Lo spagnolo è un giocatore che ricerca preferibilmente la profondità, mentre Mandzukic e Zaza sono due centravanti classici, di quelli che danno filo da torcere ai centrali avversari per novanta minuti. Nessuno dei tre, però, è un attaccante adatto ad agire da raccordo con il centrocampo.
Per questo la Juventus ha faticato molto nel cercare di piazzare un uomo dietro le linee avversarie per rendere più fluida, verticale, e quindi pericolosa, la propria manovra. Il gioco bianconero è diventato molto perimetrale, il pallone da Bonucci non poteva proseguire sul binario centrale come lo scorso anno, ma doveva viaggiare sulle corsie esterne. Inoltre, i giocatori si sono ritrovati a forzare più spesso il tiro: quest’anno i bianconeri tirano di più da ogni distanza (17,75 tiri a partita contro i 15,84 del 2014/15), abbassando di molto la loro precisione, scesa dal 44% a 38%.
Nell’avvio di stagione, spesso confusionario dal punto di vista tattico, si sono intravisti i primi segnali dell’ennesima trasformazione di Dybala, da prima punta a attaccante di manovra. L’ex Palermo ha accentrato il raggio della sua azione e ha provato a farsi vedere per ricevere il pallone centralmente. Nelle due partite in stagione nelle quali è sembrato più incisivo, nel complesso e al di là dei gol segnati, cioè contro Atalanta e Torino, ha lavorato ai fianchi e alle spalle del mediano e dell’interno di centrocampo avversari.
Con Dybala in campo, la forma della Juventus quando è in possesso è meno lineare e meno prevedibile: il movimento dell’argentino all’indietro provoca sempre effetti a cascata, invitando i compagni a dettare il passaggio con uno scatto. E la situazione non potrà che migliorare con il ritorno di Lichtsteiner dal suo lato, un maestro nell’inserimento nello spazio.
Le prestazioni di Dybala e Tévez, entrambe contro l’Atalanta, a confronto.
Se il movimento verso centrocampo può sembrare simile, la ricezione del pallone rivela una prima, grande differenza tra Dybala e Tévez: l’ex Palermo è fulminante nel primo controllo, solo con quello tenta di saltare il suo marcatore, imprevedibilmente verso destra o verso sinistra. Tévez invece, se sentiva l’uomo alle sue spalle, consegnava il pallone a un compagno per poi correre verso la porta.
Anche il tipo di dribbling dei due giocatori è differente: Dybala parte in velocità spostando il pallone con tocchi a frequenza elevata. Tévez dribblava di forza, di fisico: spesso fermava la sfera e poi tentava di superare l’avversario, buttando palla in avanti e sfidandolo nella velocità e nel contrasto di spalla.
Il numero di dribbling riusciti, tra il Dybala juventino e l’ultimo Tévez, è praticamente lo stesso (2,19 per il primo, 2,16 per il secondo); però Dybala ne tenta di più e ne sbaglia di più (ha il 51% di precisione al dribbling contro il 58% di Tévez). “La Joya” soffre gli spazi più stretti che ha oggi alla Juve e quanto fosse più efficace quando poteva puntare l’avversario in corsa è confermato dai dati riguardanti la sua ultima stagione in un Palermo votato al contropiede: i dribbling riusciti a partita erano 2,77 e la loro percentuale di successo era pari al 59%.
Dal punto di vista realizzativo, Tévez tirava con una frequenza poco inferiore a quella attuale di Dybala (3,97 tiri a partita contro 4,24), ma lo faceva con una precisione nettamente superiore (il 58% dei tiri dell’ "Apache" finiva nello specchio contro il 44% del connazionale). È notevole però il numero di gol per minuti giocati siglato da Dybala: se dovesse procedere su questo ritmo, a fine stagione si ritroverebbe con una media di 0,64 reti ogni 90 minuti, del tutto simile a quella di Tévez, pari a 0,70.
Ma quello che stupisce di Dybala è la capacità di mettere un compagno in condizione di far male: nel computo degli assist e dei passaggi chiave, Dybala stacca Tévez con 3,09 occasioni create a partita, contro 2,12. Nell’attuale Juventus solo Pereyra, il trequartista designato, fa meglio di lui (3,81). E in una statistica aggiornata al primo novembre, “La Joya” aveva giocato una media di 2,13 passaggi per il tiro di un compagno dall’interno dell’area di rigore. Tanto per dare un riferimento solido, l’assistman per antonomasia, Mesut Özil, non è così lontano: ne ha giocati in media 2,75.
Dev’essere chiaro che Dybala è ancora una punta, e tale resterà per tutta la sua carriera. Del trequartista non ha il mindset: gli inserimenti senza palla, la pressione alta per la riconquista del possesso, i ripiegamenti difensivi. Lo stesso Allegri, come la maggior parte degli allenatori in Italia, ha preferito utilizzare nel ruolo un uomo di gamba, un interno di centrocampo riconvertito come Vidal o Pereyra, piuttosto che un uomo di talento. Considerata una squadra di calcio come un’azienda, Dybala è una punta che sta arricchendo il proprio know-how per le esigenze odierne della propria squadra; per differenziarsi dalle altre prime punte della Juventus ed emergere nella competizione interna.
Ed è certo che, su alcuni aspetti, il gioco di Dybala può ancora migliorare. Tévez, da vero leader, guidava i compagni attraverso l’esempio: l’ "Apache" partecipava efficacemente alla fase di non possesso, come testimoniato dal buon numero di tackle tentati e riusciti, e in questo Dybala è ancora intermittente. Inoltre deve ancora dimostrare di poter tenere una media realizzativa così alta (insostenibile con una precisione al tiro bassa, rispetto all’ "Apache") e il suo piede destro è persino troppo debole per questi livelli.
Forse è ingeneroso e poco realistico confrontarlo con una leggenda del calcio argentino, che ha avuto il tempo di costruire la sua carriera, ed è giusto che Dybala segua un suo percorso di crescita e arrivi a esprimere le sue qualità. Però i numeri attuali de “La Joya”, all’alba della sua prima avventura in un club di prima fascia, sono confortanti, soprattutto se misurati sull’età attuale: Tévez è arrivato alla Juventus a 29 anni; Dybala, il prossimo 15 novembre, ne compirà 22. Se aggiungesse fisicità e aggressività al suo modo di stare in campo, quella che il ventiduenne Tévez già aveva, Dybala potrebbe diventare presto il giocatore simbolo di questa Juventus. Che con Morata costituirebbe, in prospettiva, la coppia più interessante del panorama europeo.