Per costruire una narrazione dall'alto valore simbolico attorno a un evento sportivo non è sempre necessaria l'incertezza del risultato. La finale dell'Australian Open tra Novak Djokovic e Rafael Nadal ha avuto un andamento insolitamente lineare, dove lo spagnolo è stato a poco a poco sempre più schiacciato dal suo avversario. Eppure, paradossalmente, la portata dell'impresa di Djokovic è cresciuta man mano con l'andare della partita, rendendosi un caso sempre più eccezionale di dominio sul suo avversario - sempre estremamente granitico nelle partite più importanti - in una finale Slam.
Per la prima volta Rafael Nadal ha perso una finale di un Major per tre set a zero. Lo ha fatto senza aver mai dato la benché minima impressione di poter provare a ribaltare la partita, sfruttando qualche mismatch potenzialmente favorevole, qualche momento di particolare ispirazione, o in alternativa qualche buco di rendimento di Djokovic. Niente di tutto ciò è avvenuto: forse, in questo senso, l'accostamento più appropriato a un simile evento nel recente passato del tennis è quello alla finale del Roland Garros 2008, dove ancora una volta un campione lasciò a bocca asciutta un altro campione - in quel caso Nadal che vinse su Federer - concedendogli appena 4 game, con un andamento degno di una partita di primo turno.
La finale di ieri contribuirà a marcare un solco ancora più profondo nell'impronta lasciata da Novak Djokovic nella storia di questo sport. Pur senza un minimo accenno di lotta durante tutto l'incontro, l'impresa del serbo di dominare in questo modo un avversario così forte e così in forma - battendolo per l'ottava volta consecutiva sul cemento - ha lo stesso valore simbolico di una grande fuga solitaria nel ciclismo, di uno slalom gigante vinto da Marcel Hirscher con più di 2 secondi di vantaggio sul primo rivale, del 5-0 rifilato dal Barcellona di Guardiola al Real Madrid di Mourinho con il totale predominio del pallone. L'assolo di Djokovic ha a che fare lo stupore di fronte all'esplorazione e al superamento dei confini in un certo sport.
Djokovic ha esplicitamente dichiarato di puntare a completare il Grande Slam in questa stagione e in questo senso vuole di nuovo ampliare i propri orizzonti. Il suo trionfale rientro ha ricominciato ad alimentare la sua leggenda, oltre che le continue discussioni sulle gerarchie storiche tra i tre grandi del tennis del Terzo Millennio. Forse non sarà mai possibile stabilire con certezza chi tra Federer, Nadal e Djokovic rivestirà il ruolo platonico - e forse anche usurpatore, viste le leggende di un passato ormai troppo lontano - di tennista più grande di tutti i tempi. Probabilmente, però, la portata della vittoria di ieri e l'ennesimo successo Slam su questa superficie possono già assegnare a Djokovic il titolo di giocatore più forte di sempre sul cemento.
Magari è proprio questa l'eredità più giusta che ci verrà lasciata tra qualche anno dalle tre leggende: nessuno potrà essere annoverabile come il più forte in assoluto; ciascuno verrà invece ricordato come il più forte sulla propria superficie migliore, capace di alzare l'asticella fino all'inverosimile.
Le radici della supremazia
La forza brutale di Djokovic sul cemento ha umanizzato Nadal, rendendolo preda degli stessi demoni che da sempre affliggono gli avversari dello spagnolo. Nadal è sembrato quasi aver giocato la partita in anticipo, in un certo senso: si è presentato in campo estremamente contratto, succube della superiorità dell'avversario non solo in generale su questa superficie, ma più nello specifico anche nell'incastro tra le rispettive caratteristiche tecniche più peculiari.
La tensione e l'insicurezza sono state alimentate dall'inizio di partita estremamente deciso da parte di Djokovic. Questa volta è sembrato anche che lo shot clock - che non aveva per nulla minato la fluidità del gioco di Nadal nei turni precedenti - abbia impedito allo spagnolo di prendersi quelle pause indispensabili per ritrovare la necessaria lucidità per piazzare un dritto vincente vicino alle righe, o per spezzare il momento favorevole dell'avversario, aumentandone i pensieri e riducendone l'efficace istintività. Nadal è sembrato incassare questa sconfitta tutto d'un fiato, senza mai poter riemergere da sott'acqua.
Lo spagnolo aveva a disposizione delle armi per poter mettere in difficoltà Djokovic, specie grazie a un tennis sempre più aggressivo. Questo suo potenziale piano tattico - necessario per poter stare sopra all'intensità e al controllo del serbo sulla sua superficie migliore - presupponeva però un grado di tranquillità e decisione che Nadal, per qualche motivo, non è riuscito a mettere in campo fin da subito nelle recenti finali Slam, neanche nei primi game delle ultime due finali al Roland Garros contro Wawrinka e Thiem. Rispetto alla terra battuta, tuttavia, il margine di sicurezza stavolta era inferiore e non c'è stato modo per Nadal di poter riprendere in mano la partita, anche solo per brevi tratti.
Nadal è stato quindi messo di fronte a un irraggiungibile compromesso: avrebbe avuto bisogno di uno snaturamento eccessivo del suo tennis per venire incontro alle esigenze della lavagna tattica. Il conflitto tra la necessità di aumentare la propria istintività e la tendenza, invece, ad accrescere la propria riflessività nelle partite più delicate hanno creato un incolmabile scollamento tra ciò di cui aveva bisogno e ciò che invece è riuscito a proporre sul campo. Questa divergenza ha acuito la sua sensazione di inadeguatezza e Djokovic, grazie alla sua ritrovata solidità, è stato implacabile a infilarsi nel disagio del suo avversario.
A livello statistico, ma non solo, la difficoltà più grande per Nadal è stata la risposta. Il maiorchino ha vinto solamente 13 punti in 13 game di servizio di Djokovic, che a sua volta ha messo a referto un'impressionante 84% di punti vinti con la seconda di servizio. Nonostante la media di un solo punto in risposta per ogni game, Nadal ha perfino avuto una chance di strappare il servizio a Djokovic, una sola palla break sul 3-2 del terzo set. Anche per la caratteristica delle palline di quest'anno, molto veloci all'inizio ma tendenti a sgonfiarsi molto, i suoi punti ottenuti in risposta si sono concentrati nei game precedenti al cambio palle. Ha iniziato a scambiare di più nel 4-2 del primo set, è andato per la prima volta a 30 sul servizio di Djokovic sul 6-3 3-2 e ha avuto l'unica palla break sul 6-3 6-2 3-2.
Nel game del 3-2 del terzo set per la prima volta Nadal è riuscito nell'impresa di forzare due volte all'errore di rovescio Djokovic, un po' per via delle palle più sgonfie che ha avuto più tempo per poter caricare, un po' forse per un leggerissimo calo di tensione del serbo - forse l'unico - che era avanti di due set e di un break. Ma si è trattato di una situazione estemporanea in una partita in cui Nadal si è potuto affidare solamente al suo servizio, anch'esso senza soluzione di continuità e soprattutto non abbastanza produttivo di punti quando direzionato sulla risposta di dritto di Djokovic, che avrebbe dovuto essere un punto di relativa debolezza su cui insistere.
A Nadal inoltre è mancata la precisione e l'incisività con il dritto lungolinea, forse il colpo più importante per rendersi efficace nel confronto diretto con Djokovic. La sua tensione si è potuta toccare con mano quando più volte ha rinunciato a giocare il dritto lungolinea in situazioni in cui poteva incidere - come sta facendo negli ultimi due anni soprattutto - e in molti altri casi, quando lo ha provato, quel colpo è uscito corto o troppo centrale. In alcune situazioni, oltretutto, Nadal ha sbagliato facili conclusioni perché ha forzato ancora di più la ricerca della riga con il lungolinea, vedendo che Djokovic si spostava in anticipo per coprire la conclusione e non avendo la lucidità per cambiare angolo all'ultimo.
Proprio sull'unica palla break avuta, Nadal potrebbe già colpire in lungolinea sul secondo dritto e lo fa poi timidamente sul colpo successivo, giocando centrale e corto. È costretto poi a rischiare con il rovescio e fallisce.
Non sarebbe però corretto addossare le colpe di questo massacro alla prestazione opaca di Nadal. Lo spagnolo ha risentito della forza del suo avversario, che possiede le caratteristiche peculiari per neutralizzarne il suo gioco. Djokovic è riuscito incredibilmente a colpire la palla in media circa mezzo metro più avanti rispetto alla media delle sei partite precedenti, e forse questo è il dato più impressionante per lui e preoccupante per la scarsa incisività dei colpi carichi di Nadal.
Grafica mostrata da Mats Wilander nel post-partita, che forse fotografa più di qualsiasi parola le dinamiche del match.
Come avevamo anticipato nella nostra preview Djokovic si è confermato letale con il servizio, soprattutto da destra, la cui precisione gli ha consentito di avere una percentuale elevatissima di prime in campo (72%) senza forzare troppo in velocità - non ha mai raggiunto i 200 km/h - ma con percentuali di punti ottenuti che di solito si vedono negli scoreboard di Isner o Karlovic: 80% di punti con la prima e 84% con la seconda.
Il rendimento di Djokovic è stato impressionante anche con il dritto. Quando lo giocava da destra nella posizione normale riusciva a stringerlo tantissimo incrociato e a tenere alta la profondità, impedendo a Nadal sia di spostarsi sul dritto che di giocare incisivi rovesci lungolinea come più volte era accaduto nell'ultimo precedente a Wimbledon. Djokovic ha anche manovrato efficacemente senza paura di giocare il dritto lungolinea sul colpo vulnerabile di Nadal sul veloce, il suo dritto: a fine match il serbo ha messo a referto 12 dritti vincenti contro i 10 di Nadal, a fronte di soli 5 errori gratuiti sempre con il dritto contro i 15 dello spagnolo.
Inutile poi sottolineare la consueta forza granitica del suo rovescio, da sempre il migliore nel contrastare la palla di dritto di Nadal che tanti problemi ha sempre creato a tutti i suoi avversari. Rispetto ai loro match più classici Djokovic ha scelto stavolta di giocarlo tendenzialmente più spesso incrociato, confidando nello spazio più lungo di campo e andando a pescare il dritto di Nadal, che ha un'ampia apertura e va in difficoltà sul veloce. I problemi dello spagnolo nel colpire dritti lungolinea in corsa hanno fatto il resto.
Djokovic neutralizza fin da subito un servizio di Nadal sul suo dritto, e poi manovra come vuole. Con il dritto cambia continuamente angoli e non ha paura di accelerare sul dritto dello spagnolo, mentre con il rovescio ne gestisce perfettamente le rotazioni fino a piazzare l'accelerazione vincente.
Dio del cemento
Probabilmente la vittoria messa a segno da Djokovic nel confronto diretto a Wimbledon la scorsa estate ha davvero rappresentato il nuovo punto di svolta della sua carriera. In quella semifinale Nadal era andato molto più vicino al successo rispetto a ieri, forse non solamente perché Djokovic era in astinenza da grandi vittorie. Escludendo la terra battuta, Nadal contro Djokovic si gioca probabilmente meglio le sue chance sull'erba che non sul cemento: a Wimbledon lo spagnolo ha potuto beneficiare maggiormente dei tagli mancini al servizio e anche le sue frequenti soluzioni a rete o con il back e le smorzate risultavano molto più efficaci. Essendo Djokovic più forte nello scontro diretto, probabilmente il suo rendimento leggermente inferiore sull'erba rispetto al cemento è il segnale che, al di fuori della terra, la rivalità dipenda maggiormente da lui e si giochi soprattutto sulle sue poche debolezze.
Con la vittoria di questo Australian Open, Novak Djokovic si aggiudica il suo quindicesimo Slam, il decimo sul cemento. Soltanto Federer ha vinto un Major in più sui campi duri, ma con sei anni in più di carriera. Soprattutto la naturalezza con cui il serbo si muove su questi campi, specialmente assecondando il dosaggio della scivolata, lo rendono però il giocatore più innovativo e difficile da battere sul cemento nella sua generazione. Il modo in cui le sue capacità difensive si incontrano per neutralizzare il gioco di Nadal su questa superficie è assolutamente disarmante. Più vulnerabile, invece, si era reso il serbo di fronte ai cambi di ritmo e di soluzioni dello spagnolo sull'erba di Wimbledon.
Come le altre due leggende, anche Djokovic ha avuto la stessa parabola di crisi alle soglie dei 30 anni, risolta poi con un successivo nuovo periodo di vittorie. Forse è proprio necessario per questi campioni trascinare sé stessi ai confini del logoramento fisico e mentale per poter eccellere, scontando poi successivamente un periodo di reflusso delle motivazioni. Il rientro di Djokovic, in ogni caso, lo riporta alla pari degli altri due campioni dopo che la sua immagine era uscita un po' ridimensionata dal grande 2017 di Federer e Nadal, che avevano allungato la loro longevità. L'estensione del periodo di successo di Djokovic va ora di pari passi con l'ampliamento della sua aura leggendaria: la sua lunga fase di predominio lo rende una figura più stabile, capace non soltanto di imporsi in un determinato periodo per via di alcune circostanze. La sua continuità di vittorie avvicina il suo livello medio di gioco a quello massimo e non si può più solamente parlare di Djokovic come un giocatore formidabile in determinate stagioni, ma come forse il simbolo del tennis degli anni Duemiladieci.
Non è detto che sia stata l'ultima finale in un Major tra Nadal e Djokovic, visto che i due potrebbero nuovamente monopolizzare la stagione sulla terra battuta come ai vecchi tempi. Sta però tramontando la loro epoca dei contrattaccanti, il cui primo duro colpo da incassare è stato l'annuncio del ritiro di Andy Murray. Tutti i giovani talenti che stanno avendo più successo presentano un tennis più aggressivo, partendo da una maggiore altezza e con una meccanica innovativa soprattutto del dritto. In loro si intrecciano delle caratteristiche che possono renderli polivalenti attraverso le varie superfici, come lo sono stati in parte i loro predecessori, avendo aperto loro la strada.
Nonostante la generazione dei Fab Four, dopo l'esplosione di Federer, sia stata la prima in cui si è sviluppato il dibattito sull'omologazione delle superfici, le rispettive caratteristiche delle tre grandi leggende hanno reso questi tennisti a modo loro unici e con qualità peculiari. Ciascuno dei tre si è dimostrato il migliore sulla propria superficie preferita, innovando a poco a poco la figura del tennista di successo su un determinato terreno attraverso la messa a punto di numerosi dettagli avanguardistici e vincenti.
Tutte e tre le leggende potrebbero concludere la carriera con il record di Slam, e Djokovic potrebbe persino puntare anche al Grande Slam, 50 anni dopo l'ultimo messo a segno da Rod Laver. Forse non sarebbe comunque sufficiente a convincere anche più imparziali sul fatto che davvero a quel punto sarebbe il candidato principale al ruolo di migliore di tutti i tempi. Senza dubbio, però, il modo in cui ha esasperato la ricerca del dettaglio in ogni aspetto della sua vita per raggiungere l'apice sportivo ha reso affascinanti anche le manifestazioni più noiose del suo talento.
A Djokovic, tuttavia, difficilmente non si può già riconoscere di essere stato il tennista più forte di sempre sul cemento. Non solo per i trofei ma anche per la naturalezza peculiare con cui si muove sulla superficie. Forse sarà proprio questo il modo migliore per ricordare l'eredità dell'epoca d'oro dei tre grandi del tennis: evitare la prospettiva suprematista della scelta del migliore in assoluto e godere invece dell'eccellenza della loro diversità.