1) Su quale squadra perderemo il sonno quest’anno con il League Pass?
Dario Costa
Dati incontrovertibili provano come, durante la scorsa regular season, gli utenti di NBA League Pass abbiano opzionato più partite dei Minnesota Timberwolves rispetto a quelle complessivamente visionate nelle dieci stagioni precedenti. Le proiezioni relative all’annata che sta per iniziare confermano un ulteriore rialzo del dato e prospettano l’ingresso dei T’Wolves nella top 10 delle squadre preferite dagli abbonati.
I motivi? Andrew Wiggins e Karl Anthony Towns, una combinazione di talento & gioventù senza pari. Non vi basta? Ricky Rubio e Zach LaVine, un utopista del gioco e la combo-guard più spettacolare tra quelle che ancora non vi hanno fatto saltare in piedi sul divano. Non siete ancora convinti? Ci penserà Kris Dunn, rookie con l’esplosività dell’esordiente e la padronanza del veterano. E quest’anno potrebbero pure difendere, visto che finalmente hanno un allenatore.
In fondo, se ci pensate bene, tutte quelle ore di sonno non vi servono davvero. Sacrificatene qualcuna per i ragazzi di Tom Thibodeau, ne varrà la pena.
Daniele V. Morrone
Ok, facciamo finta per un attimo che gli Warriors non esistano. Volendo adesso valutare tutti i pacchetti per singola squadra che la NBA può offrire, direi che la scelta migliore è andare sui New York Knicks. Lo so che sono una squadra mediocre e che l’obiettivo massimo sarà ben figurare ai playoff, ma sono certo che non esista una squadra in grado di offrire quanto la squadra di New York per ripagare il conto salato che il League Pass richiede.
Penso per prima cosa a tutto il contorno (parliamo del MSG, del pubblico pronto a prendere fuoco a ogni giocata e della telecronaca di Mike Breen e Clyde Frazier, un’accoppiata che non ha eguali). E poi delle storie che una squadra come questi Knicks tireranno sicuramente fuori durante l’anno, dal Melo in grado di segnarne 30 contro chiunque allo sviluppo di PorzinGod. Ma anche il tentativo di rinascita di Rose e Noah dopo una stagione orrenda per entrambi e il rapporto che Anthony avrà con loro (sicuramente ben diverso dalla stranissima bromance nata con Porzingis e più tendente agli sguardi passivo-aggressivi per sottolineare quando la palla finirà sul secondo ferro sul tiro di uno dei due). O ancora della stagione della verità per chi come Lance Thomas deve giustificare il nuovo contratto e chi come O’Quinn la sua presenza nella lega. Senza dimenticare un personaggio come Brandon Jennings che si gioca il contratto pluriennale in questa stagione e che è sembrato motivatissimo in pre-season. O i giocatori raccattati in giro per far da panchina come il lituano Kuzminskas o l’undrafted Ron Baker, pronti a diventare idoli del Garden perché un Jeremy Lin è per sempre. Il tutto con il totem di Phil Jackson a vegliare su dove, come e quanto il povero Jeff Hornacek utilizzerà la Triangolo. Che poi sicuro a marzo salta tutto perché i Knicks vivono al limite e raramente tante scommesse tutte insieme riescono - dall’allenatore “forzato” a giocare in un modo ai troppi giocatori troppo fragili fisicamente - ma proprio questo li rende una sicurezza di intrattenimento.
David Breschi
Davvero, voi non vorreste vedere ogni sera una squadra che schiera in campo due dei migliori 5 giocatori NBA, e probabilmente quattro dei primi 15? Consiglio caldamente di non perdervi le giocate nonsense di Steph Curry, la pulizia tecnica di Klay Thompson, l’onnipotenza cestistica di Kevin Durant, il totale controllo sul gioco di Draymond Green e via dicendo. Ma anche osservare come faranno tutte queste sublimi individualità a trovare un equilibrio nel sistema più armonico della NBA.
E ancora… quali stratagemmi troveranno gli avversari PER NON FAR SEGNARE Curry, Durant e Thompson? Quali stratagemmi troveranno gli avversari PER SEGNARE contro una miriade di quintetti in grado, virtualmente, di cambiare su chiunque senza andar sotto contro nessuno? Con la Death Lineup 2.0, quella con KD al posto di Harrison Barnes, quali altri dogmi non scritti del Gioco saranno in grado di ridefinire i Golden State Warriors?
Lorenzo Neri
Potrò sembrare masochista e delirante, ma la verità è che non vedo l’ora di vedermi la nuova versione dei Philadelphia 76ers post-Sam Hinkie, nella prima bozza che il creatore di The Process aveva in mente. Il mio vaneggiamento si basa principalmente su tre punti:
1) Tra le tant(issim)e cose che mancavano a questa squadra, la più evidente era a mio modo di vedere l’assenza di un trattatore di palla quantomeno decente. Tutte quelle regie impostate dal volenteroso ma inguardabile T.J. McConnell mi lasciavano sempre un velo di tristezza in un roster che non ha mai smesso di gridare “HYPE!”. Dall’Europa però è arrivata l’eccellenza con el Chacho Sergio Rodriguez, che negli ultimi anni ha dispensato highlights in Eurolega ma anche dimostrato una crescita mentale notevole, meritevole di una seconda possibilità in NBA. E poi è arrivato Dario Saric. L’attacco in mano a loro potrebbe guadagnare un upgrade incredibile in termini di visibilità.
2) Joel Embiid. Lo abbiamo aspettato, abbiamo riso alle sue avventure sui social, ci preoccupavamo per le voci che uscivano sul suo conto e sul suo stato fisico, lo amiamo per la lealtà verso Hinkie, tanto da scegliersi da solo il suo nickname: The Process. Ora è il momento di vedere ripagata tanta attesa e altrettanta fiducia: già in pre-season (che è pur sempre pre-season, but still) ha fatto vedere cose per un 213-centimetri-per-120-chili che credo abbiano fatto aumentare la salivazione a chiunque.
3) [incrocia le dita con grande convinzione] Il ritorno di Ben Simmons, a patto che avvenga in questa stagione. Ma qualora accadesse già verso gennaio prendete la 1) e aggiungeteci pure lui. Ecco.
Lorenzo Bottini
Bisogna partire dal fatto che il League Pass è un po' come Spotify, o Tidal, o Netflix. Non ti costringe a scegliere con cura maniacale il disco sul quale investire la paghetta o il film immancabile della settimana: ti concede il lusso di sbagliare, di esplorare, di sperimentare. Quindi per me le squadre da League Pass sono quelle che in un mondo non on-demand non esisterebbero neanche e che arrivata la primavera vedranno i playoff come te, su League Pass. Però quando diventeranno superfamose tu puoi stare lì a vantarti che le seguivi dal primo disco, prima che diventassero schifosamente mainstream. Ecco la Top-3:
1) Milwaukee Bucks: ho aperto una partita di pre-season e stavano giocando a zona con cinque giocatori oltre i due metri e con Point Giannis in piena folgorazione mistica. Hanno perso di 20.
2) New York: una squadra da titolo assemblata con cinque anni di ritardo, un po’ Bojack Horseman, un po' True Detective. Carmelo Anthony sarebbe un perfetto Mr. Peanutbutter se nella Penisola dei Labrador spiegassero la Triple Post Offense.
Back in the 90s I was a very famous Nba Coach, I’m BoJackson The Horseman, don’t act like u don’t know.
3) Orlando: ma solo quando giocano con il quintetto Payton, Hezonja, Gordon, Ibaka, Biyombo. Nessuno può sapere se succederà o cosa succederà in campo, tranne che si giocherà coi tappetoni elastici stile Slamball.
Ps. Se stanno facendo schifo, in ogni momento, con un comodo click potrete vedere i Dubs sommergere di triple il vostro schermo e il vostro anticonformismo.
Dario Vismara
Il mio coast-to-coast ideale del venerdì notte dovrebbe andare più o meno così: prima palla a due attorno a mezzanotte (appena dopo che la fidanzata è andata a dormire, dettaglio fondamentale) con i Sixers contro i Bucks di Point Giannis; dopo il caffè di fine gara c’è bisogno di una partita ad altissimo ritmo e possibilmente con poca difesa per superare il tremendo scoglio fisiologico delle 2 di notte, tipo una Houston di D’Antoni vs la Phoenix di Bledsoe e Booker; quindi derby della Northwest Division tra Denver (Nikola Jokic I <3 u) e Minnesota (dai, questa è facile). Per concludere supersfida alla Oracle Arena tra Warriors e Clippers, giusto per ricordarmi che alla fine della regular season si inizia a fare sul serio. Intervalli di zapping qua e la: uno sguardo a Portland lo si da sempre volentieri, un saluto rapido a Westbrook e Cousins è d’obbligo, se Anthony Davis è ancora in piedi il click te lo ruba sempre, basta che non ci sia in campo Omer Asik.
Dario Ronzulli
Io un’alzataccia prima dell’alba per vedere LeBron la faccio sempre, a prescindere dall’avversaria dei Cavs. Che peraltro mi incuriosiscono molto visto quanto hanno dovuto/voluto cambiare la second unit. Poi aspetto con ansia le sfide T’Wolves-Bucks perché c’è una quantità di giocatori dal futuro luminoso che sarebbe un peccato non vedere oggi e non seguire nella loro crescita. Per il motivo opposto, ovvero il rispetto che si deve alla loro carriera, guarderò in religioso silenzio e con totale riverenza gli ultimi minuti di Pierce con i Clippers e di Ginobili con gli Spurs.
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2) Chi è la “nuova Portland” di questa stagione (aka squadra che nessuno si aspettava e invece sorprende)?
Breschi
Dire Jazz e T’Wolves sarebbe facilissimo, ma si portano dietro un hype che li hanno fatti schizzare molto in alto nelle previsioni degli addetti ai lavori. Ecco perchè la mia scelta, molto hipster, ricade sui Washington Wizards che fino a un paio di anni fa erano una squadra solida, di medio livello e con margini di crescita ma che nella scorsa stagione si sono involuti collezionando un mediocre 41-41 che è valso la 10° piazza ad est.
Hanno cambiato la guida tecnica esautorando lo spento Randy Wittman per firmare Scott Brooks, uno che probabilmente ha dei limiti quando deve portare in alto le proprie squadre, ma un signor allenatore nello step precedente, ovvero creare il telaio e la chimica di una squadra che vuole emergere. Gli Wizards hanno le carte in regola per tornare a dire la loro, ovvero qualificarsi ai playoff e provare ad ottenere il fattore campo per il primo turno, ma c’è bisogno che John Wall, una delle migliori (e più snobbate) point guard NBA, si liberi definitivamente l’etichetta di eterno incompiuto e riesca a ritrovare il feeling perduto con Bradley Beal, il quale a sua volta deve ritrovare continuità da un punto di vista fisico dopo aver saltato quasi 50 partite (su 164) in 2 stagioni ed aver firmato in estate il rinnovo contrattuale da stella della squadra. Il roster è lungo e solido, infarcito di gregari e veterani oltre che coperto in quasi ogni ruolo ad eccezione dell’ala piccola, spot in cui è necessaria una breakout season di Otto Porter. Se Brooks riesce ad unire i puntini, i Wizards non solo possono essere la mina vagante della Eastern Conference, ma la sorpresa di tutta la NBA.
Neri
Bold prediction: e se fossero i Miami Heat?
Dopo un’estate molto faticosa dal punto di vista nervoso, con l’addio di Wade e lo spinosissimo caso-Bosh, l’ambiente rischia di essere veramente messo a rischio e credo che Pat Riley abbia un dito sul bottone rosso con scritto “Tanking” già al primo acciacco di uno tra Dragic e Whiteside. Ma se c’è un allenatore capace di cavare fuori il sangue dalle rape - e che a mio modo di vedere deve definitivamente uscire dalla schiera dei sottovalutati - è Erik Spoelstra.
La composizione del roster, nonostante sia un insieme di rischi e incognite, sembra essere disegnato apposta per il discepolo di Riley, che attorno al pick&roll Dragic-Whiteside ha un insieme di gregari e specialisti che, se mescolati nel modo giusto, hanno il potenziale per dare filo da torcere in una Eastern Conference rinforzata ma comunque non libera da alcuni dubbi strutturali (chi ha detto Chicago?). È una previsione forte che deve trovare i favori di tutti i fattori, ma… #InSpoWeTrust.
Vismara
Dopo due nomi dell’est, vado con uno dell’ovest: nessuno si aspetta davvero che tankino, ma i Denver Nuggets hanno una profondità di roster sottovalutatissima, che nel corso della regular season viene comoda se abbinata all’altitudine della Mile High City. Da un paio d’anni la NBA ha modificato il calendario in modo tale che le squadre in trasferta abbiano più riposo prima di affrontare i Nuggets al Pepsi Center, ma avere a che fare con una rotazione di 12 giocatori NBA tutti di medio-buon livello quando sei reduce da una decina di giorni in trasferta è comunque dura per tutti. Sono tanti, sono giovani, sono grossi (Nurkic e Jokic insieme è una combo da osservare con attenzione): la mia fiche è su di loro.
Davide Casadei
Entriamo nell’anno-3 del dispotismo illuminato di Stan Van Gundy. Dall’instaurazione del regime del “Dittatore dei Quattro Fuori e Uno Dentro”, il livello della criminalità a Detroit è diminuito, la città è più vivibile dopo l’epurazione di furbetti dell’edilizia come Josh Smith che hanno fatto fortuna riciclando denaro sporco in villette a schiera. Dopo che anche l’ultima particella di resistenza guidata dallo squadrone Brandon Jennings è stato spinto ai margini della città, l’intelligencija rosso-blu si prepara a scatenare un’arma di distruzione di massa nota ai perseguitati media indipendenti come B0B4N M4Rj4N0V1C. I risultati di questa repressione sono evidenti: per le strade la paura ha lasciato spazio all’ottimismo. Il colonello Reggie Jackson promette stabilità e prosperità dai palchi stabiliti in ogni angolo dell’hinterland, nascondendo saggiamente le brucianti ferite di una giovinezza anarchica di cui non va certo fiero.
Stan Van Gundy intanto si gode i risultati del suo golpe, e la squadra ha ogni tassello proprio al posto in cui deve essere. L’utopia sfiorata nelle terre paludosi della Florida sta prendendo forma. Stan sorseggia un bicchierino di Brandy ascoltando l’ultimo mixtape di Eminem. Sorride. Questa volta non ci sarà nessun Dwight Howard a fermarlo. Una risata di follia squarcia la notte del Palazzo di Auburn Hills.
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3) Quale squadra crollerà inaspettatamente fuori dalla zona playoff?
Fabrizio Gilardi
La mia personalissima impressione è che in entrambe le Conference fuori dalla top-3 (Clippers-Spurs-Warriors ad ovest, Cavaliers-Celtics-Raptors ad est in ordine sparso) ci siano una decina di squadre o poco meno che partono sullo stesso livello e che la differenza tra chi starà dentro e chi rimarrà fuori potrebbe dipendere da pochi dettagli e, come purtroppo sempre accade, dagli infortuni.
In una lega che premia sempre più coerenza e continuità gli Atlanta Hawks hanno, volente o nolente, di fatto chiuso un’era sostituendo due giocatori di sistema come Jeff Teague e Al Horford con Dennis Schroeder (promosso titolare) e Dwight Howard. Che in valore assoluto sono forse paragonabili, ma che certamente sono più complicati da gestire e da inserire in un sistema che ha basato tutte le proprie fortune sulla versatilità e la forza del collettivo. Può funzionare - anzi, non scommetterei contro di loro - ma cercando qualche crepa nella struttura delle squadre che devono confermarsi di successo (quindi quelle che semplicemente rischiano di confermarsi fuori dai Playoffs non contano... sorry Bulls & Knicks fans) credo che si possa guardare con preoccupato interesse a quel che succede in Georgia.
Breschi
In un ovest che ha perso una chiara contender come i Thunder, in cui le prime tre della classe sono una spanna sopra le altre e ci sono squadre che voglio tornare nel basket che conta come i Rockets e i Grizzlies o ambiscono a farne parte come Jazz e Timberwolves, la squadra che secondo me rischia più di tutte di uscire dal giro sono i Portland Trail Blazers.
Dopo una stagione da autentica sorpresa, partendo da una sorta di “semi-ricostruzione” fino a conquistare il 5° posto a ovest e marciare sul cadavere dei Clippers al primo turno dei playoff, oggi sono chiamati al passo più duro da compiere, ovvero confermarsi ad alti livelli. Terry Stotts è stato eccezionale nel plasmare attorno a Lillard e McCollum una squadra composta da giocatori raccolti dal marciapiede o che elemosinavano una seconda opportunità, ed essendo una delle menti più brillanti del panorama NBA troverà sicuramente un modo per incastrare i pezzi che in estate la dirigenza gli ha fornito. Ma c’è un punto interrogativo enorme: il “core” che ha fatto miracoli lo scorso anno è veramente pronto a fare il salto di qualità o è stato un fuoco di paglia? Se la risposta è sì in Oregon ci divertiremo, altrimenti il rischio è di perdere almeno 3 o 4 posizioni, che equivale a dire andare in vacanza verso metà Aprile.
Sarà ancora Lillard Time?
Ronzulli
A me questi Indiana Pacers non ispirano tantissimo. La squadra ha talento, è innegabile; ha giocatori esperti, solidi, con tanti punti nelle mani; Paul George è pienamente ritrovato ed ha alzato la sua asticella puntando al premio di MVP. Il mio dubbio è legato alla nuova filosofia portata da Nate McMillan, che dopo tre anni di assistentato a Vogel è passato al timone del comando cercando di dare alla squadra un’anima più offensiva rispetto a quello che abbiamo visto negli ultimi anni alla Bankers Life FIeldhouse. Anche perché il problema principale della passata stagione era un attacco che in certi momenti faceva sanguinare gli occhi. Ecco: quanto impiegherà Indiana a trovare il giusto equilibrio? Mi permetto di essere scettico sul fatto che possa arrivare in tempi brevi.
Casadei
L’induzione che mi suggerisce razionalmente di non scommettere mai contro Rick Carlisle questa stagione si deve arrendere al colpo fatale della previsione a istinto. I Mavs trascinano troppi punti interrogativi sulle teutoniche spalle di Wunder Dirk, e per quanto Bogut sia un complemento perfetto per il tedescone, con la sua capacità di difendere il ferro e smistare gioco dal post, si porta comunque dietro una storia travagliata di infortuni. E poi c’è Harrison Barnes, enigma che si è fatto uomo. Lui non la può risolvere, Dio non lo può risolvere, Rick Carlisle forse sì, e da quel “forse” passerà la stagione dei texani. La striscia di partecipazioni consecutive ai playoff è in bilico. Che rumore fa un gigante che cade?
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4) Dopo la carneficina dell’anno scorso, quale ottimo allenatore rischia di veder saltare la propria panchina?
Gilardi
La scadenza di contratto più imminente è quella di Mike Budenholzer (2017), ma per il ruolo che ricopre all’interno della franchigia è impensabile che si faccia saltare da solo, visto che è anche presidente della squadra. Segue Michael Malone (2018 con opzione a favore della squadra), che gode della stima della dirigenza e sulla carta non ha la necessità assoluta di fare risultato (playoff) per salvare il posto. Tutti gli altri 28 allenatori siedono comodamente su accordi dai 3 anni in su, quindi cacciare la guida tecnica per semplice decorrenza dei termini (vedi Indiana-Bird-Vogel) non sarà una strada praticabile.
Nella Eastern Conference ci sono candidati credibili al siluramento, ma non so se siano definibili “ottimi allenatori”: ad esempio è un peccato che Jason Kidd non abbia la C di “Coach” all’interno del proprio nome, perché così come era “_Ason” all’inizio della carriera da giocatore, senza J(umper), ora gliela si sarebbe potuta levare. Per esclusione resta un candidato forte, forse fortissimo: Alvin Gentry. Che non necessariamente ha grosse colpe, ma… #FreeAnthonyDavis
Breschi
Al momento la panchina che scotta di più è quella di Fred Hoiberg, che nel suo primo anno in sella ai Bulls non ha propriamente entusiasmato: ha avuto difficoltà a trasferire in NBA il suo mantra cestistico fatto di spaziature e sincronie che aveva impressionato a livello collegiale ed è stato accusato dalla sua stessa stella (Jimmy Butler) di aver avuto atteggiamenti fin troppo soft in allenamento, un peccato capitale che per molti è costato l’esclusione dai playoff.
Pur avendo passato indenne la prima tempesta, i Bulls hanno preso dal mercato dei Free Agent due giocatori in grado da soli di compromettere lo spacing offensivo di qualsiasi squadra NBA come Rajon Rondo e Dwyane Wade, a cui hanno aggiunto anche un altro mangiatore di spaziature come Michael Carter-Williams nelle ultime ore. Se il tuo miglior tiratore è… l’allenatore, allora c’è un problema di fondo piuttosto grave: Hoiberg è un coach a cui (teoricamente) piace aprire il campo e muovere la palla, ma se gli vengono affidate due guardie (+ MCW) che irrimediabilmente restringono il campo, pompano il pallone, non sono più nel loro prime e cozzano tecnicamente con la stella dichiarata (Butler), vuol dire che o non credi nel tuo coach e non vedi l’ora di licenziarlo, oppure speri che trovi da solo un modo per far funzionare le cose. In entrambe le situazioni, non esattamente uno scenario ideale.
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5) Quale sarà il nome più grosso a essere scambiato nel corso della stagione?
Nicolò Ciuppani
Dopo un’estate che ha visto la maggior parte dei team sistemare le proprie necessità via free agency a seguito del più grande salto di tetto salariale di sempre, la situazione del mercato generale è piuttosto stantia. Molte squadre sono nella fase di voler vedere come vanno i dadi dopo i primi lanci prima di provare a cambiare tavolo; per altre situazioni, come quella dei centri, ci sono invece molte squadre interessate a vendere il proprio ma nessuna interessata ad acquistarne.
Premesso questo, i primi indiziati potrebbero essere i nomi che dovevano muoversi lo scorso anno: Kevin Love, Blake Griffin e Jimmy Butler. Love però ha appena vinto un titolo a Cleveland dimostrandosi pure decisivo in gara-7, e i Cavs potrebbero frenare i pruriti di trade per provare a vedere come va quest’anno, visto che questa squadra al completo non ha ancora perso una serie di playoff. Griffin è in una polveriera, una squadra con le spalle al muro e anche se il caso di pestaggio che lo ha coinvolto l’anno scorso sembra sia stato nascosto sotto al tappeto, qualche scoria deve essere rimasta. Infine Butler, che sembrava a un passo dallo scambio nella notte del Draft, ha visto un blocco nella trade, il che dovrebbe portare la dirigenza di Chicago a guardare come vanno i dadi dopo i primi lanci (o qualunque cosa vogliano fare con il core che hanno assemblato in estate).
Più particolari sono altre situazioni già note: Denver ha un nucleo con numerosi giovani in sviluppo e alcuni veterani che non sembrano essere così coerentemente assemblati col resto del progetto. Gallinari è senz’altro il giocatore più talentuoso, ma è un ball stopper in attacco e i problemi fisici lo costringono spesso a saltare ampi tratti di stagione. Faried ha ancora un atletismo di elite per ravvivare un frontcourt che latita di esplosività, ma nell’era incombente dei playmaking 4 è un giocatore troppo limitato per far gola a qualcuno (e Nurkic e Jokic scalpitano per avere più minuti). Se salterà fuori un compratore per il Gallo o per Faried, Denver può cercare di ottenere dei pezzi più futuribili come contropartita
Phila ha 3 centri e tutti necessitano di avere minuti per sviluppare correttamente. Ma Noel viene da una stagione di involuzione rispetto alla precedente e il suo upside sembra essere limitato (e quindi i suoi compratori), mentre Embiid è un’incognita sia per Phila che per tutte le altre franchigie non avendo ancora giocato un singolo minuto di NBA rilevante. Okafor invece ha ancora un suo mercato particolare, specie se ci sono squadre che hanno bisogno di un giocatore di post basso per avere dei canestri facili quando l’attacco si inceppa. Charlotte la passata stagione scongelava Al Jefferson dalla panchina e Indiana dovrebbe fare lo stesso, Zach Randolph pare destinato ad uscire dal pino per guidare la second unit e gli Spurs che assieme ad Aldridge affiancano un altro produttore dal post come Pau Gasol è un segnale di una nuova fetta di mercato che si apre.
Infine c’è l’affaire Sacramento, dove DeMarcus Cousins oscilla costantemente tra “nessuno lo vorrà mai” e “se lo mettono sul mercato dovrebbero fiondarcisi tutti”. Joerger ha fatto funzionare spogliatoi e personaggi estremamente scomodi (i Grizzlies dell’anno scorso sembravano un recasting di Lock & Stock and two smoking barrels), ma se anche con questo coach le cose non dovessero andare Boogie potrebbe essere il nome grosso a muoversi nella prossima finestra di mercato. Per ora le voci più credibili danno sul mercato Gay e McLemore e non Boogie, ma parliamo di Sacramento e di Cousins, aka i due soggetti più lunatici nella NBA moderna: mai dire mai.
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6) Quanti cadaveri lascerà Russell Westbrook sui parquet d’America?
Costa
Nello spogliatoio dei Thunder, affisso all’armadietto numero zero, fa bella mostra un cartello. Da lontano potrebbe sembrare il classico messaggio motivazionale, uno di quelli che affollano le pareti dei campi d’allenamento a ogni latitudine. Più da vicino, però, appare chiaro come si tratti di qualcosa di diverso, tre semplici parole stampate a caratteri cubitali:
SHOW.
NO.
MERCY.
Sindrome dell’abbandono? Spiacenti, chiedere altrove.
Solitudine che attanaglia? Nessuno è solo, finché ha una palla arancio a spicchi tra le mani.
Ricostruzione? Non qui, non ora, non finché in campo c’è Russ.
Timore di fallire? La sconfitta non è un’opzione contemplata.
Annata di transizione? Sul serio: il sistema non è cablato per questo scenario.
Serate segnate sul calendario con il circoletto rosso? 82, lasciando lo spazio per qualcuna in più.
Stagione in tripla doppia di media? Vista l’instabilità dei mercati, se avete due soldi da parte puntateli sul numero zero.
Dal Canada al Tennessee, dal Grande Lago Salato al deserto dell’Arizona, il mandato di cattura con il volto di Russell Westbrook sarà valido per tutto l’anno, in ogni arena e palazzetto del paese, ma non siate in pensiero per lui. Russ non si darà alla latitanza, non cercherà un rifugio, Russ sarà puntuale all’appuntamento con il campo.
E, da quando verrà alzata la prima palla a due della stagione NBA 2016/2017, saranno gli altri a doversi preoccupare.
Bottini
Russell ha preso molto bene la scelta di Kevin Durant di fare il Golden Digger a Oakland. L’ha presa bene come quando ti salta la schedina al novantesimo, quando ti alzi dal letto sbattendo il mignolo al comodino o becchi una Smart dopo un’ora a girare per il parcheggio.
Ok forse non l’ha presa così bene. Ha preteso che la squadra sia presentata al pubblico con il celebre fischio di Morricone in Un pugno di dollari. Niente ridicole camere sugli spalti, magliette sottovuoto sparate da cannoni ad aria compressa e canzoni di Bruno Mars a livelli supersonici: solo un ampio campo lungo interrotto dalle ombre dei giocatori tra tumbleweed e cactus. Lui entra per ultimo, con lo scacciapensieri in bocca e il poncho a coprirgli l’uniforme di gioco. Poi si alza il fedora, con studiata teatralità mima il gesto della gola dell’Undertaker, si fa consegnare la palla e chiama il pick’n’roll a Steven Adams. Nessuna palla a due. In un luogo dove non esiste la legge, lui sarà la legge.
Volevo dire cinque casse
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7) Un giovane (rookie o sophomore) sulla cui esplosione vi giochereste la casa dei vostri genitori.
Bottini
Se avessi davvero una casa in calce e mattoni da giocarmi la metterei nelle mani e nei polsi di Devin Booker dall’angolo perchè dormire sotto i ponti non mi va molto. Ma visto che il pericolo è il mio mestiere e si parla di abitazioni ipotetiche, vado ad elencare il quintetto con cui mi cercherei di costruirmi l’albergo a Vicolo Stretto.
Toglierei Snapchat a D’Angelo Russell, che senza Kobe deve dimostrare di essere un leader oltre che una fashion victim, e gli affiancherei Jamal Murray per formare uno dei backcourt più felpati, slalomeggianti e fintamente gangsta della lega. Un festival di jab step e triple coi gomiti larghi solo per festeggiare con una complessa gestualità rubata a Swaggy P.
Poi andrei con due ali versatili e antitetiche come Stanley Johnson, monumento boccioniano alla forza cinetica e rappresentante ideale per la città dell’automobile, la cui densità agonistica se giustamente incanalata può diventare benzina infiammabile nei motori Pistons e Trey Lyles, fondoschiena da Kardashian e IQ da borsista di Harvard, sinuoso come la Spiral Jetty, atarassico come il Lago Salato. In un mondo più giusto le pause cappuccino tra lui e Diaw dovrebbero essere la nuova stagione di Camera Cafè mormone.
A giganteggiare su tutto e tutti Joel Embiid, il vero motivo per il quale non si è arrivati al lockout, per vederlo dominare come se il parquet fosse Twitter, il difensore Chris Brown e il canestro Rihanna.
Morrone
Non sappiamo quanto giocherà questa stagione dopo l’infortunio al piede appena patito in pre-season, ma resta il fatto che Ben Simmons è l’unico nome tra i rookie che mi sento di fare. Potrebbe addirittura saltare tutta l’annata (o meglio: questo pare sia il consiglio del suo agente), ma dovesse giocare anche solo nel finale e rientrare quindi nel discorso, allora sarei disposto a mettere in palio la mia abitazione in totale tranquillità. Il motivo della mia sicurezza non è tanto quello che sa fare, ma quello che promette di poter fare una volta sviluppato anche solo parte di tutto il potenziale che ha la fortuna di avere a disposizione.
Personalmente la cosa che mi fa rimanere senza fiato ad ogni partita (e che mi ha portato a guardare la sua Summer League) è la sua visione di gioco fuori scala abbinata a un corpo possente ma esplosivo, già in grado di tenere botta contro i veterani. Un mix che nella direzione in cui sta andando la NBA difficilmente lo porterà a tradire le aspettative, anche perché gli attuali pregi sembrano nettamente superiori ai difetti: il tiro quasi assente lo si può costruire, ma i palloni che riesce a dare con quella visione e velocità di esecuzione non si possono insegnare.
Davide Bortoluzzi
Joel “The Process” Embiid è a mio avviso il fenomeno mediatico e tecnico dell’anno. Dopo essersi distinto soprattutto per il suo pirotecnico uso di Twitter nel periodo immediatamente precedente e successivo alla sua scelta da parte dei Sixers, ora per l’ex Kansas è giunto finalmente il momento di calcare i campi NBA. Un calvario - il suo - durato due anni, e che ha ricordato sinistramente quello di altri giganti fatti di cristallo. Fin dalla scorsa primavera le notizie che arrivavano dall’entourage dei Sixers erano incoraggianti, dal periodo speso in Arabia Saudita in un centro specializzato nel recupero degli infortuni (specie dei calciatori), fino ai primi scrimmage ed allenamenti con lo staff dei Delaware 87ers. Se il fisico regge, è potenzialmente uno dei primi dieci centri della lega già ora, ma purtroppo la spada di Damocle degli infortuni pende ancora sulla sua testa. Potremmo aver di fronte il nuovo Greg Oden (noto per aver dato cattivi esempi a gente come Draymond Green sull’uso dei selfie adamitici) o il nuovo Olajuwon, ed io non vedo l’ora di scoprirlo.
Neri
Concordo su tutti i nomi fatti fino a questo punto, soprattutto per quanto riguarda D’Angerous nella nuova versione dei Lakers targata Walton, che se riuscissero a mantenere le spaziature fatte vedere in preseason potrebbero veramente aiutare il sopho a esplodere dopo un anno da rookie difficile. Però preferisco puntare il dito verso qualcuno che andrà a giocarsi obiettivi un po’ più ambiziosi come Myles Turner.
Membro di quella nuova categoria di lunghi chiamata unicorni, capaci di proteggere il ferro con fisico-atletismo-mobilità ma anche di aprire il campo in attacco grazie alla pericolosità nel tiro da fuori, Turner potrebbe essere la risposta alle (tante) domande che aleggiano sul nuovo corso Vogel-free dei Pacers, una squadra rivoluzionata negli interpreti e nella guida (passata a Nate McMillan) tanto da risultare enigmatica in fase di previsione stagionale. Turner e Paul George sono i punti fermi da cui ripartire, su cui ricostruire il futuro e già da quest’anno potrà dare conferma di essere una delle grandi steal nel Draft 2015, dopo una stagione di esordio che ha fatto ricredere molti.
Casadei
La Denver del post-Carmelo è stato un agglomerato di promesse non mantenute, alti, bassi, delusioni cocenti, democrazia Karliana, infortuni e rookie europei in cerca di identità politica e sentimentale che neanche la caduta del Muro di Berlino. Ci siamo forse illusi con Nurkic che era entrato nella NBA dalla porta posteriore di un saloon pronto a picchiare chiunque lo pigliasse nella giornata storta. Il melting pot della Mile High City sembrava un socialismo destinato a fallire finché, in sordina, è emerso il serbo Nikola Jokic.
Nikola è un ragazzone alto, rasato, con quella faccia ingenuamente stralunata di chi fa a botte per vivere. In realtà Jokic non fa per nulla a botte con nessuno, la sua peculiarità è essere armonioso e dolce come una primavera senza guerra a Belgrado. Nikola Jokic soppesa ogni movimento con leggerezza, si muove sul campo con un istinto primordiale di bellezza poi a un certo punto - non sai esattamente come - sai che arriverà un fulmine che illumina la partita, il palazzetto, lo stato del Colorado e anche un po’ il mondo. Può essere un passaggio dietro la testa dal post, un backdoor premiato con una palla allo zucchero filato, un gancetto carezzevole che vuole molto bene al ferro e alla retina.
Ora ditemi, vi prego scongiuratemi, che questa non è la promessa di una calda estate a Rio. Denver merita la concretezza delle sue illusioni, una volta tanto, e pure a noi un tocco di Jokic suvvia, che male vuoi che faccia?
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8) Per quali giocatori conviene tankare in questa stagione e quali slogan bisogna utilizzare per attirare la Fortuna dalla propria parte?
Neri
Solitamente già prima dell’inizio della stagione si hanno già bene in mente chi saranno i più seri candidati alla scelta #1 del Draft di giugno. Previsioni che possono contenere topiche clamorose - Skal Labissiere sembrava giocarsela con Ben Simmons di questi tempi, salvo poi precipitare fino alla 28 nello scorso giugno - ma che solitamente ci danno un ventaglio di 2/3 nomi su cui indirizzare in maniera particolare le nostre attenzioni. Qualora questo numero tendesse ad essere più alto in genere è sinonimo di un Draft incerto, e quindi abbastanza scarso di talento. Ecco, quest’anno siamo nel campo delle eccezioni alla regola.
Il Draft 2017 rischia di essere una fucina di talento pazzesco, particolarmente dominata dalle Point Guard e che mette in lizza per la #1 almeno 8/9 giocatori (!), una situazione unica e difficilmente ripetibile che non può che ingolosire le franchigie senza particolari ambizioni. Con tutta questa incertezza, io non posso fare a meno di coniare lo slogan “Get some L’s for Markelle” per lanciare la caccia a Markelle Fultz di Washington: point guard con doti tecniche naturali, una struttura fisica imponente (195 centimetri con 205 di apertura alare) per il ruolo e un’armonia nei movimenti e una genialità nelle scelte che a tratti sembra la seconda venuta in terra di Penny Hardaway - quello dei primi anni di Orlando, naturalmente.
Un assaggio
Bottini
Come ha già giustamente anticipato Lorenzo questo Draft sarà estremamente profondo, in particolare tra le Point Guard, quindi per le molte squadre che sono alla ricerca del loro playmaker del futuro, tankare potrebbe rivelarsi una tentazione irresistibile. Se non si pesca il biglietto giusto per la lotteria che porterà a Markelle Fultz c’è comunque l’imbarazzo della scelta, a partire da Dennis Smith Jr. Il talento che indosserà la maglia di NC State è qualcosa di più di un semplice premio di consolazione, senza quel maledetto infortunio alla Adidas Nations nel 2015 staremmo parlando di uno di quei predestinati ad essere la prima chiamata assoluta. Invece saltare l’intero anno da Senior non gli ha dato la possibilità di confermare le sue incredibili qualità e si è fatto scavalcare nella corsa al Draft da altri prospetti: la stagione da Freshman nel Wolfpack gli servirà per dimostrare come la rottura del crociato non ha inficiato sulla sua irreale esplosività che negli anni ha infiammato i mixtape di Ballislife.
Quasi un milione di visualizzazioni, d’ordinanza
Smith è la perfetta Lead Guard che la NBA del futuro richiede: un atleta fenomenale, capace di coprire il campo come uno sprinter e di giocare sopra il ferro come un lungo nonostante la sua statura nella norma, e un eccellente giocatore di basket, con grandi istinti cestistici sui due lati del campo, con un notevole feeling per il pick’n’roll. Se quel ginocchio non fa scherzi chi tanka potrà regalarsi una macchina da punti nuova di pacca per il prossimo anno.
Slogan: Die like a Sith for Dennis Smith
Bortoluzzi
Anche quest’anno tra i giocatori extra-USA c’è del materiale di grande interesse, ma su tutti il nome su cui punterei 100 euro è Frank Ntilikina. Playmaker dall’apertura alare impressionante per il ruolo (211 cm), dotato di ottime doti atletiche e di un fisico potenzialmente molto interessante, tutt’ora in fase di sviluppo. Cresciuto a Strasburgo, dopo aver dominato a livello Espoirs (U20) quest’anno sta trovando minuti in PRO A con la prima squadra della città alsaziana, dove deve confermare quanto di buono fatto vedere a livello giovanile anche con la maglia della nazionale francese. Le aspettative per il playmaker di origine ruandese sono in grande ascesa, e durante la stagione saranno piuttosto frequenti le visite di scout ed executive NBA in territorio francese - Sam Presti il primo ad essere avvistato ad Orleans questa settimana. Che giocatore aspettarsi? Il primo paragone per caratteristiche tecniche e sviluppo potenziale è una versione più “leggera” di Dennis Schroeder, più avanti sul piano della gestione del gioco e al tiro ma meno esplosivo. Slogan: Tank for Frank!
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9) Per concludere, la top-3 dei giocatori che seguiremo con maggiore interesse nella prossima stagione.
Breschi
Justise Winslow: al cuor non si comanda. Voglio capire se è pronto ad essere il giocatore di riferimento degli Heat anche senza segnare 20 punti a partita.
Karl Anthony-Towns: perché abbiamo perso Tim Duncan, e la proiezione più vicina al caraibico è un altro caraibico, il cui potenziale è talmente sconfinato da mettermi l’acquolina in bocca.
Blake Griffin: perchè ho ancora negli occhi il Blake Griffin stagione 2014-15, quello che saltava-e-schiacciava e a tempo perso faceva il playmaker in seconda per armare la mano di DeAndre Jordan e J.J. Redick. Voglio vedere se riesce a tornare su quei livelli o ha intrapreso, con 3 o 4 anni di anticipo, il viale che porterà al suo tramonto cestistico.
Morrone
Kristaps Porzingis: anno secondo dell’avvento di Porzingod. Guardare ogni sua partita è necessario per sperare in un futuro migliore per l’umanità intera.
Gordon Hayward: può uno dei migliori glue guy della lega essere la stella di una squadra ambiziosa come i Jazz? Avrà imparato dalle lezioni della scorsa stagione in cui con maggiori responsabilità palla in mano per lui sono arrivate percentuali minori al tiro e scelte forzate?
John Wall: siamo già alla sua settima stagione nella Lega, questo significa che oltre ad essere ancora nel picco atletico, ora ha l’esperienza di un veterano. Questa stagione potrebbe (dovrebbe?) essere la prima del suo regno come indiscussa migliore PG ad est.
Intanto bentornato J-Wall
Ciuppani
Anthony Davis: una stagione sotto media lo ha fatto diventare la seconda alternativa di KAT, due anni fa era il mio MVP personale. Bounce back or die!
Domantas Sabonis: dopo averlo visto da “vicino” per un anno a Gonzaga voglio capire se vale davvero ciò che sembra o se lo guardavo congli occhi del cuore.
Andrew Wiggins: anche lui per colpa di KAT passato colpevolmente in secondo piano. La spin move più veloce che abbia mai visto.
Francesco Andrianopoli
Dwight Howard: sono ancora convinto che abbia nel serbatoio un paio di stagioni da All-Star, se trova il contesto giusto, che lo motivi e lo metta nelle giuste condizioni. Certo che se non trova motivazioni e condizioni in questi Hawks, è veramente alla frutta.
Bradley Beal: Beal ha il talento, il contratto e l’esperienza per affermarsi definitivamente: ora è il momento di tenere fede al suo potenziale, soprattutto dal punto di vista della tenuta fisica.
Willie Cauley-Stein: per la prima volta nella sua carriera è allenato da qualcuno che gli può insegnare a diventare un vero giocatore NBA, in particolare difensivamente. Se lui e Joerger si troveranno bene, potremmo vedere nascere una delle prossime star della lega.
Gilardi
Derrick Favors: in un’altra epoca sarebbe stato un semi-dominatore. Ma può essere un All-Star pure in questa.
James Harden: sì, ok, non difende. Ma che attaccante è? E con D’Antoni! Non esiste il premio per Comeback Superstar of the Year?
DeMarcus Cousins: allenatore serio, compagni “giusti”, estate con Team USA. Se anche stavolta fa il Boogie e non si trasforma nel Mostro che può essere inizia ad essere colpa sua.
Marco D’Ottavi
Kevin Durant: io sarò uno di quelli con la lente di ingrandimento fissa su KD e non vi devo neanche spiegare il perché.
Kristaps Porzingis: 221 cm come quelli lì, a New York, dopo quel primo anno lì, circondato da una squadra in cerca di riscatto, io me li vedo ogni volta che posso.
Karl Anthony-Towns: Partendo dall’assunto che uno di partite di Minnesota proverà a guardarne il più possibile, bisogna seguire KAT come si segue il prossimo dominatore della Lega per poi dire ai nipotini: io questo lo seguivo fin dal college.
Neri
Dwyane Wade: quello per DWade è un amore puro, anche senza quella maglia con cui ti ha fatto innamorare. È la ragazza che ti ha lasciato ma per la quale non riesci a provare rancore, anche se pensavi di aver raggiunto una stabilità inossidabile, tra alti e bassi, tra gioie e grandi litigi. Ora DWade è a Chicago e io riuscirò ad andare avanti e continuerò a seguirlo anche con un’altra casacca.
Giannis Antetokounmpo: ragazzi, sono veramente euforico... POINT GIANNIS
Aaron Gordon: credo che per l’ex-Arizona sia arrivato il momento della definitiva esplosione. Nutro molti dubbi sul suo utilizzo da ala piccola, ma Vogel è uno che sa il fatto suo e le particolari caratteristiche tecniche e atletiche del prodotto di Arizona ne fanno uno dei progetti sicuramente più intriganti da seguire.
Bottini
Manu Ginobili: quella che sta per iniziare sarà l’ultima stagione a San Antonio dell’hombre da Bahia Blanca. Ho già pronte le VHS e il barattolo di gelato alla vaniglia.
Jabari Parker: se finalmente il mormone di Chicago dovesse trovare quella continuità che gli infortuni gli hanno negato, sono pronto a godermi una stagione di voli sopra il ferro. Perché è un giocatore meravigliosamente elegante e soprattutto non voglio fare la figura del fanboy quando gli avevo dedicato un profilone tempo fa.
JaVale McGee: Ehi questa è la maxi storia di come la mia vita /
cambiata, capovolta sottosopra sia finita.
Seduto su due piedi qui con te /
ti parlerò di JaVale, super fico di Golden State.
Ma come ha fatto Javalone a finire nella squadra più forte dell’NBA? Stay Tuned.
Ronzulli
Draymond Green: nella Golden State che ha cambiato un elemento non proprio marginale del quintetto e la maggioranza della panchina, il giocatore che mi incuriosisce di più è Draimondo. Sulla carta è quello più facilmente “sacrificabile” nella produzione di punti e per questo credo che possano essere esaltate ancora di più le sue qualità di tuttofare. Che, per inciso, sono uno spettacolo.
Schiacciate, blocchi, stoppate, letture… volete altro?
Russell Westbrook: Con l'addio di KD i Thunder sono suoi, tutti suoi. C'è tutta la curiosità possibile per vedere come reagirà e come eventualmente cambierà il proprio modo di giocare e di rapportarsi ai compagni. Spesso criticato a sproposito, Russ non ha mai avuto paura di prendersi le proprie responsabilità. E quest'anno ne avrà, eccome se ne avrà...
Paul Pierce: Teniamoci le lacrime per quando suonerà la sirena della sua ultima partita e godiamoci l’atto finale di The Truth da giocatore. Anche perché alla storia che uno come il 34 faccia semplicemente da comprimario ai Clippers restando ai margini e senza incidere mai non crederò neanche di fronte all'evidenza.
Casadei
John Wall: io e te, caro John, non siamo mai andati molto d’accordo. Quando facevi le tue assurde danze a Kentucky che ti devo dire, John Wall, con quel pugnetto che si muoveva a destra e sinistra mi avevi incantato. Poi ci siamo un po’ persi di vista, John Wall, ma quest’estate ti ho scritto una lettera. E questo ottobre un’altra. Spero tu le abbia lette, caro John. Un bacio.
Matthew Dellavedova: presente quando fai un sogno e il sogno è così vero che sembra reale? Poi capita che ti svegli e sei ancora tu, ma sei anche un po’ ciò che avevi sognato, e la tua realtà diventa sogno in una svolta prospettica quasi rinascimentale o quasi Westworld. Dellavedova secondo alcuni doveva essere un play in promozione ma lui non l’ha mai saputo e ora guadagnerà 38 millioni per giocare a pallacanestro nella NBA. Realtà, finzione, sogno, subconscio, o più semplicemente Matthew Dellavedova, 8 settembre 1990, Maryborough, Australia. Segni particolari: fuck the narratives.
Jeremy Lin: Brooklyn è la franchigia più irrilevante della NBA e anche solo parlarne ti mette ai margini della comunità di chi tratta di basket perciò devo fare in fretta prima che mi scoprano: Jeremy Lin farà una grande stagione e porterà una qualche forma di gioia surrogata a Brooklyn che io e pochi altri ci potremo godere buon dio li sento salire le scale segnatevi queste parole io ho hype per Lin e voglio che tutti lo sappiano oddio stanno sfondando le porte hanno preso il ponte e il secondo salone la terra trema tamburi un’ombra nel buio arrivano aiutatemi LINSANITY BACK LINSANITY BACK LINS aiihihowqinfihqwf
Vismara
Zach Lavine: nelle parole di Zach Lowe: “Thibs che insegna posizioni difensive a Zach Lavine si propone come una delle più grandi sfide educazionali nella storia del pianeta”.
Giannis Antetokounmpo: Ok, ho cercato un nome meno mainstream, ma non ce l’ho fatta: Point Giannis scrivi tu la fine, io sono pronto.
Michael Kidd-Gilchrist: questo tweet da solo mi ha fatto salire la salivazione a mille.
Marco Vettoretti
Dennis Schroder: il tedeschino che, tra un’uscita in skate e l’altra, si troverà per le mani i rinnovati Atlanta Hawks di Dwight Howard.
Michael Beasley: scommessa contro ogni ragionevole pronostico di Milwaukee che potrebbe giovare, ahilui, della prolungata assenza di Khris Middleton, raschiando minuti dal gameplan di Kidd fino a diventare punto fermo della second unit dei Bucks.
Steven Adams: perché ogni supereroe che si rispetti ha bisogno di un braccio destro alla sua altezza. Possibilmente neozelandese, baffuto e capace di fare certecose.