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Cos'è successo nei Divisional Playoff
15 gen 2014
15 gen 2014
Il racconto del fantastico weekend di NFL. Le vittorie dei Patriots e dei Broncos che porteranno Brady e Manning a una finale di AFC carica di storia; e i successi dei 49ers e dei Seahawks che in finale NFC metteranno in scena lo scontro tra i giovani quarterback migliori della Lega.
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Il weekend appena trascorso ha sancito il ritorno in campo dei quattro team che avevano compilato il miglior record stagionale della National Football League: i New England Patriots e i Denver Broncos da una parte, per quanto riguarda la American Football Conference, e i Seattle Seahawks e i Carolina Panthers dall’altra, ovvero le compagini con il record migliore della National Football Conference. Il miglior record delle rispettive conference garantiva alle summenzionate squadre un turno di riposo dall’ultima partita di regular season, in attesa che le rispettive avversarie fossero determinate dall’ordalia della wildcard, le quattro sfide senza ritorno di una settimana fa. O dentro, per far proseguire il sogno di una carriera—la conquista del Superbowl—o fuori, ovvero l’eliminazione che trascina dietro sé i rimpianti dell’occasione perduta che potrebbe anche non ricapitare più. Il programma della Lega per i divisional playoffs prevedeva ancora quattro sfide, due nella (nostra) notte di sabato, due in quella di domenica: i Seattle Seahawks avrebbero aperto le danze al Century Link Stadium contro i New Orleans Saints, scampati sette giorni fa al fuoco incrociato dell’allegra macchina da guerra dei Philadelphia Eagles di Chip Kelly, mentre successivamente i New England Patriots avrebbero ospitato gli Indianapolis Colts del rampante Andrew Luck, carnefice dei Kansas City Chiefs nel turno di wildcard. Il programma domenicale si sarebbe aperto con la sfida più equilibrata, quella tra i rampanti Carolina Panthers e i San Francisco 49ers, quest’ultimi in cerca di riscatto dopo la sanguinosa sconfitta al Superbowl dello scorso anno e già killer dei Green Bay Packers di Aaron Rodgers; l’ultimo scontro avrebbe visto i Denver Broncos di Peyton Manning opposti ai San Diego Chargers, squadra lanciatissima dopo aver eliminato i talentuosi Cincinnati Bengals. Insomma, la NFL si fa bella in vista del grande finale, mettendo in mostra i pezzi pregiati della collezione. Come consuetudine, le avverse condizioni metereologiche che caratterizzano l’inverno di gran parte del territorio statunitense non hanno attecchito quale argomento di discussione per insinuare dubbi riguardanti la possibile agibilità o meno in vista dei match (circostanza che stupisce ogni volta lo sporadico osservatore europeo), anzi per molti tifosi autoctoni “il generale inverno” è un alleato, assieme al baccano garantito di default dai tifosi che gremiscono lo stadio, per intimorire l’avversario e rivendicare invece orgogliosamente la propria appartenenza al (freddo) stato natio.

Lo chiamano "Old man winter"

New Orleans Saints 15 - Seattle Seahawks 23 “Clima monsonico” è il termine utilizzato dagli esperti per descrivere il clima di Seattle di sabato scorso. Piogge scroscianti e venti feroci hanno battuto la città dello stato di Washington per tutto il giorno, alternati a schiarite di sole. Il match tra Seahawks e Saints non poteva che risultarne alterato, con il gioco di corsa preferito all’alea del passaggio aereo. Una situazione che penalizzava maggiormente la squadra ospite, i New Orleans Saints, abituati soltanto a puntellare con il lavoro dei runningback la regia di uno dei migliori interpreti nella posizione di quarterback di tutta la Lega, Drew Brees, unico uomo a raggiungere le 5000 yards lanciate per più di una stagione (e saremmo persino a quattro in carriera con quella appena conclusa). Brees è un simbolo, un condottiero per la città di New Orleans: l’ex prima scelta da Purdue è riconoscente alla franchigia della Louisiana per avergli concesso una seconda possibilità dopo gli inizi con l’uniforme dei Chargers costellata da numerosi infortuni alla spalla, mentre la città più rappresentativa del sud degli Stati Uniti si è stretta intorno alla squadra, e al suo migliore giocatore, quando Katrina l’ha letteralmente devastata nell’agosto del 2005, resurrezione sublimata nella vittoria nel Superbowl di tre anni fa. Sulla carta, New Orleans avrebbe dovuto cercare di scalfire la fortezza inespugnabile del Century Link Stadium (lo stadio più rumoroso di tutta la NFL), alternando allo spumeggiante gioco offensivo una strenua resistenza della difesa, sensibilmente migliorata sotto le cure del defensive coordinator Rob Ryan. Invece, i nero-oro comandati da coach Sean Payton hanno scelto un approccio molto aggressivo, probabilmente spaventati dall’eventualità di venire travolti psicologicamente da uno dei team più tosti dell’intero panorama nazionale e a farne le spese è stato il miglior ricevitore degli ’Hawks, Percy Harvin, costretto ad abbandonare il campo nel primo tempo di gioco dopo i “massaggi” di Rafael Bush e Malcolm Jenkins. Il primo quarto si è rivelato una guerra di trincea, deciso dagli episodi: il kicker Steven Hauschka mette la dinamite nel piede dalle 38 e dalle 49 yards e aumenta (se possibile) l’entusiasmo del pubblico di casa; i tentativi dalle 45 e 48 yards di Shayne Graham si perdono invece nel vento. Nel primo drive del secondo quarto, Mark Ingram, runningback dei Saints, è costretto a fare la conoscenza della linea difensiva della squadra di casa: l’ex Heisman Trophy cerca la luce in fondo al tunnel seguendo i blocchi del proprio centro, ma incappa nel granitico placcaggio di Michael Bennett, che gli insegna le buone maniere e gli strappa l’ovale di mano. Fumble. Turnover Saints. Palla a Seattle in un’invitante porzione di campo: insomma, la tipica posizione che una squadra così esperta tende a punire. Bastano due azioni alla squadra diretta da Pete Carroll per varcare la linea di meta: il quarterback Russell Wilson trova Percy Harvin con un passaggio da 9 yards; con sole 15 yards rimanenti da ricoprire, spazio al motorino di Marshawn Lynch, che spacca la difesa finora superba dei Saints per il 13 a 0. Ci si chiede quali conti in sospeso abbia Lynch con la franchigia della Louisiana: nel 2011, durante il match di wildcard della NFC, il prodotto dell’università della California eruppe per una corsa da 67 yards fino in end zone, liberandosi della pressione di almeno tre avversari. L’episodio rafforzò la popolarità del soprannome appioppatogli, “Beast Mode”, che ben dipinge lo strapotere fisico che evidenzia nei momenti d’inerzia favorevole, come un novello Hulk. Quella partita destò scalpore, in quanto pochi (anche tra gli addetti ai lavori) avrebbero scommesso sulla vittoria della cenerentola Seattle, ancora in ricostruzione, contro i campioni del mondo uscenti dei Saints. http://www.youtube.com/watch?v=xSZdntRnQVg La situazione a fine primo tempo è già quasi irreversibile per Brees e compagni: il gioco di corsa incoccia contro il front seven dei campioni della NFC West, nonostante la buona vena del runningback al primo anno Khiry Robinson, mentre il numero 9 è costretto alla peggior prestazione personale di sempre in un parziale, con sole 53 yards lanciate contro la “Legion of Boom”, la secondaria dei Seattle Seahawks, la più talentuosa di tutta la nazione. Come non bastasse, Hauschka conferma lo strepitoso momento di forma e fissa il punteggio finale del primo tempo sul 16 a 0. La strategia dei Saints è parsa inefficace: Seattle controlla con facilità il campo e l’attacco della squadra della Louisiana non riesce ad entrare in ritmo, per ricreare quell’atmosfera da “Mardi Gras” che solitamente accompagna le pirotecniche prove offensive degli ospiti. Coach Sean Payton non può che dare contrordine: ovale nelle mani del proprio fuoriclasse, alzando contestualmente il rischio di finire tra le grinfie della difesa avversaria. L’urlo assordante dello stadio (che presenta una copertura limitata al 70% dell’impianto, in maniera che i tifosi stiano al coperto e si debbano solo preoccupare di sbraitare, mentre i giocatori in campo subiscono inermi la variabilità degli agenti atmosferici) sostiene però la difesa dei propri beniamini, nella quale si distinguono la safety Earl Thomas e il middle linebacker Bobby Wagner, che concluderanno l’incontro con più di 10 tackle a testa. http://www.youtube.com/watch?v=wXzZcjSZBlk Tra il terzo e l’ultimo quarto, finalmente Drew Brees riesce a connettere in maniera costante con i propri ricevitori e il risultato è il touchdown di Robinson da 1 yard, che va ad impreziosire una prestazione inattesa. La susseguente trasformazione da 2 punti accorcia il punteggio sul 16 a 8. Una sola segnatura divide le compagini. Seattle non è più così sicura di vincere. Anche perché Russell Wilson, l’ottimo quarterback di Seattle che ha avuto l’onore di essere scelto sia nel draft NFL, che in quello delle Major League di baseball, fatica a produrre primi down, e il bottino di fine serata si attesterà su sole 103 yards lanciate. Carroll non sbaglia e affida l’ovale ancora alla “bestia”: i blocchi del tight end Zach Miller e del ricevitore Jermaine Kearse sono estremamente competenti e, dopo aver girato l’angolo, Lynch si invola sulla sideline per la corsa che chiude virtualmente la partita. Fa sorridere che, solo tre anni fa, Lynch era stato scaricato, più che scambiato, dai Buffalo Bills, stufi di doversi occupare delle sue bravate fuori dal campo e convinti pertanto che fosse il veterano Fred Jackson il giusto complemento da affiancare alla star del futuro, la prima scelta al draft C.J. Spiller. Pete Carroll, nell’ambiente ritenuto un “player’s coach”, ovvero un eccellente motivatore, ha valorizzato il numero 24, che ora è l’arma più pericolosa del miglior roster della NFC. Sabato è stato indubbiamente MVP del match e responsabile di ben 140 yards corse per 2 segnature. Analizzando il tabellino, stupisce l’assordante silenzio di Jimmy Graham, il miglior tight end della stagione regolare con 16 touchdown segnati, limitato ad una ricezione per 8 yards dalla copertura ad hoc dello straordinario cornerback linguacciuto Richard Sherman. http://www.youtube.com/watch?v=-raqTa170eI L’affermazione su New Orleans per 23 a 15 ha dimostrato che i Seahawks possono imporsi anche con una prestazione così così del loro quarterback, forti del fattore campo che manterranno per il Championship della NFC di settimana prossima. Toccherà all’avversaria di turno far cambiare l’idea che i campioni della NFC West sono i favoritissimi per il Superbowl del 2 febbraio prossimo. Indianapolis Colts 22 - New England Patriots 43 Da Seattle, Washington a Foxborough, Massachusetts il trasferimento è lungo, un vero e proprio coast to coast, anche se le condizioni del Gillette Stadium sono appena differenti (di poco migliori) rispetto a quelle del Century Link. Di fronte ci sono i New England Patriots della leggenda vivente Tom Brady, già 3 volte campione del mondo, e gli Indianapolis Colts di Andrew Luck, prima scelta assoluta del draft di due anni fa e predestinato fin dai tempi del college a Stanford. Il diluvio di 43 punti caduti sulla testa dei Colts, contro solo i 22 segnati, ci dice che Luck non è ancora pronto a spiccare il grande volo. O meglio: il supporting cast messogli a disposizione non è ancora in grado di permettergli di ambire al titolo. Intendiamoci, il quarterback nativo del Texas è un giocatore clamoroso, ma ha qualcosa che ricorda il primo Michael Jordan, quello che non vinceva perché non si fidava dei compagni. Il problema in questo caso non riguarda la fiducia nei colleghi, ma la pochezza offerta dal personale offensivo dei Colts ha costretto l’architetto (prima di entrare nel professionismo ha voluto concludere a tutti i costi il proprio cursus honorum a Palo Alto) a sobbarcarsi l’intero peso dell’attacco, costringendolo a vere e proprie “hero ball”, con la conseguente esposizione a rischi eccessivi per l’andamento della partita. http://www.youtube.com/watch?v=hSjKohsxU_Q L’eccesso di responsabilità l’ha immediatamente tradito nel primo drive del primo quarto, quando il cornerback dei Patriots Alfonzo Dennard ha intercettato un suo passaggio, riportandolo fino a 1 yard dalla end zone. Dennard è il perfetto esempio della cultura che anima i New England Patriots. Il sistema della squadra del Massachusetts poggia sul rapporto quasi telepatico tra l’head coach Bill Belichick, che nell’ambiente è ritenuto pressoché un santone del gioco, e il quarterback Tom Brady, il magnifico esecutore degli ordini che giungono dalla sideline. Ma Belichick è un mago anche nel riciclare gli scarti altrui: i giocatori di talento allontanati dalle altre franchigie vengono accolti dai Patriots come figlioli prodighi, certi di poterli gestire in maniera migliore rispetto a quanto fanno gli altri. Preme nuovamente scomodare il parallelo mondo della NBA, dove i San Antonio Spurs hanno ormai stabilito un’organizzazione che si muove con una vera e propria cultura della riabilitazione, in cui il rinnegato di turno può ricevere l’occasione della vita e ambire al titolo qualora si attenga alle regole ferree unilateralmente imposte dal legislatore, il coach Gregg Popovich. A dispetto degli innumerevoli successi della riabilitazione offerta da Belichick, sono invece piovute numerose critiche in riferimento al caso che ha movimentato l’estate dei Patriots, cioè la conduzione nelle patrie galere del fenomenale tight end Aaron Hernandez, sospettato di aver materialmente ucciso un conoscente. Un colpo alla cintura che l’intera dirigenza ha dovuto assorbire, considerata la cattiva pubblicità derivante dall’accostamento della parola “Patriots” e “assassinio”. Comunque sia, tornando a Dennard: era uno dei defensive back più interessanti in uscita dal college due anni or sono. Poi si sparsero le voci di certe sue cattive abitudini tra le franchigie e così Alfonzo cadde fino all’ultimo round del draft, tra le braccia di Belichick. Ma la storia non è ancora conclusa: quest’estate l’ex prodotto dell’università di Nebraska è stato arrestato in circostanze ancora da chiarire (Dennard ha denunciato gli ufficiali che lo hanno fermato perché, a suo dire, non si sarebbero attenuti alla regolare procedura di controllo) per guida in stato di ebbrezza ed è stato sul punto di essere tagliato da New England. Se così fosse accaduto, non avrebbe potuto giocare questo sabato e non avrebbe messo a segno i 2 intercetti che hanno concorso nell’indirizzo della partita nelle mani dei Pats. Ragazzacci, già, come il gigante LaGarrette Blount, il runningback che ha giustiziato i Colts con le tre corse ravvicinate da touchdown, a cui ha aggiunto la cavalcata da 73 yards che gli ha permesso di diventare il primo portatore di palla della storia dei Patriots con 4 segnature in una partita. A questo punto sono davvero lontani i tempi del college a Oregon, sospeso da coach Chip Kelly (oggi HC a Philadelphia) per aver sferrato un pugno ad un avversario, o a quelli più recenti di Tampa Bay, tagliato per l’ingestibile carattere e per far posto alla stella Doug Martin. http://www.youtube.com/watch?v=oZoIvHFKpyI Il cornerback Aqib Talib, già compagno di Blount ai Buccaneers, ha dichiarato a fine partita: «LaGarrette faceva le stesse cose a Tampa Bay, ma pochi lo sapevano perché la copertura mediatica di un mercato piccolo come quello di Tampa Bay è molto minore». Nella serata in cui a Brady non è stato richiesto di fare il fenomeno (quale è)—anzi l’offensive coordinator Josh McDaniels (già head coach dei Broncos, che ritroverà la prossima settimana nel Championship della AFC) ha insistito notevolmente sulla conduzione di corsa dell’ovale, considerato il successo del piano partita—altri due Patriot si sono ritagliati uno spicchio di notorietà. Il primo è Michael Hoomanawanui, cognome di chiara origine isolana e di mestiere terzo tight end nella gerarchia del team, che, grazie alle assenze di Gronkowski (infortunio) e Hernandez (già sappiamo), ha guadagnato la maggior parte degli snap nella posizione. Pur essendo un ricevitore molto mediocre, Hoo (come lo chiamano gli amici e gli addetti ai lavori che non si vogliono cimentare nello scioglilingua rappresentato dal suo cognome) è stato fondamentale per aprire le praterie di cui hanno usufruito Blount (166 yards finali), Ridley (2 TD anche per lui) e Vereen. Il secondo è Jamie Collins, un nome che a pochi dirà qualcosa. Scelto da New England al secondo giro del draft di quest’anno, il linebacker esterno ha passato gran parte della stagione a guardare i compagni dalla sideline. Poi, a causa degli infortuni dei titolari del ruolo, è stato promosso nelle ultime partite di regular season, fino alla partita di sabato sera. Il prodotto di Southern Miss (lo stesso college di una leggenda come Brett Favre) ha mostrato un repertorio completo: tackle per perdite di yards, sack sul malcapitato Luck, coperture uomo a uomo su media-lunga distanza e la ciliegina finale dell’intercetto. Se queste sono le premesse, sentiremo ancora molto parlare di lui. http://www.youtube.com/watch?v=CKizaiBvhhI Obiettivamente c’è poco da salvare nel match di Indianapolis, costretta sempre a inseguire nel punteggio e pertanto impossibilitata già soltanto nell’impostare il piano partita programmato. La vittoria pirotecnica contro i Kansas City Chiefs aveva fatto acquistare rispetto nei confronti di questi Colts. In realtà, la franchigia dell’Indiana è semplicemente incapace di correre la palla a questi livelli, sia con il runningback designato Donald Brown, sia con il punto interrogativo Trent Richardson (acquistato dai Browns a stagione in corso per aggiungere una minaccia al braccio di Luck, sabato ha totalizzato 3 corse per 5 yards…). Inoltre, la pattuglia dei ricevitori ha dimostrato che dietro l’eclettico T.Y. Hilton ci sono sì buoni prospetti, ma assai acerbi per questi livelli: Da’Rick Rogers si è visto solo per le ricezioni difettose, LaVon Brazill è stato una meteora, senza dimenticare Griff Whalen, atleta dal talento modesto che però non si è sciolto al momento della verità. Anche senza i quattro turnover provocati, Andrew Luck si sarebbe comunque trovato a lottare solo contro una formazione esperta e affiatata, che si è cucinata la difesa dei Colts, stremata dalla lunga permanenza sul campo da gioco. Tutto facile per New England, anche troppo: gli uomini di Belichick dovranno smaltire la sbornia in fretta, perché la settimana prossima l’avversario non si arrenderà così precocemente. San Francisco 49ers 23 - Carolina Panthers 10 A differenza della bufera che si abbatte sui campi del sabato, il primo scontro domenicale riceve i timidi raggi del sole di Charlotte, Carolina del Nord. Il clima mite parrebbe di buon auspicio ai padroni di casa dei Carolina Panthers, di ritorno dopo ben cinque anni di assenza dal giro che conta dei playoffs. Il nuovo corso inaugurato da Ron Rivera ha scelto come testata d’angolo il quarterback Cam Newton, un atleta stupefacente catalogabile come dual threat, ovvero una minaccia bifronte: quando mette l’aria sotto l’ovale per il lancio, oppure quando si prende cura in prima persona di avanzare il cuoio. Accanto il talento strabordante di Newton, Rivera ha costruito una linea offensiva solida, ha dotato il numero 1 di ricevitori affidabili (Smith, Olsen e LaFell) e lo ha affiancato con runningback di comprovata esperienza (il tandem Williams-Stewart, quest’ultimo malauguratamente abbonato all’infermeria). Il reparto difensivo è molto cresciuto, ma il fulcro è Luke Kuechly, straordinario linebacker dal viso serafico e dall’indomito temperamento. http://www.youtube.com/watch?v=2U9F4mnXLPQ Gli sfidanti sono i San Francisco 49ers, determinati a riprovare l’impervia scalata verso il Vince Lombardi Trophy. Nonostante il fattore campo ponesse il pronostico a favore dei Panthers, è stato chiaro fin da subito che i padroni di casa temevano oltremodo i finalisti del Superbowl dello scorso anno: nel solo primo quarto sono due le penalità a gioco fermo che hanno permesso ai 49ers di tenere vivi drive praticamente conclusi. Newton partecipa alla partenza contratta dei suoi e offre l’ovale alle braccia nerborute di Patrick Willis, uno dei tre linebacker di Frisco invitati al Pro Bowl, l’All Star Game del football. La prima scintilla è però proprio appannaggio di Carolina, che sull’asse Newton-Smith confeziona un’azione chirurgica per 31 yards fino all’endzone. È ciò che serve per siglare il vantaggio 7 a 6 Panthers nel secondo quarto. La sensazione è che la testa di serie numero 2 della NFC possa dare seguito al vantaggio con ulteriori azioni d’attacco ficcanti, ma la difesa dei 49ers arretra, non capitola nell’azione successiva, e costringe così Newton e compagni ad accontentarsi di un field goal. L’inerzia della partita è però un ninnolo da custodire con cura, altrimenti si rischia di perdere il bandolo della matassa in un nonnulla. Lo sa bene Anquan Boldin, veterano di mille battaglie, che è passato a servire Jim Harbaugh, dopo aver trionfato nel Superbowl dello scorso anno con il fratello John, head coach dei Ravens, in quello che è stato giustamente definito dalla stampa uno scontro fratricida. Nel drive da 80 yards che regala definitivamente il comando a San Francisco, Boldin è il ricevitore più cercato dal quarterback Kaepernick, che lo omaggia di tre ovali per 46 yards, oltre a subire la penalità che spinge la linea di scrimmage sulla 1 yard avversaria. A questo punto la tavola è apparecchiata e resta solo più da affondare il coltello nell’intontita secondaria della franchigia di Charlotte: Kaepernick si muove verso la sideline di destra, vede avanti a sé il tight end Vernon Davis, che compiendo un’acrobazia difficilmente ripetibile, striscia il piede sinistro prima della riga di fondocampo per regalare nuovamente il vantaggio ai vicecampioni del mondo. Dopo l’iniziale chiamata di passaggio incompleto, una seconda occhiata all’instant replay chiarisce meglio la regolarità dell’azione al giudice arbitro. Touchdown. Carolina subisce il colpo, le certezze di una squadra così giovane sono facili da far traballare e lo stesso Cam Newton viene inquadrato dalle telecamere visibilmente contrariato. http://www.youtube.com/watch?v=mODL8ESZerM È il momento per i 49ers di regalare a Jim Harbaugh il suo terzo viaggio consecutivo al Championship della NFC, impresa mai riuscita a nessun coach nell’era del Superbowl. Ovviamente ci si affida al piatto forte della casa: tre corse di Frank Gore intervallate da una ricezione del solito Boldin, prima della bomba del K.O. di Kaepernick, ancora una volta recapitata a nonno Boldin, che fa avanzare i 49ers fino alle 2 yards avversarie. Gli Dei del football sono comunque apertamente schierati e un possibile colossale pasticcio nel trasferimento di palla tra Kaepernick e Gore si risolve in una misera perdita di 2 yards. Il successivo gioco è disegnato per esaltare l’atletismo di Kaep: snap sotto il centro, finta di handoff al runningback, spostamento verso sinistra, attesa che i due Pro Bowler Staley e Iupati (rispettivamente il tackle e la guardia che agiscono sul lato sinistro) completino gli schemi di bloccaggio, infine arresto su una monetina e taglio per varcare l’endzone. La successiva esultanza è un colpo al cuore ai già debilitati tifosi dei Panthers: prima del rituale bacio del muscoloso bicipite (gesto imitato anche dalla first lady Michelle Obama in un recente incontro con il numero 7 dei 49ers, per la gioia dei fotografi presenti…), Colin si esibisce nella simulazione dell’apertura di camicia per mostrare la S di Superman, tipico vezzo per celebrare il touchdown di Cam Newton, che, curvo in panchina, può cominciare a versare lacrime amare. Il piede di Phil Dawson ritocca sul 23 a 10 per i californiani il risultato finale: i pronostici di inizio stagione sono stati rispettati, i 49ers e i Seahawks, già accaniti rivali nella NFC West division, saranno le compagini che si contenderanno il Championship di domenica prossima. San Diego Chargers 17 - Denver Broncos 24 Denver presenta la curiosa caratteristica di sorgere a un miglio di altitudine sul livello del mare, da qui l’evocativo nome di “Mile High” che porta il catino dove si esibiscono i Broncos. Un team che poggia sulle salde spalle di Peyton Manning—già in odore di santità nonostante la carriera tutt’altro che chiusa—il trentasettenne di New Orleans che alla sua sedicesima stagione tra i professionisti ha sbriciolato il record per touchdown lanciati in stagione regolare con ben 55 segnature nelle 16 presenze stagionali, rubando il primato a un altro mammasantissima come Tom Brady. Immenso. Giungono però, a poche ore dall’inizio del match, indiscrezioni per cui il mitico numero 18 potrebbe concludere la propria carriera alla fine di questi playoffs, se non ricevesse rassicurazioni sullo stato del collo operato nella offseason di due stagioni fa. Un fulmine a ciel sereno che aumenta ancora più di significato la rincorsa alla vittoria finale dei Broncos, dopo una stagione in cui solo i Seattle Seahawks hanno saputo eguagliare le 13 vittorie in regular season della franchigia del Colorado. http://www.youtube.com/watch?v=ChzLt_9llhc In città sono arrivati gli amletici Chargers di San Diego, titolari di un negativo record di 5 vittorie e 7 sconfitte ad inizio campionato, per poi virare bruscamente e infilare 5 affermazioni consecutive, tra cui il successo nella wildcard contro i favoriti Bengals. Non hanno nulla da perdere nella trasferta di Denver: si sono aggiudicati il sesto e ultimo posto per i playoffs nella propria conference all’ultima giornata disponibile e pertanto non subiscono la pressione del pronostico. Purtroppo la strategia scelta dalla banda californiana, e dall’offensive coordinator Ken Whisenhunt, è molto conservativa: il quarterback Rivers, ritornato a ottimi livelli dopo l’appannamento del 2012, fatica a trovare ricevitori liberi e le poche yards racimolate su corsa non permettono di imbastire drive credibili. La difesa dei Broncos, anche senza l’infortunato Von Miller, non rinuncia a mettere pressione sul lanciatore avversario e la premiata ditta Mincey/Phillips fa subito la voce grossa, totalizzando 2 sack. Nello specifico, Shaun Phillips realizza la più classica delle gare dell’ex: passato durante la finestra di mercato estiva dalle coste di La Jolla al freddo di Denver, cesella un’ottima prestazione con 2 sack. Scocca l’ora dell’ingresso in campo per Peyton Manning, che non delude le aspettative: i primi 2 drive sono un clinic di passaggi di lunghezza intermedia (7-15 yards), conditi dalle corse degli ispirati Knoshown Moreno e del rookie Montee Ball. In questo frangente tutti i protagonisti dell’incredibile stagione offensive dei blu-arancio sono chiamati alle armi: i tre ricevitori Demaryus Thomas, Eric Decker e Wes Welker e il tight end Julius Thomas. Proprio lui, responsabile di 12 TD in stagione, pare il maggiore indiziato per ricevere l’ovale giunto ormai nella goal line dei Chargers: invece Peyton sceglie Demaryus Thomas che realizza la prima segnatura di giornata dopo un drive da 86 yards. http://www.youtube.com/watch?v=4y7N16y7Tc8 Nel secondo periodo di gioco, il lavoro in ufficio per il ragioniere Manning è ancora più facile: 57 yards orchestrate dal maestro con beneficiario finale Wes Welker, fido scudiero di Tom Brady fino all’anno scorso, prima di passare al servizio dello storico avversario. La partita avrebbe già esito scontato all’intervallo, se Julius Thomas non si deconcentrasse—poco prima dell’intervallo—nell’ammaestrare l’ovale in end zone e permettesse l’intercetto a Donald Butler sulla palla vagante. Il 14 a 0 del primo tempo è una sonora stroncatura alla tattica attendista studiata dell’head coach Mike McCoy, che per evitare di prestare il fianco nelle prime battute all’attacco di Denver, ha dimenticato di coinvolgere i playmaker più pericolosi dell’attacco come Antonio Gates e il rookie meravilla Keenan Allen. All’insoddisfacente prestazione offensiva dei Beach Boys di San Diego si aggiungono i rumors dal locker room che vogliono Ryan Mathews, runningback da più di 1000 yards in stagione e più di 500 dal solo mese di dicembre, in forte dubbio per il prosieguo della partita a causa del riacutizzarsi del dolore alla caviglia. Da parte loro, i padroni di casa non hanno nessuna intenzione di accelerare il ritmo di una partita che dominano, anzi l’ordine dalla sideline è di controllare l’ovale il più possibile, cercando di sfruttare la facilità nel conquistare i primi down sfoggiata nel primo tempo. La difesa californiana può solo sperare di forzare nuovi turnover agli avversari (costrinse i Bengals a ben 5 cambi di possesso), ma nel frattempo non crolla sotto i colpi di un Manning piuttosto cheto. Unico vistoso neo del reparto difensivo dei Bolts è la commissione di ben 5 penalità per invasione della zona neutrale, cioè il superamento della linea dell’ovale quando i due schieramenti si fronteggiano prima dell’inizio dell’azione, dovute ad un inspiegabile calo di attenzione. È paradossale che siano proprio i Chargers, i caricatori di energia, a cercare di dare invano una scossa al tabellino, che disegna ancora un uovo nello spazio assegnato ai punti di San Diego all’inizio del quarto quarto. Serve una giocata di qualità che esalti l’inceppato sistema offensivo. Ci pensa un fino ad ora silente Keenan Allen a rubare prepotentemente la scena: la prima ricezione della partita vale il touchdown per il 17 a 7. I Broncos rispondono immediatamente con un Moreno in versione monstre che rosicchia le ultime 24 yards e allunga nuovamente il punteggio sul 24 a 7. Una menzione speciale è da riservare alla linea offensiva di Denver, ermetica nel difendere un quarterback tutt’altro che mobile come Manning e devastante nell’aprire varchi per i portatori di palla, soprattutto nella persona della guardia di destra, Louis Vasquez, anch’egli un altro grande ex della partita. http://www.youtube.com/watch?v=jys67u3Ldns Il ping pong di emozioni non si interrompe e la racchetta è sempre nelle sapienti mani di Keenan Allen, che compie un’altra spettacolare ricezione da 49 yards umiliando il cornerback Quinton Jammer (ex prima scelta di San Diego…), prima di varcare la end zone dopo un passaggio da 16 yards di Rivers. È da rimarcare la clamorosa la superiorità espressa dal prodotto dell’università della California, soltanto al primo anno di esperienza fra i pro. Il probabile rookie offensivo dell’anno non aveva convinto negli incontri pre-draft e per questo era precipitato fino al terzo giro di scelte—per la felicità della franchigia della California del sud—ma fin da subito era stato segnalato dagli esperti come possibile “steal” (miglior affare in relazione alla posizione di scelta) del draft. Per esempio, il draft guru di NFL.com, Mike Mayock, non ha mai nascosto la propria predilezione per il ragazzo, tanto da “mettere una mano sul fuoco” sul suo sicuro avvenire tra i professionisti. La speranza rimane accesa per San Diego, a cinque minuti dalla fine, quando l’onside kick susseguente alla meta di Allen viene ricoperto dalla squadra ospite, dopo un maldestro tentativo di afferrare l’ovale in volo da parte di Decker. L’incredibile rimonta dei californiani si esaurisce a 12 yards dalla linea di meta, quando il coaching staff opta per 3 punti veloci. La palla ritorna all’attacco di Denver, che mantiene l’ovale fino all’esaurirsi del tempo sul cronometro. Il tabellone del Mile High dice 24 a 17 per Denver. Domenica prossima i Denver Broncos ospiteranno i New England Patriots. Sarà ancora Peyton Manning contro Tom Brady, come ai tempi in cui il fratello più anziano di Eli vestiva la casacca di Indianapolis, per regalarsi l’ennesimo invito al Grande Ballo e ampliare un palmares ricchissimo per entrambi. I due veterani conoscono bene l’adagio per cui, nei playoffs, ogni possibilità non colta, ogni pallone non ricevuto, potrebbe essere il rimpianto di una carriera. Nessuno ti assicura che avrai diritto a una seconda chance domani. Nella post-season esiste esclusivamente l’oggi, non il domani.

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