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Andrea Lamperti
Donnarumma e il Milan, ancora una volta
07 nov 2023
07 nov 2023
Stasera a San Siro il portiere ritrova la sua ex squadra per la prima volta da avversario.
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Andrea Lamperti
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IMAGO / Buzzi
(foto) IMAGO / Buzzi
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In una fredda e piovosa serata milanese, sabato il sipario è calato nel silenzio di San Siro sul Milan di Pioli, prima di essere coperto da una pioggia di fischi. Un’aria fredda di preoccupazione ha agitato i momenti immediatamente successivi a una brutta sconfitta casalinga per 0-1 contro l’Udinese, con la delicata sfida contro il Paris Saint Germain all’orizzonte. La partita contro la squadra di Luis Enrique si preannuncia decisiva. I novanta minuti di stasera potrebbero diventare la separazione tra un prima e un dopo per l’annata dei rossoneri, in campo con la consapevolezza di non avere seconde occasioni in Champions League e forse neppure per recuperare la fiducia dei propri tifosi. Una sola certezza: a San Siro, stasera, si riprenderà con la stessa colonna sonora udita durante i titoli di coda di Milan-Udinese. Fischi, quindi, ma questa volta non di disappunto verso la squadra (non subito, perlomeno) ma fischi densi di rancore e odio, in uno stadio che vuole fare di tutto per ricordare a Gigio Donnarumma che oggi, a Milano, è considerato un traditore. È il suo terzo ritorno a Milano dopo l’addio nel 2021, ma il primo da avversario della sua ex squadra (o come la descrive lui stesso: famiglia), dopo due visite con la maglia della Nazionale. Stavolta, insomma, non ci sarà una parte indifferente del pubblico ad annacquare l’astio con cori e applausi di incoraggiamento: l’ostilità nei suoi confronti sarà costante, opprimente, o almeno è così che ce l’aspettiamo. Inevitabilmente, anche al di là della partita, tutto ciò che riguarderà Donnarumma sarà l’epicentro emotivo della serata. Al portiere della Nazionale, premiato come miglior giocatore dell’impresa a Euro 2021, l’Italia deve una buona parte della propria ultima gioia significativa - ancora più significativa oggi sapendo quello che è successo dopo. Tra i 70mila sugli spalti stasera, però, non ci sarà posto per quella gratitudine: i precedenti in azzurro e le attenzioni del settore ospiti durante il riscaldamento della gara di andata non lasciano molto spazio all’immaginazione, e stasera ci si aspetta un livello di rancore che è vicinissimo al suo apice nella scala Calhanoglu. La Curva Sud, a scanso di equivoci, ha rivelato già qualcosa su Instagram, rivolgendosi al diretto interessato: “C’è posta per te…”. Cori, striscioni, fischietti e maglie con il numero 71 (l’ommo ‘e mmerda secondo la smorfia napoletana) prevedibilmente saranno solo l’inizio. I proverbiali amici degli amici a Milano parlano di una coreografia che verrà esposta nel secondo anello blu e di un possibile bis, sei anni dopo, della pioggia di finte banconote sulla testa di “Dollarumma. «San Siro è San Siro, è difficile quando sono contro di te, quando ti fischiano», diceva lui stesso qualche anno fa, commentando il trattamento del pubblico nei primi momenti di tensione con la dirigenza per il rinnovo del contratto, nel 2017. Ad esempio, in una serata di Coppa Italia contro il Verona, quando in uno stadio praticamente deserto la sua curva - per l’occasione in primo anello, proprio dietro la porta - gli ha fatto trascorrere momenti difficili da digerire, e forse anche da capire, per un ragazzo ai tempi appena maggiorenne. Donnarumma dopo quella partita era tornato in lacrime negli spogliatoi: «Provavo a non pensarci, ma anche se non volevo, ci pensavo e soffrivo». Ci pensava e soffriva anche pochi mesi prima, durante quella partita a Cracovia (!) contro la Danimarca Under 21, guardando steward e raccattapalle rimuovere le fine banconote dall’area di rigore. Ci pensava e soffriva anche nel 2021, al suo primo ritorno a San Siro, mentre veniva sommerso dai fischi di una parte del pubblico presente per Italia-Spagna; serata in cui, peraltro, andò a pochi millimetri da un clamoroso errore che mezza Milano stava aspettando. Ci penserà e soffrirà anche stasera, probabilmente, quando 70mila persone gli rovesceranno il mondo sulla testa, a partire dalle banconote.

Sotto questa pioggia Donnarumma sarà costretto a ripensare ancora una volta a quei sei anni tra i pali del Milan, in cui è diventato uno dei migliori nel suo ruolo. Il portiere campano ha scelto di prendere una strada diversa da quella del club rossonero: una scelta professionale dettata da ragioni personali, economiche e sportive, di cui sappiamo il giusto e che a dire il vero dovrebbero riguardarci il giusto. Nel calcio l’amore non corrisposto è un dolore da cui i tifosi hanno imparato - più o meno, per istinto di sopravvivenza - a mettersi al riparo. In realtà è il come dell’estenuante e poco trasparente addio di Donnarumma ad aver alimentato una tensione spesso tossica, già durante il suo trascorso a Milanello. L’incipit di una storia di rancore Tra il Milan e Donnarumma, di fatto, finisce nell’estate 2021, quando il suo contratto arriva alla data di scadenza. Proprio nei giorni in cui il portiere è impegnato con la maglia italiana agli Europei, il momento più importante della sua carriera, il giovane portiere campano diventa ufficialmente un giocatore del PSG. La sua vita a Milano da separato in casa, però, è iniziata ancora prima di quel momento. Quando nel febbraio 2017 il suo procuratore, Mino Raiola, si dice scettico sulla possibilità di trovare un accordo per il rinnovo del suo assistito, che ha ormai un importante valore di mercato e un contratto a dodici mesi dalla scadenza, si apre una crepa destinata a dilatarsi a dismisura. «Donnarumma merita un grande club, ce ne sono almeno undici interessati», dice Raiola, neanche a dirlo protagonista di tutta l’esposizione mediatica sulle trattative per il rinnovo del contratto, che andranno avanti per mesi. Conclusa la stagione esplode la bomba ad orologeria. Iniziano le schermaglie tra Raiola, che arriva a definire i toni della trattativa «minacciosi» e i modi di fare della controparte «inaccettabili», e il duo Fassone-Mirabelli, freschi di nomine dirigenziali da parte della nuova proprietà. È il 15 giugno quando l’amministratore delegato Marco Fassone si presenta davanti alle telecamere per una brevissima conferenza stampa, dai toni piuttosto depressi, in cui annuncia la definitiva volontà del giocatore di non estendere il suo accordo con il Milan. Ribadendo quanto già detto in precedenza, forte e chiaro: se la volontà di Donnarumma è scegliere la sua prossima squadra da svincolato, negando la possibilità al club di monetizzare dalla sua cessione, non si aspetti di essere nel frattempo il portiere titolare del Milan, o addirittura di rientrare nei piani della società e dello staff tecnico. Tre giorni più tardi, arrivava la replica e la versione dei fatti di Raiola, a suo modo. «L’ambiente è stato troppo ostile, sono state create delle condizioni di ostilità. Soldi o progettualità? Mai intavolato questo discorso, non è mai stato questo il problema. Il Milan non ci ha dato la serenità giusta. (…) Sono stati troppo esuberanti, i toni sono stati tutti sbagliati e i rapporti non sono stati giusti. Avevo garantito alla società che non saremmo partiti a parametro zero, l’ho sempre detto e pensavo fosse sufficiente almeno per mettere al sicuro il club dal punto di vista patrimoniale, ma non è stato capito. Non era una questione di rubare il giocatore, ma forse ho sbagliato io, non sono stato molto convincente, non lo so. È stato gestito tutto male secondo me».

La distanza tra le parti sembra incolmabile, ma non per Donnarumma evidentemente, che resuscita personalmente il dialogo con la dirigenza e ricuce lo strappo. A metà luglio arriva la tanto agognata stretta di mani: sei milioni netti a stagione, il secondo ingaggio più oneroso della rosa (dietro a Bonucci) e uno dei più alti mai percepiti da un minorenne, con scadenza a giugno 2021. Allegato al rinnovo, dicono i maligni, c’è anche l’acquisto del fratello, Antonio Donnarumma, prelevato dall’Asteras Tripolis proprio in quei giorni. In ogni caso, l’atto primo, quello con lieto fine, è in archivio. Quando la storia si ripete quattro anni più tardi, le tinte sono simili. Manca, però, quello che interessa a tutti: la firma sul contratto. Questa volta da protagonista della trattativa, a parte un Donnarumma nel frattempo investito della fascia di capitano, c’è il suo illustre predecessore, Paolo Maldini, che si muove su binari tracciati rigidamente dall’alto. La volontà è andare avanti con Donnarumma e recapitargli un’offerta importante, al rialzo rispetto al suo precedente contratto, a patto che le casse del club possano sostenere questo investimento. Quindi, che la squadra si qualifichi per la Champions League, rimandando così il discorso a fine stagione. Di fronte alle insistenti domande sulla trattativa per il rinnovo, Gigio il più delle volte è sfuggente e sfoggia risposte-bot del calciatore contemporaneo: «Sono tranquillo, penso solo a dare il massimo in allenamento e in campo per me e i miei compagni». Altre volte, invece, suona più rassicurante: «Se ho voglia di vestire ancora a lungo questa maglia? Certo, poi ne parlerà il mio procuratore con la società, non c’è assolutamente problema. Mino sa quello che deve fare, la società vedrà». La situazione si sblocca quando il traguardo sul campo, il Milan, effettivamente lo raggiunge, guadagnandosi il ritorno in Champions League dopo sette anni. Donnarumma si guadagna la sua offerta: sette milioni a stagione, che diventano otto (bonus compresi) nel giro di qualche incontro. Secondo le ricostruzioni più accreditate, il giocatore vacilla, ha offerte più sostanziose da altri club interessati, con Juventus e PSG in prima fila. Raiola chiede un ulteriore rialzo, che non arriverà e produce l’effetto opposto di irrigidire la dirigenza rossonera. Questa volta la storia si chiude davvero. Il punto lo mette Maldini in una live Twitch, annunciando l’addio del portiere a parametro zero. Gigio contro il Milan Lo strascico della separazione è lungo e porta in serbo un rancore ancora oggi intatto, complice anche la distanza. Quanti altri giocatori possono oscurare una partita decisiva per il passaggio del turno di Champions League semplicemente con la propria presenza? A un centinaio di metri da Donnarumma, a difendere i pali ci sarà il suo erede, Mike Maignan. Entrato anche lui piuttosto in fretta nei cuori di San Siro e nel novero dei migliori al mondo, è diventato - cosa ancora più importante - uno degli eroi dello Scudetto del 2022: il motivo principale per cui la rottura con Donnarumma innesca solo rancore nella tifoseria, e non troppi rimpianti, se non per i tifosi contabili che forse si stanno ancora disperando per la perdita gratuita di un asset di grande valore per il club. Maignan e il Milan si sono goduti un 2022 memorabile, anche perché i primi passi del percorso di Donnarumma a Parigi, invece, non sono sembrati proprio indimenticabili, tra l’ingombrante concorrenza di Keylor Navas e il calo di rendimento. In realtà, come dicevamo qui, sono più i bias della tifoseria rossonera ad essere confermati dal funzionamento della stampa italiana, che dà in pasto ai click anche la più piccola sbavatura, sicura di avere un ricco raccolto. È vero però che in alcuni ambiti la sua crescita sembra a un punto di stallo, e non ci sarebbe nulla di strano dato che ancora ha solo 24 anni. Ma, insomma, a nessuno a Milano importa qualcosa di andare per il sottile, soprattutto oggi, che è tutto pronto per il Donnarumma Day. Su questo patibolo, in situazioni e con toni diversi, negli ultimi anni abbiamo visto passare Calhanoglu, Cassano, Pirlo e Bonucci, tra gli altri. Oggi è il momento di Donnarumma, in una resa dei conti - o presunta tale - che rimarrà probabilmente isolata, almeno finché rimarrà all’estero. Una resa dei conti di una storia destinata a rimanere irrisolta, senza vincitori. Tutti, infatti, sembrano aver perso qualcosa in questa faccenda. Chi un talento generazionale, chi la serenità del proprio portiere in Nazionale, chi l’occasione di vivere tutta questa faccenda con un po’ più di leggerezza.

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