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Daniele V. Morrone
Doppietta
21 mag 2015
21 mag 2015
Le due squadre hanno giocato con l'intensità che merita una partita speciale. La Juventus aggiunge la Coppa Italia allo Scudetto già conquistato, aumentando l'attesa per la finale di Champions League.
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Daniele V. Morrone
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Uno degli eterni cliché nel mondo del calcio è quello di bollare come “finali” le partite che mancano al raggiungimento di un determinato obiettivo: «Per raggiungere la salvezza dobbiamo giocare le ultime sei partite come sei finali» o «mancano sei finali allo scudetto» sono solo due esempi di un’espressione tanto abusata quanto falsa. Falsa perché a meno di casi come lo spareggio per il secondo posto di lunedì, le partite di campionato non sono finali e lo si capisce bene anche dopo solo un minuto di una vera finale, con un trofeo in palio a fine partita.

 

La finale di Coppa Italia dimostra bene questa differenza, a partire dall’inno cantato fuori tempo da tutto lo stadio, con i giocatori schierati e coreografie preparate dalle curve: da subito si respira un’aria diversa e si percepisce l’importanza della partita tra due squadre che, a livelli diversi, stanno disputando una stagione straordinaria.

 

Nonostante il risultato dei 120 minuti, si può dire che Stefano Pioli, alla prima importante finale in carriera, ha avuto il coraggio di definire il contesto della partita, dettandone il ritmo con la propria strategia e modificando in modo radicale il modulo in campo rispetto al campionato.

 



La Lazio era priva del giocatore più importante del centrocampo, Biglia, e invece di sostituirlo con Ledesma per mantenere il sistema conosciuto, l’allenatore della Lazio ha schierato la squadra con un’inedita difesa a tre, utilizzando solo due centrali di centrocampo in Parolo e Cataldi, con Lulic e Basta ai loro lati. Si può parlare quindi di un 3-4-3 vista la presenza in avanti del tridente con Candreva, Klose e Felipe Anderson.

 


Ecco il 3-4-3, quando gli esterni si abbassano diventa 5-2-3...



 

Ovviamente l’utilizzo dei numeri per identificare il modulo è una semplificazione, visto che in campo le posizioni del tridente variano a seconda dell’esigenza, con Candreva più centrale e Felipe Anderson più verso la linea di fondo, a volte scambiandosi anche la fascia; anche la posizione degli esterni si modifica in base al contesto abbassandosi quasi in linea con i centrali in fase di difesa posizionale o alzandosi a centrocampo in fase di possesso. Altra variabile da aggiungere: la ricerca della marcatura individuale su Pirlo dall’inizio da parte del giocatore a lui vicino, che portava sia Klose ad abbassarsi che Candreva ad accentrarsi su di lui. Fatto sta che la partita inizia con la Lazio che vuole limitare il volume di gioco che transita per i piedi del regista juventino (riuscendoci nei 90 minuti, limitando il regista bianconero a un assist e un passaggio chiave).

 

L’utilizzo di un uomo che si avvicina alla zona di Pirlo non è l’unica strategia di Pioli per imporre il proprio ritmo alla partita: leggendo nell’assenza di Morata la mancanza di un giocatore i grado di muoversi alle spalle della difesa, ha deciso di mantenerla alta per accompagnare il pressing dei centrocampisti, accorciando così l’area di gioco e sfruttare l’intensità di giocatori come Parolo, Candreva e dei due esterni Lulic e Basta.

 


Questa tonnara è il risultato del contesto creato da Pioli, con ritmo alto dato dall'intensità messa in campo dalla sua squadra.



 

Ovviamente il ritmo alto e il pressing sostenuto sono caratteristiche ben note della Lazio, ma l’impossibilità per la Juventus di agire ai lati dei tre centrali con i movimenti di Morata e l’impossibilità per gli esterni di alzarsi troppo per non lasciare spazio a Candreva e Felipe Anderson permette ai due laterali della difesa (Radu a sinistra e de Vrij a destra) di allargarsi a coprire in tranquillità solo quando necessario, soprattutto con Radu che forse da tempo non si trovava così a suo agio nello sfruttare una zona di campo e dei dettami tattici che gli calzano a pennello. La difesa della Lazio quindi può mantenersi alta, il campo si stringe e il meccanismo di pressing è più efficace e sicuro. I ritmi si alzano. Pioli ha creato il contesto.

 



Non è ovviamente possibile sapere se Allegri avesse previsto la strategia laziale, ma la Juve nei primi minuti fatica a interpretare la partita in modo attivo e preferisce prendere tempo, accettando i ritmi imposti dalla Lazio. Allegri ha messo in campo la Juventus con quella che è una delle opzioni standard con gli uomini a disposizione, viste le assenze del citato Morata e di Marchisio: difesa a tre, centrocampo a cinque con Pirlo al centro, Pogba e Vidal da interni e attacco con Tévez tra le linee e Llorente come riferimento alto.

 

La Juve si adegua ai ritmi della Lazio e preferisce provare ad allargare il campo in modo scolastico, aprendo molto Chiellini e Barzagli per far girare il pallone, così da sfruttare la necessità della Lazio di lasciare sempre un centrale libero di impostare per non patire troppo l’inferiorità numerica a centrocampo. La scelta funziona se non per qualche errore (anche banale) in disimpegno, ma la circolazione risulta agevole solo tra i centrali, e viene poi aggredita bene da parte degli avversari quando il pallone raggiunge il centrocampo.

 


Pirlo seguito sempre da un giocatore (adesso tocca a Felipe Anderson) e la palla lasciata a Bonucci, che non può lanciare lungo sia per i minori movimenti davanti, sia per la difesa a 3 della Lazio, che in teoria segue meglio i movimenti in profondità (in realtà, in un paio di occasioni Llorente si è inserito bene nello spazio tra Radu e Lulic, ma la palla era sulla fascia opposta in quel caso).



 

Con il ritmo alto, e con il possesso che cambia rapidamente tra le due squadre, la prima parte di gara è piacevole e rende un omaggio alla posta in palio. Per vedere un’effettiva produzione offensiva, però, bisogna ringraziare due azioni da fermo: la Lazio passa in vantaggio dopo quattro minuti con una punizione battuta da Cataldi, che trova bene la testa di Radu sul mancato intervento di Pirlo, ma la Juventus pareggia dopo poco più di cinque minuti con Chiellini in acrobazia su assist di Evra, sempre partendo da un calcio piazzato.

 

Le due squadre, bloccate da schermaglie tattiche attive o reattive dei due allenatori, producono molto meno di quanto gli errori in disimpegno e il ritmo veloce farebbe pensare. Di tiri in porta, tolti i gol, non se ne vedono e i due portieri, oltre a raccogliere la palla dalla rete, vengono impegnati più in rilanci che in parate: l’IPO alla fine dei tempi regolamentari è molto basso, 27 a 27, e testimonia appunto una sfida giocata alla pari.

 

Per la Juventus, la mancata produzione offensiva può essere rintracciata soprattutto nelle prestazioni di Pogba e Llorente e nel problema per gli esterni di trovare il fondo. Il francese sembra totalmente fuori dalla partita: tocca pochi palloni (solo un assist e due passaggi chiave, ben 7 palle perse e solo 3 recuperate) e non riesce a trovare la posizione in campo per incidere almeno nell’ultimo passaggio.

 


Dopo aver trotterellato per trovare la posizione, finalmente Pogba riceve il pallone con il giusto spazio e la Juve sale veloce. Vidal ora e Tévez subito dopo chiamano inutilmente palla. Inutilmente perché Pogba prova un improbabile tiro da poco più avanti.



 

Su Llorente, invece, bisogna fare un discorso più ampio, a partire dal presupposto che le caratteristiche di un giocatore non possono essere ignorate al momento di valutarne l’impatto in un determinato ruolo nella partita. Questa, evidentemente, non era la partita adatta all’attaccante spagnolo (ben 18 palle perse, recordman di partita), non tanto per lo stato di forma con cui sta affrontando il finale di stagione (soprattutto se confrontata con quella di Morata), ma per la sua stessa maniera di giocare. Llorente è un attaccante possente portato al gioco associativo, che dà il meglio ricevendo anche sui piedi spalle alla porta. La difesa tanto alta della Lazio (40 metri è l’altezza media delle palle recuperate) ha forzato la ricezione da parte di Llorente ben lontano dall’area di rigore (e a volte troppo laterale, cosa che invitava le coperture di de Vrij e Radu) e l’hanno costretto ad avanzare palla al piede limitandone le opzioni. Ha comunque vinto i duelli aerei (in tutto 9 duelli vinti su 16) e in questo si è reso molto utile alla causa, ma ha fatto rimpiangere la presenza di un attaccante che sapesse sfruttare meglio il contesto della partita.

 

La Lazio, dal canto suo, deve il suo problema di produzione alla scelta stessa degli uomini in campo. Non se ne esce: il centrocampo tanto atletico, fondamentale in fase di non possesso e nel dettare il ritmo alla partita, quando ha la palla mostra difetti strutturali che Pioli non può ovviamente correggere. Gli esterni Lulic e Basta aiutano la circolazione ma ricevono staticamente, non arrivano sul fondo con continuità, con Lulic esterno a piede invertito che gioca il più delle volte guardando il centro del campo, come fosse una mezzala.

 

Il suo compito però dovrebbe essere quello di aiutare l’ampiezza del modulo. Basta fa meglio nel mantenere l’ampiezza, ma anche lui manca nella spinta sul fondo in continuità. La Lazio finisce con giocare nella fascia centrale, con il solo Felipe Anderson che si alterna tra la ricezione larga e quella centrale. Candreva e Klose giocano ricevendo da fermi al centro e anche le proiezioni da Parolo finiscono nell’imbuto centrale. Il povero Cataldi si ritrova a dover gestire al contempo il possesso allargando verso gli esterni e provando tentativi di verticalizzazione al centro verso gli attaccanti, che vengono gestiti in modo molto semplice dall’ottima difesa juventina. Cataldi sbaglia le verticalizzazioni (ma almeno ci prova, ed effettua un assist e 3 passaggi chiave) ma si tratta di un tentativo per sfondare dove vede i suoi compagni. Al centro, ed è li che li aspetta la difesa della Juve.

 

La linea difensiva bianconera rimane quasi impeccabile nelle transizioni difensive, risultando impreparata solo nella prima vera occasione della Lazio al minuto 26, con una splendida ripartenza di Felipe Anderson che Cataldi non riesce a concretizzare, provando il tiro di precisione invece che di potenza. Per il resto, con il passare dei minuti, il ritmo inevitabilmente cala, ma la partita resta piacevole anche nel secondo tempo: la difesa della Lazio rimane alta e arrivano i primi errori in disimpegno da parte dei difensori, non sfruttati però dalla Juventus. I bianconeri indirizzano il possesso poco produttivo degli avversari evitando il pressing (altezza media delle palle recuperate pari a 36 metri) visto che basta limitarsi ad aspettare l’errore o a forzarlo andando a cercare di recuperare palla sugli esterni.

 


La prima volta che la transizione difensiva della Juve non è impeccabile, con la ripartenza della Lazio guidata da Felipe Anderson, che mette Cataldi in condizione di tirare in porta.



 



Con il ritmo che si abbassa aumenta in modo evidente l’impatto di Pirlo, che pur sempre seguito riesce a gestire meglio il pallone. Ormai è evidente che il regista, anche se geniale, non è più in grado di incidere quando il ritmo della partita non gli è congeniale, ma non appena la situazione si aggiusta nei suoi confronti sale in cattedra ed è ancora capace di incidere a grande livelli (addirittura 4 passaggi chiave e 2 dribbling riusciti nei supplementari).

 

Quanto invece sia mancato alla Juventus il vero Pogba lo si capisce meglio quando al cambio nella seconda parte del secondo tempo di Pogba per Pereyra la Juventus riesce a guadagnare una nuova dimensione in fase di non possesso, con i due interni sudamericani che portano pressione ovunque la loro corsa li riesce a portare.

 

La Juventus sembra consapevole che la Lazio ormai riesce ad attaccare efficacemente solo con azioni personali, con Candreva e Felipe Anderson che partono palla al piede a sfidare la transizione difensiva dei bianconeri. Ma un giocatore solo palla al piede sarà sempre più lento di un intero reparto organizzato, e quando i due laziali riescono a saltare il primo uomo la loro azione si spegne inesorabilmente quando si infilano in quell’imbuto che è la manovra offensiva biancoceleste.

 


Felipe Anderson avanza aspettando il momento giusto per darla a Candreva, che si è aperto. La transizione difensiva della Juve però e perfetta e la palla viene recuperata anche all’asso brasiliano.



 

Rimane di ottimo livello la partita delle due stelle della squadra, che seppur provando singolarmente a trovare soluzioni a un problema troppo grande, non smettono per tutta la partita di correre e di provarci. Felipe Anderson, oltre a deliziosi controlli e al solito apporto di dribbling (6 dribbling riusciti su 7 nei 90 minuti), mette in campo anche l’attenzione tattica nel cercare la posizione più utile alla squadra al momento della ricezione e nel provare a recuperare il pallone non tirando mai indietro la gamba.

 

Oltre all’ottimo cambio di Pereyra (che si fa notare anche palla al piede con una bella azione personale che però non porta al risultato sperato, oltre a 3 passaggi chiave e un assist) Allegri è bravo nell’indovinare anche il secondo cambio, quando in risposta all’entrata di Djordjevic per Klose da parte di Pioli inserisce Matri per Llorente.

 

I cambi di Allegri sono sicuramente prevedibili visti gli uomini a disposizione e potrebbero essere stati pensati al momento di impostare la partita. Fatto sta però che hanno inciso nel migliore dei modi possibili, visto che Matri appena entrato segna un gol che seppur in fuorigioco è più di quanto concretamente fatto da Llorente davanti al portiere.

 


Dopo aver iniziato a mille i supplementari la Lazio abbassa un minimo l’attenzione e Pirlo ha tempi e spazi per lanciare su Matri.



 



Fare un’analisi dei tempi supplementari di una finale è forse la cosa più difficile, perché nella mezz'ora addizionale conta più dell’aspetto tattico quello mentale. Non è un discorso sul “chi vuole vincerla veramente”, è ovvio che tutti i giocatori in campo voglio vincere la partita e vorrebbero segnare quanto prima, ma riguarda la capacità di una squadra di mantenersi fredda nel capire che 30 minuti sono tanti e che si ricomincia da zero. In questo la Juventus ovviamente è avvantaggiata, vista l’esperienza a questi livelli della rosa, e gestisce bene la prima sfuriata della Lazio, che parte pressando alta provando a spaventare i bianconeri. Lo spavento riesce alla perfezione col doppio palo che nega il gol a Djordjevic, ma la freddezza rimane e Pirlo ha tempi e spazi per trovare un gran lancio che Matri realizza grazie al tentativo di parata insicuro di Berisha. La velocità con cui la Juventus passa dallo spavento per il doppio palo alla realizzazione del gol è tale che Allegri e i tifosi festeggiano con quel misto di allegria e sollievo tipico dei casi di gol sbagliato gol subito.

 

La Juventus si dimostra squadra matura nel modo in cui gestisce i minuti finali, non risentendo minimamente del cambio radicale di Pioli, che passa al mourinhano 4-2-4 della disperazione con l’uscita del centrale de Vrij per Keita, che va ad affiancare Djordjevic davanti. Il tempo scorre e i bianconeri vincono la coppa.

 

Allegri è bravo e fortunato, con la sua squadra che si porta a una partita (e che partita) da uno storico triplete. Visto il tempo che ci separa dalla finale di Berlino non so quanto possa essere indicativa la prestazione rivedibile di Pogba; sicuramente ancora una volta è stato rimarcato quanto Pirlo abbia bisogno del suo ritmo di gioco per poter rendere. La cosa che risalta più di ogni altra è quanto questa squadra sia matura nel gestire le partite anche più importanti e difficili, preparata mentalmente e tatticamente per uscire fuori anche da contesti difficili come quello dell’Olimpico preparato da Pioli, e con Tévez e Vidal che arrivano in forma smagliante alla partita più importante della stagione.

 

Per la Lazio la coppa sarebbe stata la ciliegina su di una torta che però deve ancora arrivare, vista l’importanza dello scontro diretto con la Roma. Pioli ha tirato su una bella squadra, che sfrutta al meglio delle proprie possibilità i giocatori a disposizione e che ha dettato le condizioni della partita alla squadra più forte d’Italia. I tifosi devono essere soddisfatti della partita della squadra e di come ne siano usciti i giocatori, dal giovane Cataldi alla stella Candreva fino al capitano Radu. La coperta a centrocampo era corta vista l’assenza fondamentale di Biglia e il coraggio di Pioli è da lodare nonostante il risultato.

 
 



 
 

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