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Dario Vismara
I due volti dei Golden State Warriors
17 mar 2023
17 mar 2023
A San Francisco si aspettavano un’altra difesa del titolo.
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Dario Vismara
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IMAGO / Icon Sportswire
(foto) IMAGO / Icon Sportswire
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Anche in una storia lunga come quella della NBA, che si dipana lungo nove decenni differenti, è difficile trovare una stagione della squadra campione in carica strana quando quella dei Golden State Warriors di quest’anno. Arrivati ormai a una dozzina scarsa di partite dalla fine della regular season, i campioni dello scorso anno sono invischiati nella corsa a un posto ai playoff con un record di 36 vittorie e 34 sconfitte, buono a malapena per il sesto posto nella Western Conference. Quello che sorprende è la costante mediocrità che questi Warriors sono riusciti a mantenere a livello di record: nel corso della stagione non sono mai andati oltre le quattro partite di distanza dal 50% di vittorie, né in negativo (3-7 a inizio stagione) né in positivo (34-30 a inizio marzo). È come se un magnete invisibile li avesse sempre attratti verso il centro di gravità che determina le squadre in mezzo al guado della lega, quelle troppo forti per tankare e troppo scarse per competere. Ma decisamente non la situazione nella quale dovrebbero trovarsi loro, con il monte salari più alto della lega (e una luxury tax che li porta nei dintorni dei 400 milioni di dollari tutto compreso) e tre Hall of Famer ancora nel pieno delle loro carriere.A rendere ancora più strana la stagione di questi Warriors è però la misteriosa differenza di rendimento della squadra quando gioca in casa e quando va in trasferta. Tra le mura del Chase Center la squadra allenata da Steve Kerr ha il quarto miglior record della lega con 29 vittorie e 7 sconfitte, ma fuori casa la situazione si ribalta completamente con 7-27 di record — meglio solamente di due squadre che non stanno provando a vincere come gli Houston Rockets e i San Antonio Spurs. Le ultime settimane hanno reso ancora più straniante la differenza: 8 vittorie consecutive in casa, 9 sconfitte consecutive in trasferta. Può la stessa squadra che davanti al proprio pubblico sembra in grado di poter difendere il titolo contro chiunque, trasformarsi in un brutto anatroccolo non appena lascia San Francisco?

Per dirla con un meme: in alto i Golden State Warriors fuori casa, in basso quelli in casa.

Una brutta storia di percentuali da tre puntiGià a inizio 2023 Kevin Pelton di ESPN aveva analizzato la stranissima anomalia statistica rappresentata da questa versione degli Warriors, ma anche lui nelle sue conclusioni era arrivato a scrivere che lungo la stagione questa differenza abissale tra casa e trasferta avrebbe finito per livellarsi. Invece, se possibile, si è ampliata ulteriormente: come scritto pochi giorni fa da Zach Kram su The Ringer, il trend si è ulteriormente radicalizzato attorno a una singola statistica: la percentuale da tre punti degli avversari.In questo ultimo periodo, quando bisogna trovare una giustificazione per un periodo particolarmente positivo o particolarmente negativo di una squadra, la prima cosa che si va a guardare è la percentuale degli avversari da tre punti, in particolare nelle triple considerate “wide open” (cioè con il difensore più vicino ad almeno due metri di distanza, quindi con meno influenza sull’esito del tiro). Anche stando solamente alla totalità delle triple prese, però, la differenza è soverchiante: al Chase Center gli avversari tirano con il 32.7%, la percentuale più bassa dell’intera NBA, mentre fuori casa contro Golden State si segna con il 41.4% (solo San Antonio subisce una percentuale più alta, ma di appena 3 punti decimali).Se si considerano solo le triple dagli angoli, poi, il solco si trasforma in un canyon: a San Francisco nella costruzione dello scintillante Chase Center devono aver aggiunto una maledizione negli angoli del campo perché gli avversari tirano con il 29.7% (oltre quattro punti percentuali peggio della seconda squadra in classifica, i Philadelphia 76ers che concedono il 34%), mentre fuori casa quella stessa percentuale schizza al 45.6%. Praticamente è come se nella Baia tutti gli avversari si trasformassero in non-tiratori come John Collins o Anthony Davis, mentre quando gli Warriors sono ospiti diventano tutti indistintamente specialisti come Joe Harris o Grayson Allen. C’è di che perderci la testa, visto che non c’è nemmeno una differenza così sostanziale in termini di tipologia di tiri (dal palleggio o piedi per terra) o di difesa più o meno forte di Golden State (la percentuale di tiri contestati varia di appena 1.3 punti percentuali). Volendo tagliare questo nodo di Gordio come farebbe Alessandro Magno, verrebbe da derubricare l’intera vicenda a pura e semplice fortuna.

Nemmeno una prestazione da 50 punti con 20 canestri segnati (career-high pareggiato) di Steph Curry è bastata per battere i Clippers, facendosi scavalcare in classifica e perdendo il tie-breaker nei loro confronti.

L’enorme disparità di rendimento degli avversari nel tiro da tre determina quasi interamente l’altrettanto enorme differenza di rendimento difensivo degli Warriors tra casa e trasferta. Mentre l’attacco si mantiene su livelli tutto sommato simili (117.2 in casa, 113.8 in trasferta) grazie soprattutto a percentuali realizzative molto alte su qualsiasi campo, il rendimento difensivo di Golden State passa da 108.1 in casa (terzo migliore della lega) a un catastrofico 121 fuori casa (terzo peggiore della lega). A questo rendimento contribuiscono altri due difetti storici che Golden State riesce a limitare in casa e che invece esplode in trasferta: i rimbalzi difensivi e i falli commessi. Nell’era Steve Kerr gli Warriors sono quasi sempre stati più “piccoli” degli avversari, specie nelle strutturazioni con Draymond Green da 5 che hanno cambiato la storia del gioco, ma mentre al Chase Center sono ancora vicini alla top-10 per rimbalzi difensivi, fuori casa concedono agli avversari di recuperare quasi il 28% dei loro errori. Una differenza sensibile rispetto allo scorso anno, nel quale uno dei segreti della cavalcata fino al titolo è stata proprio la capacità di reggere fisicamente a rimbalzo anche contro squadre atleticamente superiori che assaltavano il ferro come Memphis o Boston. Gli Warriors fuori casa quest’anno invece sembrano sempre in affanno e poco disciplinati, un problema che si nota anche nell’enorme differenza nei tiri liberi concessi, passando da un Free Throw Rate di 20.5 in casa (nella media della lega) a uno di 23.6 fuori (terzo peggiore). Inoltre Golden State è la squadra che in generale concede meno tiri al ferro agli avversari, solitamente un indicatore di una buonissima difesa, ma mentre in casa riescono a essere incredibilmente granitici (appena il 19% dei tiri avversari è al ferro, la seconda in classifica si ferma al 25%), fuori casa la loro capacità di negare i tiri a più alta percentuale scende “solo” al quinto posto, aprendo un’ulteriore breccia in un’armatura già fortemente colpita dalla grandinata di triple che si vedono piovere addosso ogni volta che mettono fuori la testa dal Chase Center.Quanto manca Andrew WigginsSul rendimento così schizofrenico in particolare degli ultimi due mesi pesa enormemente l’assenza di Andrew Wiggins, che non scende in campo dallo scorso 14 febbraio per motivi personali che — giustamente e comprensibilmente — non sono stati divulgati. Wiggins è la forza stabilizzatrice di questa squadra con la sua capacità di passare indifferentemente non solo dai ruoli di 2, 3 e 4 marcando qualsiasi tipologia di avversario, ma anche di vestire i panni del realizzatore o del gregario in base a quello che richiede la situazione e le scelte difensive avversarie. Gli Warriors non solo non avrebbero mai vinto la serie finale dello scorso anno senza la sua difesa su Jayson Tatum e la sua capacità di farsi trovare pronto in attacco, ma probabilmente non ci sarebbero nemmeno arrivati se non avesse disputato la serie che ha disputato a rimbalzo contro Memphis e in marcatura singola su Luka Doncic nelle finali di conference.Anche in questa stagione, nella quale per la prima volta ha avuto anche a che fare con problemi fisici disputando solo 37 partite, la sua importanza è stata evidente. Dietro Draymond Green (+12.7) e Steph Curry (+8), il suo è il terzo differenziale su 100 possessi più alto della squadra con +7.4, migliorando il rendimento tanto in attacco quanto in difesa. Non è un caso che tutti i quintetti con lui in campo funzionino, a partire da quello che rappresenta da solo il singolo motivo per cui i Golden State Warriors, anche in una stagione così interlocutoria, hanno una possibilità di difendere il loro titolo.

Di Golden State abbiamo parlato anche in Air Vismara, il podcast di Fenomeno sulla pallacanestro NBA.

Contender fino a quando qualcuno non dimostrerà il contrarioIl quintetto base formato da Steph Curry, Klay Thompson, Andrew Wiggins, Draymond Green e Kevon Looney in 705 possessi insieme ha un differenziale di +22.1 punti su 100 possessi, viaggiando a un astronomico 128.5 di rating offensivo e un solidissimo 106.4 di difensivo. Per trovare un altro quintetto che abbia un differenziale anche solo di +20 su 100 possessi bisogna pescarne uno di Denver attorno al totem Nikola Jokic, ma con appena 365 possessi giocati insieme — praticamente la metà del quintetto base su cui può contare Steve Kerr.A questo altare presso il quale i tifosi di Golden State stanno accendendo un cero al giorno sperando di rivederlo presto assieme si unisce poi un dato “storico”: Curry, Thompson e Green non perdono una serie di playoff giocata insieme per intero dal 2014 contro gli L.A. Clippers (una serie nella quale peraltro Green ha giocato solo quattro partite su sette da titolare), visto che su quella del 2016 contro Cleveland pesa la squalifica dello stesso Draymond per gara-5 e su quella del 2019 contro Toronto gli infortuni di Kevin Durant e Klay Thompson. Questo per dire che battere quei tre, indipendentemente da tutto, sarà compito arduo per chiunque. E in una Western Conference nella quale è lecito avere dubbi su qualsiasi squadra alla fine comporrà il tabellone delle 8, l’esperienza condivisa e il titolo vinto lo scorso anno rappresentano una fondazione su cui appoggiarsi che semplicemente le altre squadre non hanno.

L’altro dato che può rendere digeribile il rendimento in trasferta di questa regular season: ai playoff quei tre vincono almeno una partita fuori casa da 27 serie consecutive. Per quanto il posizionamento in classifica li costringerà molto probabilmente a giocare senza il fattore campo a favore, il tweet qui sopra rappresenta uno scoglio a cui aggrapparsi.

A vedere il bicchiere mezzo pieno, Golden State può ragionevolmente pensare che in giro per la conference non c’è nessuna schiacciasassi contro la quale non hanno proprio nessuna chance di giocarsela, che con Andrew Wiggins hanno il miglior quintetto base della lega, che hanno più esperienza e più “vissuto” rispetto a qualsiasi altra squadra e che, soprattutto, loro hanno Steph Curry e gli altri no. A vedere il bicchiere mezzo vuoto c’è invece l’assurda incapacità di vincere lontano da casa e la conseguente necessità di vincere almeno una volta lontano dal Chase Center per vincere una serie, un roster meno affidabile rispetto a quello dello scorso anno, problemi fisici non indifferenti ai vari Gary Payton II (ancora in attesa di secondo debutto), Andre Iguodala (operato al polso) e Jonathan Kuminga (appena rientrato da un infortunio alla caviglia), un Jordan Poole che — al netto dei lampi di talento — non sembra poter traghettare sulle sue spalle la franchigia quando i tre padri fondatori dello Strength in Numbers non ci saranno più.Potrebbe essere anche l’ultima occasione di vedere questa squadra assieme, visto che Draymond Green sembra destinato a uscire dal suo contratto per cercarne uno più lungo da altre parti, quello di Klay Thompson è in scadenza nel 2024 ma con poche possibilità di estensione, quello di Bob Myers scadrà a giugno e le trattative per rinnovarlo sono ferme da tempo. C’è un’ultima possibilità per vedere se la magia di un gruppo, in ogni caso già fermamente nella storia del gioco, non si è esaurita del tutto: vedere come se la caveranno sarà certamente una delle storie più interessanti della primavera cestistica che è ormai alle porte.

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