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NBA Redazione basket 19 ottobre 2016 29'

Domande fondamentali sull’Nba 2016/17

Siete pronti per fare il carico di hype?

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4) Dopo la carneficina dell’anno scorso, quale ottimo allenatore rischia di veder saltare la propria panchina?

 

Gilardi

La scadenza di contratto più imminente è quella di Mike Budenholzer (2017), ma per il ruolo che ricopre all’interno della franchigia è impensabile che si faccia saltare da solo, visto che è anche presidente della squadra. Segue Michael Malone (2018 con opzione a favore della squadra), che gode della stima della dirigenza e sulla carta non ha la necessità assoluta di fare risultato (playoff) per salvare il posto. Tutti gli altri 28 allenatori siedono comodamente su accordi dai 3 anni in su, quindi cacciare la guida tecnica per semplice decorrenza dei termini (vedi Indiana-Bird-Vogel) non sarà una strada praticabile.

 

Nella Eastern Conference ci sono candidati credibili al siluramento, ma non so se siano definibili “ottimi allenatori”: ad esempio è un peccato che Jason Kidd non abbia la C di “Coach” all’interno del proprio nome, perché così come era “_Ason” all’inizio della carriera da giocatore, senza J(umper), ora gliela si sarebbe potuta levare. Per esclusione resta un candidato forte, forse fortissimo: Alvin Gentry. Che non necessariamente ha grosse colpe, ma… #FreeAnthonyDavis

 

Breschi

Al momento la panchina che scotta di più è quella di Fred Hoiberg, che nel suo primo anno in sella ai Bulls non ha propriamente entusiasmato: ha avuto difficoltà a trasferire in NBA il suo mantra cestistico fatto di spaziature e sincronie che aveva impressionato a livello collegiale ed è stato accusato dalla sua stessa stella (Jimmy Butler) di aver avuto atteggiamenti fin troppo soft in allenamento, un peccato capitale che per molti è costato l’esclusione dai playoff.

 

Pur avendo passato indenne la prima tempesta, i Bulls hanno preso dal mercato dei Free Agent due giocatori in grado da soli di compromettere lo spacing offensivo di qualsiasi squadra NBA come Rajon Rondo e Dwyane Wade, a cui hanno aggiunto anche un altro mangiatore di spaziature come Michael Carter-Williams nelle ultime ore. Se il tuo miglior tiratore è… l’allenatore, allora c’è un problema di fondo piuttosto grave: Hoiberg è un coach a cui (teoricamente) piace aprire il campo e muovere la palla, ma se gli vengono affidate due guardie (+ MCW) che irrimediabilmente restringono il campo, pompano il pallone, non sono più nel loro prime e cozzano tecnicamente con la stella dichiarata (Butler), vuol dire che o non credi nel tuo coach e non vedi l’ora di licenziarlo, oppure speri che trovi da solo un modo per far funzionare le cose. In entrambe le situazioni, non esattamente uno scenario ideale.

5) Quale sarà il nome più grosso a essere scambiato nel corso della stagione?

 

Nicolò Ciuppani

Dopo un’estate che ha visto la maggior parte dei team sistemare le proprie necessità via free agency a seguito del più grande salto di tetto salariale di sempre, la situazione del mercato generale è piuttosto stantia. Molte squadre sono nella fase di voler vedere come vanno i dadi dopo i primi lanci prima di provare a cambiare tavolo; per altre situazioni, come quella dei centri, ci sono invece molte squadre interessate a vendere il proprio ma nessuna interessata ad acquistarne.

 

Premesso questo, i primi indiziati potrebbero essere i nomi che dovevano muoversi lo scorso anno: Kevin Love, Blake Griffin e Jimmy Butler. Love però ha appena vinto un titolo a Cleveland dimostrandosi pure decisivo in gara-7, e i Cavs potrebbero frenare i pruriti di trade per provare a vedere come va quest’anno, visto che questa squadra al completo non ha ancora perso una serie di playoff. Griffin è in una polveriera, una squadra con le spalle al muro e anche se il caso di pestaggio che lo ha coinvolto l’anno scorso sembra sia stato nascosto sotto al tappeto, qualche scoria deve essere rimasta. Infine Butler, che sembrava a un passo dallo scambio nella notte del Draft, ha visto un blocco nella trade, il che dovrebbe portare la dirigenza di Chicago a guardare come vanno i dadi dopo i primi lanci (o qualunque cosa vogliano fare con il core che hanno assemblato in estate).

 

Più particolari sono altre situazioni già note: Denver ha un nucleo con numerosi giovani in sviluppo e alcuni veterani che non sembrano essere così coerentemente assemblati col resto del progetto. Gallinari è senz’altro il giocatore più talentuoso, ma è un ball stopper in attacco e i problemi fisici lo costringono spesso a saltare ampi tratti di stagione. Faried ha ancora un atletismo di elite per ravvivare un frontcourt che latita di esplosività, ma nell’era incombente dei playmaking 4 è un giocatore troppo limitato per far gola a qualcuno (e Nurkic e Jokic scalpitano per avere più minuti). Se salterà fuori un compratore per il Gallo o per Faried, Denver può cercare di ottenere dei pezzi più futuribili come contropartita

 

Phila ha 3 centri e tutti necessitano di avere minuti per sviluppare correttamente. Ma Noel viene da una stagione di involuzione rispetto alla precedente e il suo upside sembra essere limitato (e quindi i suoi compratori), mentre Embiid è un’incognita sia per Phila che per tutte le altre franchigie non avendo ancora giocato un singolo minuto di NBA rilevante. Okafor invece ha ancora un suo mercato particolare, specie se ci sono squadre che hanno bisogno di un giocatore di post basso per avere dei canestri facili quando l’attacco si inceppa. Charlotte la passata stagione scongelava Al Jefferson dalla panchina e Indiana dovrebbe fare lo stesso, Zach Randolph pare destinato ad uscire dal pino per guidare la second unit e gli Spurs che assieme ad Aldridge affiancano un altro produttore dal post come Pau Gasol è un segnale di una nuova fetta di mercato che si apre.

 

Infine c’è l’affaire Sacramento, dove DeMarcus Cousins oscilla costantemente tra “nessuno lo vorrà mai” e “se lo mettono sul mercato dovrebbero fiondarcisi tutti”. Joerger ha fatto funzionare spogliatoi e personaggi estremamente scomodi (i Grizzlies dell’anno scorso sembravano un recasting di Lock & Stock and two smoking barrels), ma se anche con questo coach le cose non dovessero andare Boogie potrebbe essere il nome grosso a muoversi nella prossima finestra di mercato. Per ora le voci più credibili danno sul mercato Gay e McLemore e non Boogie, ma parliamo di Sacramento e di Cousins, aka i due soggetti più lunatici nella NBA moderna: mai dire mai.

6) Quanti cadaveri lascerà Russell Westbrook sui parquet d’America?

 

Costa

Nello spogliatoio dei Thunder, affisso all’armadietto numero zero, fa bella mostra un cartello. Da lontano potrebbe sembrare il classico messaggio motivazionale, uno di quelli che affollano le pareti dei campi d’allenamento a ogni latitudine. Più da vicino, però, appare chiaro come si tratti di qualcosa di diverso, tre semplici parole stampate a caratteri cubitali:

 

SHOW.

NO.

MERCY.

 

Sindrome dell’abbandono? Spiacenti, chiedere altrove.

Solitudine che attanaglia? Nessuno è solo, finché ha una palla arancio a spicchi tra le mani.

Ricostruzione? Non qui, non ora, non finché in campo c’è Russ.

Timore di fallire? La sconfitta non è un’opzione contemplata.

Annata di transizione? Sul serio: il sistema non è cablato per questo scenario.

Serate segnate sul calendario con il circoletto rosso? 82, lasciando lo spazio per qualcuna in più.

Stagione in tripla doppia di media? Vista l’instabilità dei mercati, se avete due soldi da parte puntateli sul numero zero.

 

Dal Canada al Tennessee, dal Grande Lago Salato al deserto dell’Arizona, il mandato di cattura con il volto di Russell Westbrook sarà valido per tutto l’anno, in ogni arena e palazzetto del paese, ma non siate in pensiero per lui. Russ non si darà alla latitanza, non cercherà un rifugio, Russ sarà puntuale all’appuntamento con il campo.

 

E, da quando verrà alzata la prima palla a due della stagione NBA 2016/2017, saranno gli altri a doversi preoccupare.

 

Bottini

Russell ha preso molto bene la scelta di Kevin Durant di fare il Golden Digger a Oakland. L’ha presa bene come quando ti salta la schedina al novantesimo, quando ti alzi dal letto sbattendo il mignolo al comodino o becchi una Smart dopo un’ora a girare per il parcheggio.

 

Ok forse non l’ha presa così bene. Ha preteso che la squadra sia presentata al pubblico con il celebre fischio di Morricone in Un pugno di dollari. Niente ridicole camere sugli spalti, magliette sottovuoto sparate da cannoni ad aria compressa e canzoni di Bruno Mars a livelli supersonici: solo un ampio campo lungo interrotto dalle ombre dei giocatori tra tumbleweed e cactus. Lui entra per ultimo, con lo scacciapensieri in bocca e il poncho a coprirgli l’uniforme di gioco. Poi si alza il fedora, con studiata teatralità mima il gesto della gola dell’Undertaker, si fa consegnare la palla e chiama il pick’n’roll a Steven Adams. Nessuna palla a due. In un luogo dove non esiste la legge, lui sarà la legge.

 

Volevo dire cinque casse

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Tags : golden state warriorskevin durantportland trail blazersrussell westbrook

La redazione basket è composta da gente molto alacre che vorrebbe giocare a basket ma che purtroppo sarebbe troppo bassa anche per il campionato filippino. Almeno due membri della redazione basket sono convinti che il film A Beautiful Mind parli di loro.

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