Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
(di)
Djokovic-Nadal, un altro grande classico
15 lug 2018
15 lug 2018
Novak Djokovic e Rafael Nadal si sono sfidati nella seconda semifinale più lunga della storia di Wimbledon, e una delle più belle.
(di)
(foto)
Dark mode
(ON)

Rafael Nadal ha giocato 1090 partite in carriera, Novak Djokovic 973. I due si sono affrontati venerdì a Wimbledon per la 52esima volta, e al loro 52esimo match hanno giocato il loro set più lungo, il quinto. Forse non c’è un dato che restituisca più precisamente la loro capacità di sorprenderci, proprio quando sembrava che ormai non potessero dirci niente di diverso da quanto già non conoscessimo.

 

Per chi non segue il tennis è inconcepibile tanta ripetitività: perché il pubblico continua a guardare le stesse tre persone che si contendono gli stessi tornei da ormai dieci anni? Una domanda legittima in un contesto, come quello dello sport contemporaneo, dove le narrazioni si consumano e cambiano a gran velocità. Se in quasi tutte le altre discipline esiste un gusto della mutevolezza, nel tennis degli ultimi anni si è sviluppato invece - per forza di cose - un piacere della ripetizione. Se gli altri sport hanno la vivacità della letteratura contemporanea, frammentata in mille stili e poetiche diverse, il tennis ha la solennità delle saghe classiche. Della loro ripetizione di temi e motivi, dei loro personaggi sempre uguali e sempre diversi.

 


Presenti in tribuna anche Kate Middleton e Meghan Markle, che con Gill Brooks contribuivano al contorno ottocentesco così necessario a Wimbledon. Foto di Clive Mason.


 

Per continuare ad appassionarsi alle sfide tra Djokovic, Nadal e Federer bisogna sviluppare un gusto per le sfumature. Solo così si può riconoscere che, quelli che stiamo vedendo contendersi il potere in un perfetto sistema oligarchico, non sono mai gli stessi tennisti, ma cambiano in continuazione. Nessun uomo può bagnarsi nello stesso fiume per due volte, perché né l'uomo né le acque del fiume sono gli stessi, diceva Eraclito.

 

Rafa Nadal e Nole Djokovic si sono presentati venerdì sul campo del centrale di Wimbledon come due reduci. Durante la loro carriera hanno accumulato una quantità non ricostruibile di infortuni. Li portano addosso come segni muti che hanno costretto i loro corpi a prendere una forma differente. Entrambi sono stati obbligati ad alleggerire i propri muscoli, cercando di pesare il meno possibile su ossa e articolazioni per anni costrette ad andare oltre i propri limiti. Tanto Djokovic quanto Nadal hanno attraversato diversi momenti in cui pensavano di non poter mai più tornare a giocare una partita come quella di ieri.

 

Solo sei mesi fa Djokovic usciva dagli Australian Open contro il nuovo Djokovic, Hyeon Chung, e ammetteva davanti ai microfoni con amarezza “Non so quando tornerò a giocare”. Al culmine di un processo di decomposizione del proprio tennis che lo aveva portato a diventare il fantasma di sé stesso.

 

Rafa Nadal, al termine di un 2015 in cui per la prima volta non era riuscito a vincere un Major, estenuato dalle domande sul suo ritiro alla fine aveva ammesso: “non posso dire cosa succederà”. Dopo una serie di infortuni che hanno coinvolto praticamente ogni parte del suo corpo, Nadal ha rimesso insieme i pezzi con una motivazione che ha qualcosa di spaventoso.

 



Le versioni di Nadal e Djokovic che sono scese in campo erano piene di compromessi, eppure ci hanno mostrato il loro miglior livello di tennis possibile in questo momento, dando vita a una delle semifinali più belle della storia di Wimbledon. Qualche anno fa Brian Phillips

una partita tra Nole e Rafa come un concerto heavy metal, mentre oggi il loro confronto ha assunto una vena riflessiva più vicina all’art rock.

 

Non che sia mancata l’intensità. La partita è stata ricca di scambi lunghi e violenti. Sembrava però che per una volta l’obiettivo dei due non fosse il climax ascendente che ha fissato lo standard estetico delle loro sfide, quanto piuttosto arrivare al punto anche attraverso vie traverse e meno lineari.

 

Nadal ha cercato di spezzare i ritmi il più possibile, sfoderando un repertorio di una vastità che raramente gli viene riconosciuta. Ha variato i propri colpi con il back di rovescio, ma anche con diverse palle corte. Ha vinto il 37% dei propri punti a rete, dove si è presentato più volte di Djokovic, usando schemi offensivi anche sofisticati. Associamo sempre Nadal alla sua forza fisica, al suo topspin di dritto, ma, nonostante non possieda bagaglio tecnico da erba, la sua intelligenza pratica gli permette di adattarsi alla superficie in maniera, per quanto artigianale, efficace. Ecco ad esempio uno schema che contro Nole ha utilizzato molto: l’attacco in controtempo col rovescio seguito dalla discesa a rete.

 



 

 

Dall’altra parte Djokovic ha cercato soprattutto di rilassare i nervi. Ha giocato il suo solito tennis piatto ed elastico, ma tenendo sempre alta la concentrazione - una notizia. Djokovic che guarda meno al suo angolo, si lascia andare solo un paio di volte alle grida pazze con cui si fa quasi esplodere le vene del collo. Sembra un uomo che ha ripreso finalmente controllo di sé, che ha smesso di pensare che il mondo ce l’abbia con lui.

 

La partita, nel suo sviluppo drammatico, è stata condizionata dall’interruzione dopo i primi tre set. Una misura che può aver tolto un po’ di pathos ma che ha permesso che la qualità del tennis rimanesse altissima. Djokovic ha vinto il primo set grazie a un servizio di una forza e di un efficacia che non si erano viste negli ultimi anni; poi ha perso il secondo facendosi fare il break al sesto gioco.

 

Il terzo set si è deciso invece su un tiebreak di alto livello, finito 12-10, durante il quale sono state giocate quattro palle corte vincenti complessive, due per parte, a testimonianza della razionalità con cui entrambi i giocatori si sono voluti preservare dalla rissa. Sul 5-5 Nadal ha perso il controllo di uno scambio estenuante, da 23 colpi, con un rovescio colpito male, che è morto a metà campo; Nole ha spinto col dritto incrociato ma Nadal, con l’energia nervosa che lo ha reso speciale, ha ribaltato lo scambio tirando un rovescio lungolinea quasi sulla riga di fondo. Poi ha chiuso con una delle tante smorzate di dritto della partita.

 


Un incontro di pugilato simile alle loro vecchie sfide.


 

Djokovic è però riuscito a venir fuori dalla buca, e ha vinto il set dopo un braccio di ferro sulla diagonale del suo dritto col rovescio avversario che ha ricordato una sfida del 2011, quando i loro scambi somigliavano agli assoli degli AC/DC.

 


Come in altri momenti della partita, Nadal è il primo a voler uscire dalla prova di forza con un rovescio in back su cui Djokovic spinge senza dubbi.


 

A quel punto però erano le 23 ed Andrew Jarrett, responsabile del torneo, ha deciso di sospendere il match. Una decisione che si è portata dietro le polemiche riguardanti la partita precedente, quella tra John Isner e Kevin Anderson, la più lunga semifinale della storia di Wimbledon, 6 ore e 36 minuti. Una partita il cui pathos è aumentato in maniera inversamente proporzionale alla qualità del tennis in campo. Nel quinto set i giocatori erano ridotti a due spaventapasseri esangui che provavano a opporsi senza successo agli implacabili servizi avversari. Le due partite ci hanno mostrato quanto radicalmente può essere diverso il tennis da una partita all'altra, ma anche come nel tennis - come nel cinema, nella letteratura, nell'arte - la lunghezza non è sinonimo di bellezza. Isner-Anderson è stato, a tratti, un brutto spettacolo.

 

Al suo termine John Isner ha suggerito l’esigenza di introdurre il tiebreak anche nel quinto set, anche a Wimbledon: «Si potrebbe giocare il tie-break sul 12 pari. Se fino a quel punto nessuno è riuscito ad avere la meglio, beh allora che sia il tiebreak a chiudere il match».

 

Anche Kevin Anderson si è detto d’accordo: «Gli spettatori che hanno pagato o il biglietto hanno rischiato di vedere una sola semifinale. Immagino che parecchi non vedessero l’ora che noi finissimo. Non c’era bisogno che ci guardassero per 6 ore e mezzo. Anche per Djokovic e Nadal non sarà il massimo».

 



Quando sono rientrati in campo, però, Djokovic e Nadal non hanno avuto bisogno del fisiologico ambientamento, specie lo spagnolo, che si è portato subito sul 3 a 0. Djokovic riesce a ritornare in scia, ma Nadal gli toglie di nuovo il servizio sul 3-4, dopo uno scambio da 14 tiri, culminati in una serie di rovesci incrociati e da una discesa a rete su cui il serbo affonda il passante in rete.

 






 

Nel quinto set la partita inizia su un equilibrio che pare inscalfibile, con i due che lasciano complessivamente 6 punti sul proprio servizio. Sul 7 pari, nel set più lungo delle loro sfide, Djokovic e Nadal hanno giocato il game più lungo della partita, scandito da cinque parità. Con Djokovic al servizio Nadal guadagna due palle break. Il serbo le annulla con due servizi vincenti, poi ne deve fronteggiare una terza, ai vantaggi, dove si consuma forse il punto più iconico della partita.

 



 

 

In conferenza stampa a Nadal

di tirar fuori i rimpianti, anche su quella terza palla break: «Non credo di essere stato precipitoso. Sono rientrato da una posizione difensiva, e ho deciso di seguire a rete un buon rovescio in diagonale. È uno schema che aveva funzionato bene molte volte, ma lì la palla mi è uscita leggermente troppo centrale, e lui ha azzeccato un gran passante, e questo è tutto, è lo sport».

 

I due continuano a giocare un tennis di una qualità impressionante per il momento della partita, in uno sport in cui il quinto set è spesso un’accorta battuta di caccia militare, dove i due tennisti giocano a carte coperte risparmiandosi per il momento in cui l’altro cederà qualcosa. Nadal e Djokovic hanno alzato invece il livello del proprio gioco man mano che i punti diventavano più pesanti, che poi è ciò che in fondo rende bella una partita di tennis. Guardate ad esempio come Nadal annulla un matchpoint a Djokovic sul 7-8.

 


Si può giocare a tennis meglio di così?


 

Tra i due Djokovic era il tennista con più margini: era più tirato fisicamente, con un tennis più solido, sostenuto da un servizio in stato di grazia. E infatti ha finito per vincere la partita, piegando la resistenza di Nadal nel diciottesimo gioco -

lo spagnolo provare a recuperare un dritto incrociato di Djokovic

, e quasi riuscirci. Il serbo chiuderà con 25 ace, il 71% di prime in campo e il 76% di punti vinti con la prima palla.

 

È forse soprattutto grazie a Rafa Nadal che abbiamo visto una delle migliori partite a Wimbledon della storia recente. Grazie non solo alla sua nota resistenza e all’istinto a sopravvivere in qualsiasi condizione, ma anche a una sensibilità tennistica miracolosa, che gli ha permesso di andare vicino a ri-vincere Wimbledon mentre tutti ci eravamo sbrigati a darlo competitivo ormai solo su terra rossa. Nadal ha giocato un torneo impressionante, che ci restituisce un tennista che ha saputo girare attorno a dei limiti fisici sempre più stringenti imparando a fare sempre più cose. Nadal non ha rimpianti: «Non mi sento di avere granché da rimproverarmi. Di solito sono molto critico con me stesso ma oggi penso di aver giocato bene, non mi sono rimaste energie, ho dato il massimo».

 

Questo Wimbledon ci ha però restituito soprattutto un Djokovic finalmente affilato: «Vedo i flashback di tutto quello che ho dovuto passare negli ultimi quindici mesi», ha dichiarato dopo la partita. Djokovic ha rimesso insieme i pezzi del proprio gioco, a partire dalla tenuta mentale - comprovata dopo una partita del genere - e da un servizio tornato competitivo. Dopo un ottimo Queens, dove ha centrato l’ottocentesima vittoria in carriera ma ha perso da Marin Cilic in finale,

: «Non mi definirei un candidato alla vittoria di Wimbledon. Devo tenere basse le mie aspettative considerato i risultati dell’ultimo anno».

 

Djokovic è tornato in una finale di uno slam dopo due anni tormentati da problemi fisici, con in mezzo un’operazione al gomito. Sarà la sua quinta finale a Wimbledon. Un ritorno certo non semplice da pronosticare, ma che chi segue il tennis sapeva sarebbe prima o poi arrivato. La domanda non era

ma

. Come il cinema hollywoodiano, il tennis sembra a corto di nuove narrazioni ed è concentrato sui remake delle proprie saghe storiche.

 

Forse nessun torneo quanto questo Wimbledon però ha mostrato una forbice tra un tennis in continua evoluzione e delle regole che invece continuano a rimanere immutate.. Si sono giocate entrambe le semifinali più lunghe della storia del torneo: combattute tra tutti tennisti con più di trent’anni. Fotografia di un tennis che sposta l’età media sempre più in avanti. Kevin Anderson è arrivato lo scorso anno alla sua prima finale in uno slam, a 31 anni; è notizia di ieri invece il ritiro di Gilles Muller, che ha raggiunto il proprio best ranking a 34 anni. Appena dopo la folle semifinale giocata, Anderson ha indicato il suo avversario come un modello d’ispirazione: «È stato Isner a farmi capire che anch’io potevo giocare a questi livelli».

 

Quella tra Anderson e Djokovic sarà la prima finale di Wimbledon fra ultratrentenni. Ieri Anderson guardava la partita immerso in una vasca di ghiaccio, per bruciare i tempi di recupero. Uscendo dal campo aveva definito le proprie gambe “di gelatina”; Djokovic invece era tra il divertito e il rassegnato: «Intanto vediamo se riusciamo a scendere in campo tutti e due. Lui ha avuto un giorno di pausa, piacerebbe anche a me averne uno».

 

 

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura