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Marco D'Ottavi
Doku ha una sola mossa ma nessuno sa come fermarlo
29 nov 2023
29 nov 2023
Il nuovo giocattolo di Guardiola funziona.
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Marco D'Ottavi
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IMAGO / Shutterstock
(foto) IMAGO / Shutterstock
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Se avete buona memoria, vi ricorderete di Jeremy Doku come della scheggia impazzita in Italia-Belgio di Euro 2020. Eravamo pronti a fermare Mertens, Hazard, Lukaku, De Bruyne, e invece tutte le nostre preoccupazioni erano arrivate da questo semi sconosciuto 19enne. Per qualche giorno intorno alla sua prestazione c’era stata curiosità: Doku sarebbe diventato un grande giocatore o era stato solo un caso? Due anni dopo Doku è stato comprato per quasi 70 milioni di euro dal Manchester City. È stato un acquisto improvviso, fatto nelle ultime ore di mercato, dopo aver rinunciato a Paquetà alle prese con una possibile squalifica per scommesse. Il City aveva davvero bisogno di lui? Doku è un giocatore molto diverso dal brasiliano, arrivava dal Rennes, e in quel ruolo Guardiola sembrava aver puntato su calciatori con caratteristiche quasi opposte come Jack Grealish e Bernardo Silva. Doku valeva i soldi spesi o sarebbe finito anche lui nel tritacarne della Premier League (o in quello ancora più violento del suo allenatore)? È facile dubitare di un giocatore come Doku, uno che non tocca il pallone come Foden, che non ha il controllo di Bernardo Silva o la visione di gioco di De Bruyne. Il dribbling è la qualità più ricercata dagli allenatori moderni, ma anche quella più difficile da far digerire al pubblico. C’è sempre una sorta di preconcetto verso i dribblatori, perché dribblare vuol dire innanzitutto rischiare e rischiando si sbaglia. Da questo punto di vista le partite di Doku con il Manchester City sono quasi una performance artistica. Si pensava che, magari, avrebbe avuto bisogno di un periodo di adattamento al campionato più fisico e difficile del mondo, alla squadra più forte, ai suoi meccanismi quasi oscuri. Non è stato così. In Premier League, per 90 minuti, Doku dribbla quasi più del doppio del secondo, Eberechi Eze del Crystal Palace. Contro il Liverpool pochi giorni fa gliene sono riusciti 11 (per altri 12), pareggiando un record di Adama Traoré. Forse, però, a essere ancora più stupefacente è la percentuale di riuscita: 73%, quando quelli dietro di lui in questa lista sono tutti intorno al 50% (dati Statsbomb).

A 15 anni Doku aveva rifiutato proprio il Liverpool dopo aver visitato il centro sportivo e parlato con Jurgen Klopp (che in lui, dirà, aveva visto l’erede di Sadio Mane), Steven Gerrard, Mohamed Salah e lo stesso Mane. «Non era proprio interessato», ha raccontato il padre, che però vedeva nell’offerta inglese un’opportunità economica e spingeva per trasferirsi. A convincere Doku e la famiglia a restare all’Anderlecht era stato Lukaku, che sembra avere un certo ascendente sui giovani talenti del Belgio. Dai racconti dei suoi primi allenatori emerge la figura di un ragazzo timido fuori dal campo, ma incredibilmente sfrontato dentro. Soprattutto di una velocità straordinaria: «I suoi primi metri erano eccezionali», ha detto uno di loro. Oggi a Doku basta anche meno spazio per essere eccezionale. È la peculiarità del suo dribbling. Se guardate gli undici riusciti al Liverpool, più della metà si possono racchiudere nello spazio di un fazzoletto. A Doku non serve niente per dribblare, gli basta guardare a destra e poi andare a sinistra, oppure guardare a sinistra e poi andare a destra. Gli basta un piede, il destro. Al massimo un leggero movimento dell’altro per destabilizzare l’avversario. La rapidità del suo primo passo potrebbe già essere tra le migliori di sempre.

Questo minimalismo lo distanzia dagli altri grandi dribblatori della Premier League recente, gente come Adama Traoré, Eze, Saint-Maximin e Zaha. Rispetto a queste ali ipertrofiche, che hanno proliferato in squadre di medio livello che giocavano principalmente in campo aperto, Doku sembra aver ottimizzato il dribbling per renderlo efficiente agli spazi stretti e nessuno più del City vive di spazi stretti. Si dice che Guardiola non volesse Doku, scelto invece dal direttore sportivo Txiki Begiristain. Ora però sembrano fatti l’uno per l’altro. Non era immediato prevederlo: se il tecnico del City non è un negazionista del dribbling - senza arrivare ai picchi di Messi al Barcellona, al Bayern Monaco aveva organizzato il suo gioco per sfruttare l’incredibile qualità delle ali in squadra (Robben e Ribery, ma anche Douglas Costa) - negli ultimi anni era sembrato voler rinunciare a questo tipo di calciatori per avere squadre con un controllo sempre maggiore sul pallone. Basta vedere come ha dovuto incanalare la creatività di Grealish su un binario come se fosse il treno tra Manchester e Londra.Con l’assenza di De Bruyne e le cessioni di Gundogan e Mahrez, però, questo controllo è diventato meno efficiente a livello offensivo. È qui che Doku si è infilato così bene. Il belga infatti da una parte risponde alla necessità di Guardiola di avere qualcuno che “crea” in maniera autosufficiente, dall’altra non è un calciatore anarchico, non ha quel tipo di creatività che non sembra andare a genio al suo tecnico. L’esempio perfetto di come Doku possa “massimizzare il minimalismo” del suo talento è la partita con il Bournemouth, una vittoria per 6 a 1 in cui ha segnato 2 gol e fatto 4 assist. Anche se non è del tutto vero, a rivedere queste sei giocate, Doku non sembra neanche fare qualcosa se non portare il pallone in avanti molto velocemente per creare o segnare un gol.

Dopo questo show di Doku, Guardiola si era detto estasiato: «È incredibile. Quando prende palla e parte sono tutti emozionati, anche io lo sono». C’è da dire che, in realtà, a un osservatore medio come posso essere io, i dribbling di Doku non scatenano particolari emozioni. Non sono un’arte o una presa in giro. Sono semplicemente dribbling: saltano un avversario. Se non fosse così evidente il vantaggio che procurano, potrebbero passare inosservati come i passaggi di Busquets. Confrontando i suoi ultimi dribbling con quelli delle giovanili si nota poi come Doku abbia asciugato il suo repertorio arrivando all'essenza del dribbling. Non è un caso che internet è pieno di video che evidenziano come Doku abbia una sola mossa (ma che quella mossa sia inarrestabile) e che per lui non sembra fare differenza giocare a destra o sinistra. Per questi giocatori monotematici spesso si dice che una volta letti dagli avversari sono finiti. Qui però c'è poco da leggere. Nell'ultima partita contro il Lipsia, entrato al 54', Doku è stato il giocatore ad aver tentato più dribbling (8) e ad aver avuto più successo. La difesa dei tedeschi ha provato a raddoppiare su di lui o a tergiversare: ha funzionato poco. Anzi, nel gol decisivo di Alvarez Doku è col pallone tra i piedi largo a sinistra; Simakan davanti a lui rimane fermo come si dice bisogna fare con gli orsi. Da dietro Seiwald si preoccupa di dare una mano al compagno andando a raddoppiare Doku, così facendo però lascia Foden libero di inserirsi in area di rigore da dietro. Doku trova proprio Foden con un passaggio in mezzo ai due e quello poi servirà Alvarez davanti alla porta. Insomma Doku sta dimostrando come il dribbling sia sempre di più un fondamentale necessario nel calcio moderno, ma come al tempo stesso la sua evoluzione rischia di diventare qualcosa di sterile. Sul Guardian, parlando proprio di Doku, Jonathan Liew ha scritto che "nell'infinitamente misurato, infinitamente decriptato e infinitamente mercificato calcio moderno, il dribbling è forse l’ultima fonte di vera creazione, più vicino all’arte che allo sport". Se in senso astratto è vero, Doku mi sembra smarcarsi da questo lato estetico del dribbling. Non che sia un male: è una constatazione. Oppure, ancora meglio, il dribbling di Doku non si rivolge più a me, ma alla generazione Z. Forse Doku è il primo passo verso un calcio che attiri questa generazione, un calcio fatto da calciatori capaci di mettere insieme 15-20 dribbling a partita tutti uguali, partite che somigliano a flipper. Non lo so, forse sto guardando troppo avanti. In ogni caso Doku è fenomenale in quello che fa e quello che fa è ideale per Guardiola.

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