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Valerio Coletta
Dove sarà Kobe Bryant tra 10 anni?
19 apr 2016
19 apr 2016
Quattro scenari più o meno verosimili per immaginarci il futuro del Black Mamba.
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Valerio Coletta
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Il Boeing 767 originariamente diretto al Los Angeles International Airport impatta la Torre Nord del  World Trade Center tra il 93° e il 99° piano. Quella torre è la la prima ad essere colpita, ma la seconda a crollare. A New York sono le ore 08:46:26. A Roma le 14:46:26. A Los Angeles le 05:46:26. Kobe Bryant vede tutto in diretta perché, alle 5 di mattina passate, si sta già allenando da un po’, a oltre 20 giorni dall’inizio del training camp.

 

Questo per dire quanto il basket coincida con la vita di Kobe: quando aveva 8 anni declinava gli inviti alle feste perché "devo allenarmi per andare in NBA”; le partite giocate sul dolore non si contano nemmeno, perché non esiste altro che il basket e i titoli, le vittorie, le sfide vinte, i palazzetti ammutoliti, gli avversari e i compagni messi in ombra. Dopo una vita spesa al limite per questo palcoscenico, cosa può esserci dopo?
https://youtu.be/qQYz0I5dE_A

Forse un futuro da direttore d’orchestra, ecco


 

Kobe è sempre stato un ragazzo ombroso, abbastanza chiuso. Di ipotesi sul suo futuro se ne sono fatte poche, proprio perché il personaggio è complicato: intellettualmente capace di tutto, ma allo stesso tempo inconciliabile con la maggior parte degli approcci al lavoro, con i compromessi, con le debolezze altrui. Dove lo metti uno così? Mi sono permesso allora di lanciarmi nella stesura di quattro scenari plausibili e meno plausibili su quello che sarà Kobe Bryant tra 10 anni.

 





 

I boscimani la chiamano "La terra che Dio ha creato con rabbia”: è una porzione della costa atlantica della Namibia — anche conosciuta come la Costa degli Scheletri per via delle migliaia di relitti di imbarcazioni che spezzano la spiaggia piatta e bianca — che diventa poi deserto. Impossibile accostarsi via mare per via delle onde giganti create dalla corrente del Benguela, è raggiungibile solo attraverso il deserto del Namib (arido da 80 milioni di anni, il più antico deserto del mondo), o gettandosi da un piccolo aeroplano con un paracadute. È così che migliaia di ragazzi, ogni anno, raggiungono la scuola di basket di Kobe Bryant.

 

Aperta nel 2020 nello stupore planetario, è un vasto complesso di campi e palestre al chiuso, impossibile da osservare perfino dai satelliti. In pochi anni è diventata la scuola di basket più prestigiosa al mondo, ma anche la più dura: si dice che si sviluppi sottoterra con altre strutture segrete e Dio solo sa cos'altro, come una specie di Area 51 della pallacanestro. Kobe Bryant ora vive lì: la sua nuova ossessione è formare nuovi giocatori, plasmarli fin nel più recondito antro del loro cuore. Il costo della scuola non è molto elevato, ma il livello di durezza degli allenamenti è insostenibile. Si racconta che ogni mese ci sia una prova diversa per scovare i più deboli e rimandarli a casa. Sono pochi i ragazzi che parlano quando tornano, per via della cieca fedeltà che provano verso il Maestro Bryant, ma alcune storie sono trapelate.

 

Si racconta di gare di tiro a piedi nudi in un campo pieno di Mamba neri (il serpente più velenoso al mondo, originario di quelle zone), immersioni nelle sabbie mobili, settimane passate senza dormire a guardare e riguardare filmati. Molte associazioni statunitensi ed europee hanno accusato la scuola di sospendere i diritti umani e di torturare gli allievi. Ma la giurisdizione della Namibia rende inattaccabile il lavoro di Kobe, che fa firmare delle apposite liberatorie al momento dell'iscrizione. Solo nel 2026, alla scuola, si sono iscritti 5.000 ragazzi (e 40 ragazze). Ne sono usciti due, che ora giocano stabilmente in NBA ad altissimo livello.

 





 

Gigio Donnarumma passa al Real Madrid a 21 anni, per 60 milioni di euro. In quella stessa sessione, Ibra, 38enne e con un ginocchio in disordine, torna, con  grande sorpresa di tutti, al Malmö FF, dichiarando che li porterà alla vittoria della Champions. Ma non è questo il colpo di mercato più incredibile di quella lunga estate e presumibilmente della storia del calcio recente.

 

Nell'ultimo giorno consentito, il vecchio leone Berlusconi (83 anni) con l'ausilio di Walter Sabatini (ormai passato al Milan) mette a punto un trasferimento epocale, portando Kobe Bryant al Milan, come portiere. Kobe ha 41 anni e sono 4 anni che ha smesso. La notizia fa il giro del mondo e la maglia rossonera del Mamba è già sold-out prima ancora che Kobe firmi ufficialmente il contratto. Le prime dichiarazioni di Kobe sono: «Ho detto che mi sarei ritirato dal basket, non dallo sport».

 

Qualche mese dopo, in un'intervista più ampia con Federico Buffa, Kobe dichiara che tutti quegli anni fuori dalle competizioni sono stati insostenibili per lui e che la depressione era ormai una parte tangibile della sua vita. Che voleva rimettersi in gioco e che, come Michael Jordan nel baseball, anche lui voleva primeggiare in un'altra disciplina. Poi aggiunge sorridendo che,

, non è difficile fare meglio di MJ. I tifosi milanisti sono perplessi: va bene tutto, ma questa sembra una pura operazione di marketing e loro hanno dato via un grande portiere per portarsi in squadra un ex giocatore di un altro sport.

 

A Milanello cominciano gli allenamenti, Kobe non gradisce le telecamere e il Milan chiude le porte ai giornalisti. Diversi commentatori ricordano una vecchia intervista del 2013 a Milan Channel in cui si chiede a Kobe se possiamo sognare un suo allenamento con il Milan, e lui dice testualmente: «Certamente, perché no, vengo a giocare un po', mi diverto un po', mettimi come portiere per fare un po' di tiri alla testa mia».

 

https://www.youtube.com/watch?v=F4PVNJY3Ipo

 

La prima di campionato è Milan–Cagliari. 2 a 2. Due tiri, due gol. Però tiri difficili e le opinioni si dividono: non è una prova sufficiente per giudicarlo. Seconda di campionato: Samp–Milan, 1 a 2. Kobe prende un gol evitabile ma fa una parata che impressiona, da portiere di calcio, e poi ha già in mano la squadra: il suo carisma ha rapito tutti. Alla pausa invernale Kobe è un portiere vero. Atleticamente non è un gatto, ma è imponente, quasi 2 metri, con un controllo del corpo maestoso e una coordinazione irreale per uno che ha giocato tutta la vita ad un altro sport. In estate andrà al Barcellona per 40 milioni.

 



 





 

Due settimane dopo l'ultima partita giocata, Kobe si chiude nella sua villa di Los Angeles e non esce più. Per diversi mesi i media se lo dimenticano, poi scoppia il caso quando moglie e figlie lasciano la casa e si trasferiscono a New York, nel più stretto riserbo. Qualcuno dice che sia impazzito e che sia diventato violento, qualcuno dice che sia invecchiato tutto d’un botto e che abbia perso l'uso delle gambe. Un castello di dietrologie comincia a formarsi attorno all'ex giocatore, ma non c'è nessuna prova concreta e a rimanere in piedi è solo l'ipotesi più verosimile, ovverosia che abbia litigato con la moglie e che si sia semplicemente dedicato a una vita privata e lontana dai giornalisti. Il caso si spegne e i riflettori girano da qualche altra parte.

 

Poi una notte, su Reddit, viene pubblicata una storia che diventa un piccolo caso underground. Un utente anonimo dice di vivere a Seattle e racconta che durante la consueta corsa serale si era fermato prima del tempo per prendere fiato e controllare il cellulare; poi, guardandosi attorno, aveva scorto una figura in fondo alla strada, ferma, che lo fissava. Racconta poi che la figura aveva su il cappuccio della felpa e che lentamente si era avvicinata a lui. Conclude poi che prima di rimettersi a correre, un po' spaventato, nella direzione opposta, aveva provato a vedere che volto avesse lo strano individuo e giura su quello che gli è più caro di aver visto Kobe Bryant. Tra meme e congetture la storia fa il giro del mondo.

 

Tre mesi dopo, a Parigi, una ragazza chiama la polizia perché dice di aver visto una figura ferma e immobile nel suo giardino che guardava verso di lei. La notizia va su tutti i giornali perché la ragazza è convinta che l'uomo fosse Kobe Bryant, il famoso campione NBA. In seguito ad alcune interviste, tra i vari dettagli, ne emerge uno che gira soprattutto su alcuni forum e cioè che la ragazza, quel giorno, avesse deciso di saltare la palestra per riposarsi.

 

Casi del genere si susseguono ovunque, ma non si capisce se per mitomania, fame di attenzione o gente suggestionata. Negli anni la storia diventa una famosa leggenda metropolitana, secondo la quale quando non ti alleni bene, o ti arrendi, o molli per pigrizia o debolezza, Kobe Bryant in persona viene a controllarti, ovunque tu sia. Qualcuno dice anche che se non si torna subito a lavorare, il Mamba possa diventare anche violento e spiacevole, ma non ci sono prove concrete che questo sia mai accaduto. Dieci anni dopo, nel 2026, questa storia è quasi proverbiale ed entra a far parte del linguaggio comune. Kobe Bryant non ha mai rilasciato nessuna dichiarazione a riguardo.

 





 

La cosa più divertente del Draft NBA è andarsi a vedere quali giocatori vengono pescati in fondo, dopo la 20, dopo la 30 e al secondo giro e cercare di indovinare qualche sorpresa prima di tutti gli altri. Vi ricordo che Manu Ginobili è stato una 57esima scelta, Stockton 16esima, e per dire, un Monta Ellis qualsiasi 40esima. È come andare a un mercatino delle pulci e scovare qualche oggetto prezioso in mezzo alle cianfrusaglie, con tutto il rispetto.

 

Il Draft del 2020 è stato un buon Draft, pieno di ragazzi interessanti e con tanti stranieri bravi. Il segreto meglio custodito del Draft, secondo gli esperti, è arrivato al secondo giro, alla 48esima scelta: tale Wagyu Nazareth, un ragazzo dalla storia particolare. Afroamericano, per metà giapponese, ha militato principalmente nel campionato indonesiano ma i suoi numeri straordinari lo hanno fatto notare anche fuori, fino a meritarsi una chiamata dalla lega più importante del mondo. Un ragazzo di 28 anni (anche se ne dimostra di più), quindi già “vecchio” per un rookie in NBA, ma una bella storia per il marketing non la si nega a nessuno. Se lo assicurano i Philadelphia 76ers, insieme a una seconda scelta molto forte.

 

Wagyu fa scalpore più per la sua storia e per il suo aspetto che per il suo effettivo talento, che in realtà nessuno conosce, perché non esistono video o prove della sua esistenza passata in Indonesia — ma è pur sempre l'Indonesia, che vi aspettavate. È un ragazzo di 1.98 cm per 96 kg, abbastanza slanciato, il naso dritto e sottile, occhi azzurri, baffi folti, pizzetto a punta e capelli a spazzola anni '90 alla Jimmy Butler, o alla Norris Cole se preferite. Sempre bardato con scaldamuscoli lunghi per braccia e gambe e fascetta in fronte. Phila non lo ha ancora portato davanti alle telecamere perché a quanto pare Wagyu Nazareth parla solo indonesiano e giapponese. Per i tifosi dei Sixers è già un giocatore di culto, e qualcuno non vede l'ora che arrivi un po' di garbage time per vederlo in campo. Poi esplode la bomba.

 

Wagyu fa il suo esordio contro Toronto, entra nel secondo quarto e ne mette 40. Il Fargo Center è in completo delirio. Wagyu Nazareth però continua a comportarsi in modo stranissimo: non parla, non ride, nessuno lo vede in giro, si sottrae agli impegni con i media con i Sixers che pagano le multe per lui. Di partita in partita diventa un fattore per la squadra e tutti cominciano a paragonarlo a Jordan nello stile di gioco, anche se molti ritengono il suo tiro e i suoi movimenti uguali a quelli di Kobe Bryant. Poi una volta contro Boston, durante uno scontro di gioco, Wagyu sbatte per terra e nella ressa del momento accade una cosa stranissima: sembra perdere i baffi — cioè sembra

che i suoi baffoni a manubrio gli si stacchino dalla faccia — ma in una frazione di secondo tutti i compagni gli sono intorno, quasi a schermarlo dall'esterno.

 

Wagyu Nazareth in poco tempo diventa uno dei nuovi idoli NBA, anche se è continuamente tartassato dagli infortuni, ma continua ad essere decisivo e a giocare ogni volta che può. Rimane a Philadelphia per 10 anni e anche se sembra invecchiare moltissimo nessuno ci fa caso: rimane un tizio strano mezzo giapponese-indonesiano o non so che, nessuno se ne cura. Tutti lo chiamano Mamba San, un po' perché somiglia terribilmente a Kobe nel modo di giocare, un po' perché è mezzo giapponese. Per anni l'NBA ha provato a farlo incontrare con Kobe Bryant, per un'intervista o per qualche video da pubblicare sui social, ma non c'è stato modo: era impossibile far incontrare quei due.

 

 

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