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Valentina Buzzi
Diventare professionisti senza alcun talento è possibile?
15 feb 2023
15 feb 2023
La strana storia di Daniel McLaughlin ci dà qualche risposta a riguardo.
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Valentina Buzzi
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IMAGO / Kolvenbach
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Che cosa ha reso Tiger Woods uno dei più grandi golfisti di tutti i tempi? La domanda non è scontata ed è stata realmente rivolta da un editorialista di Golf Digest a dieci avversari del campione americano che lo hanno affrontato in diversi periodi della sua carriera. La domanda ha generato riflessioni differenti. Il connazionale Phil Mickelson ha esaltato la potenza del suo drive, Rory McIlroy la precisone dei ferri e il fantastico gioco corto, Ernie Els ha posto l'accento sulla straordinaria capacità di Tiger di andare in buca nei momenti di massima pressione. Ma dietro ai vari tentativi di spiegare cosa si cela dietro al genio di Tiger Woods sembra esserci sempre un ingrediente: il talento naturale.

Tiger Woods, dicono loro, ci devi nascere, proprio come un genio dell'arte o della musica. La pratica costante e l'allenamento quotidiano che in Woods si accompagna a una buona dose di ossessione (la stessa che lo ha portato per anni a presentarsi in campo pratica alle 4 del mattino, prima del giro finale dei grandi tornei) è solo il mezzo per esaltare una qualità innata. Quella degli avversari di Tiger Woods non è certo una teoria originale. È abbastanza diffusa infatti l'idea che i fuoriclasse siano individui privilegiati, benedetti da madre natura che li ha dotati di una predisposizione naturale verso una disciplina.

Non tutti però sono d'accordo. Nel mondo del golf, per esempio, questa convinzione, radicata nel cervello di quasi tutti quelli che seguono almeno uno sport, è stata fatta vacillare da un uomo statunitense di 30 anni che in realtà con il golf c’entra poco o nulla. Si chiama Daniel McLaughlin, vive a Portland (in Oregon) e sembra il tipo di persona a cui gli sceneggiatori delle serie TV assegnerebbero il ruolo di migliore amico del protagonista: è carino (ma non bellissimo), è simpatico (ma non sbruffone), è abbastanza alto (ma non atletico). Soprattutto: in tutta la sua vita non ha mai praticato sport.

Il golf, soprattutto, è molto lontano dall’orizzonte dei suoi interessi. E questo nonostante sia cresciuto in Georgia dove le opportunità di giocare abbondano, se è vero che a poco più di 200 km da Atlanta sorge l’Augusta National, una specie di santuario del golf dove ogni anno si disputa l’Augusta Masters, il più noto dei 4 Major del circuito professionistico. «Guardavo i tornei la domenica pomeriggio con mio fratello, che è un appassionato. Il golf era un ottimo sonnifero per le mie pennichelle del weekend, niente di più. Per il resto l’ho sempre trovato piuttosto noioso, ripetitivo e con un regolamento troppo articolato». A parte qualche lezione di tennis da bambino e la partecipazione a una corsa campestre durante il primo anno di liceo, McLaughlin e lo sport viaggiano su binari paralleli: in realtà, il suo habitat preferito è il divano, dove può vedere film horror e leggere fumetti.

Per il resto è una persona che verrebbe definita "normale", persino noiosa. McLaughlin ha una fidanzata e un lavoro stabile da fotografo commerciale che non gli consente di guadagnare grandi cifre ma almeno di gettare basi solide per il futuro. È la vita che abbiamo quasi tutti noi che lo sport lo guardiamo in televisione e che a volte, quando torniamo stanchi la sera, sembra schiacciarci il petto. Allo stesso modo quando la sera torna a casa McLaughlin sente di non essere completamente soddisfatto di una quotidianità sempre uguale e priva di grandi guizzi, verso l’alto o verso il basso. L'insoddisfazione viene fuori quando, nel 2009 fa visita al fratello in Nebraska e, mentre camminano lungo le 9 buche di un campo da golf di Omaha, arriva il momento della confessione: «Gli ho detto che non ero felice della mia esistenza, gli ho parlato dell’idea di abbandonare tutto per inseguire qualcosa con determinazione e con tutto il cuore».

Forse proprio guardando quel campo McLaughlin si convince che quel qualcosa possa essere il golf. La realtà però è molto lontana dalla sua immaginazione. Quando termina il giro di prova con il fratello (9 buche, tutte par 3), esce dal campo con uno score deprimente: 57 colpi, ovvero 30 sopra la media, un risultato che dichiara la totale mancanza di una qualsiasi predisposizione per il gioco.

Eppure, invece di scoraggiarlo, l’idea di partire da zero in questa nuova sfida lo esalta. Torna a Portland e non si nasconde: vuole abbandonare tutto a 30 anni per darsi al golf. Se è vero che gli USA sono la terra dei sogni che prendono realtà, la reazione di mamma Susie ha ben poco a che vedere con i facili entusiasmi hollywoodiani: «Quando me lo ha detto ho pensato che fosse impazzito. Non avendo mai giocato a golf credevo fosse un progetto irrealizzabile. E poi, con quali soldi lo avrebbe finanziato? Più cercava di tranquillizzarmi e più la mia ansia saliva».

Chi invece sostiene il colpo di testa di McLaughlin sono i gli amici e i colleghi che gli regalano alcune letture motivazionali sul coraggio di cambiare vita e scegliere la propria felicità. Tra i libri che arrivano sulla scrivania di McLaughlin c’è anche il bestseller di Malcolm Gladwell (firma del New Yorker) dal titolo Fuoriclasse, storia naturale del successo (in inglese Outliers: the story of success). Al suo interno si fa riferimento alla cosiddetta "teoria delle 10 mila ore" elaborata da K. Anders Ericsson, professore di Psicologia della Florida State University.Pescando tra alcuni esempi di fuoriclasse - dai Beatles a Bill Gates – si dimostra come siano riusciti a eccellere nel loro campo non tanto grazie al talento e a circostanze fortunate (sì, certo servono anche quelle), ma soprattutto grazie a un esercizio costante, un’intensa pratica della durata per l'appunto di almeno 10mila ore.

La lettura della teoria di Ericsson è la miccia che accende la forza di volontà di McLaughlin che inizia a darsi al golf giorno e notte. No, questo è solo un modo di dire: in realtà il progetto iniziale prevede sei ore al giorno per sei giorni alla settimana per sei anni per un totale di circa 10mila ore, per l'appunto. A guidarlo la convinzione di aver finalmente trovato la risposta che tutti gli appassionati di sport in fondo si chiedono: è possibile diventare un campione partendo da zero? «Annunciare la mia idea ad amici e parenti non mi bastava. Sentivo il desiderio di espormi e così l’ho resa pubblica attraverso la creazione di un blog che ho chiamato “The Dan Plan”. A quel punto, non avrei più potuto tirarmi indietro».

La sfida e il bisogno personale di McLaughlin vengono quindi travestiti da esperimento scientifico. L'idea, un po' folle, è che riuscendoci forse sarebbe stato riconosciuto come l'uomo ad aver finalmente trovato il Sacro Graal dello sport, ovvero il numero esatto di ore dopo cui tutti potrebbero diventare golfisti professionisti, anche chi, come lui, non ha mai preso un drive in mano. Se ci pensate è la più democratica delle idee: se McLaughlin riuscirà a non crollare allora sarà il concetto di talento, insieme alla sua crudele distinzione tra "chi ce l'ha e chi non ce l'ha", ad averlo fatto. Seppellito sotto una montagna di palline.

Il golf sembra la disciplina ideale per dare corpo a questo progetto: è uno sport apparentemente democratico, almeno da un punto di vista atletico, perché non richiede particolari doti fisiche come il basket, l'atletica o il nuoto. I golfisti sono alti e bassi, snelli e tarchiati, giovani e vecchi e chiunque, in teoria, può diventare un maestro dei green una volta appresi i principi base della tecnica. Ma McLaughlin, conoscendo poco il golf, ignora due cose non indifferenti: innanzitutto, l’essenza quasi miracolosa dello swing (il movimento con cui si colpisce la palla) che è il frutto di un ingranaggio complesso di elementi diversi: impugnatura, allineamento, rotazione del busto, inclinazione della mazza. Su dieci palline, persino Tiger ha dichiarato più volte di riuscire a colpirne perfettamente solo cinque o sei.

L'altro fattore è quello che lo scrittore Dino Buzzati ha definito (nel piccolo compendio dedicato al gioco del golf) "anarchica individualità della pallina" che, in sostanza, la spinge ad andare un po’ dove le pare. Insomma, per praticare il golf non ci vorrà un gran fisico ma serve tanta tecnica e, di fronte a questa evidenza, il proposito di McLaughlin di fare tutto da autodidatta tramonta velocemente. Decide così di rivolgersi a un allenatore, Christopher Smith. L'incontro, a dire la verità, non inizia sotto il migliore degli auspici. Smith infatti trova offensivo che qualcuno voglia realizzare in sei anni quello che lui non è riuscito a fare in una vita intera. Solo con la sua incrollabile ostinazione, McLaughlin conquista il beneficio del dubbio dell'istruttore che accetta di incontrarlo ogni domenica per dargli lezione. Nel resto del tempo, dal lunedì al venerdì, McLaughlin si esercita da solo. Oltre allo scetticismo del suo allenatore, McLaughlin deve anche affrontare l'incomprensione della sua famiglia, che è tutto fuorché entusiasta della sua fissazione di passare sei anni della sua vita a cercare di confermare la validità di una teoria. Soprattutto non accetta che la prevedibilità della sua vita borghese sia stata interrotta da un obiettivo così naïf. Oltre al tempo, infatti, McLaughlin dà fondo anche ai suoi soldi, rifiutando le sponsorizzazioni e accettando solo donazioni da privati, che però sembrano avere meno entusiasmo di lui (solo in 42 aprono il portafogli per sostenere il "Dan Plan"). McLaughlin si finanzia principalmente attraverso un fondo che aveva messo da parte per completare gli studi e che invece sarà utilizzato per pagare iscrizione al club, attrezzatura, lezioni e tutto quel che può servirgli a diventare un golfista professionista. Tutto pur di completare le 10mila ore di pratica: non un minuto di più, non un minuto di meno.

È il 5 aprile del 2010 quando McLaughlin azzera il cronometro della sua vecchia esistenza e fa partire quello delle 10milaa ore. Ogni cosa (esercizi, progressi, frustrazioni, contrattempi fisici) viene documentata sul suo blog, dove si presenta come evangelista del duro lavoro. Nelle prime righe del suo diario digitale, lancia il guanto di sfida a Charles Darwin e a quasi 150 anni di teorie evolutive: «Basarsi sulla genetica e sul talento naturale è come vivere in una società di re e principi, solo in pochissimi possono vantare di averlo. Ma se abbiamo il coraggio di non limitarci a questa visione, allora la vita diventa più simile a una democrazia, in cui chiunque sia disposto a lavorare e a sacrificarsi può avere successo».

Per settimane intere, McLaughlin non fa nient'altro che esercitarsi con il putt sul green; poi, a poco a poco, si allontana progressivamente dalla bandiera e inizia a prendere confidenza con ferri e drive. Passano diciotto mesi quando arriva il momento di verificare se, effettivamente, è diventato più o meno bravo degli altri nel suo primo round completo, in una gara amatoriale. Finisce quarto su 30 partecipanti, un risultato sorprendente considerando che sono passate solo 1.776 ore delle 10mila previste. Anche il suo handicap fa passi da gigante: nel 2014, a soli 4 anni dall'inizio della sua avventura, arriva al minimo storico di 2,6. Numeri che solo il 6% dei golfisti amatoriali può vantare. I media nazionali iniziano a fiutare l'odore di epopea e si avventano su una vicenda che mescola lo sport, la ricerca scientifica e il riscatto offerto dalle seconde possibilità.

Ma a rimanere affascinati dal Dan Plan non solo giornali e televisioni. Anche la scienza lo prende in carico come un caso di studio: un articolo apparso nel 2013 sul Time descrive McLaughlin come «un topo da laboratorio in forma umana» e rivela che alcuni psicologi della Florida State University stanno analizzando i numeri, registrati day by day sul blog dell'aspirante golfista, per valutare gli effetti della pratica intensiva a lungo termine negli adulti e nei bambini.

Tra i suoi osservatori più curiosi c'è Robert Bjork, professore di psicologia cognitiva presso l'Università della California, ed ex giovane aspirante golfista: si sente così coinvolto dalla vicenda da mettersi a bordo di un aereo per andare a vedere McLaughlin in azione, durante un match, nel 2014. «Quando l'ho visto dal vivo mi sono detto: posso guardarlo e pensare che stia facendo qualcosa di straordinario per qualcuno che non ha mai giocato prima. Oppure, posso guardarlo e pensare che la sua idea di sbarcare un giorno sul tour professionistico sia del tutto irrealistica». Ma non ci si precipita a una gara di golf amatoriale, dopo qualche ora di volo, solo per soddisfare una curiosità scientifica. Cosa c'è di così irresistibile nel Dan Plan? E perché sembra smuovere qualcosa dentro le persone che iniziano a prestarci attenzione? Probabilmente la risposta ha a che fare con il rimpianto. Lo stesso Bjork, da giovane, era una promessa del golf, si era classificato tra i migliori amateur del Minnesota e pensava di dedicarsi a tempo pieno allo sport dopo aver conseguito la laurea. Ma, temendo la leva del Vietnam, si era poi iscritto alla scuola di specializzazione. Dan McLaughlin è la proiezione dell'altra vita di Bjork, quella accantonata in un angolo e mai vissuta.

Come in ogni romanzo di formazione che si rispetti c’è anche il momento in cui tutto sembra svanire. A McLaughlin capita nel maggio del 2011: è reduce da un periodo fantastico sui green ma, proprio nel pieno della stagione primaverile, capisce di essere allergico al polline e la sua condizione fisica precipita. Per un periodo deve allontanarsi dai campi: niente più palline, né campo, né sole. Poi arrivano le difficoltà economiche: quando la sua iscrizione gratuita a un club di alto livello scade, si unisce a un circolo più economico, dove però battaglia con giocatori di basso profilo che non lo aiutano a migliorare la sua tecnica. Aggiungiamo un altro dato: secondo le stime del PGA, per ognuno dei 245 posti del Tour professionistico, ci sono 326.000 giocatori di golf attivi in tutto il mondo, che combattono a suon di drive per entrare a far parte del gotha del golf. La competizione, insomma, è sterminata, e McLaughlin non può contare su nessuno se non su sé stesso, tanto meno sul fondamentale staff che segue ogni giocatore professionista (lui non lo è ancora e, in ogni caso, non potrebbe permetterselo).

McLaughlin prova comunque a reagire, convincendosi che non ha alternative se non proseguire. Resiste altri quattro anni prima di arrendersi a un nemico che, forse, non aveva nemmeno preso in considerazione e che, invece, ha minacciato o posto fine alla carriera di tanti golfisti, Tiger Woods compreso: la schiena.

Dopo 6.003 ore di golf, McLaughlin ha dolori diffusi che gli impediscono di praticare. Questo è il riassunto degli ultimi post pubblicati sul suo blog tra il 27 aprile e il 2 maggio 2015: «Brutta settimana. Ho fatto una visita dal chiropratico e mi ha consigliato un paio di trattamenti. Ho fatto il primo lunedì, poi sono tornato nel suo studio mercoledì. Poi, mi sono beccato un virus che mi ha messo completamente fuori combattimento. Ho programmato le prossime sedute, ma ora è meglio rimettersi in salute che rischiare un infortunio più profondo. Tra un paio di settimane, dovrei essere almeno in grado di usare chip e putt. Spero». Sono queste le ultime parole che McLaughlin affida al suo sito, anche se formalmente non ha mai messo la parola fine all'esperimento. Lui dice di essersi seduto davanti al computer almeno un centinaio di volte per comporre il post di addio al Dan Plan, ma di non sapere cosa scrivere. E se in fondo volesse riprenderlo in mano? Forse McLaughlin sente che la sua storia con il golf non è ancora terminata, forse, compiuti i 50 anni, sogna di accedere al Senior Tour.

Nel frattempo però McLaughlin è diventato qualcosa di molto diverso da un golfista professionista. Alla soglia dei 45 anni è tornato a vivere nell’Oregon e ha lanciato una nuova attività imprenditoriale legata alla produzione artigianale di bevande analcoliche. E c'è da dire che, all’interno di questa nuova quotidianità, il Dan Plan non lo ha del tutto abbandonato. Negli Stati Uniti, infatti, è rimasto una celebrità e per anni è stato invitato come ospite in trasmissioni TV e conferenze (tra cui Chicago Ideas, una sorta di Ted Talks) a raccontare la sua incredibile vicenda che è anche racchiusa all’interno di volume (ancora disponibile su Amazon), dove sono raccolti i post pubblicati sul suo blog nei primi 4 anni di esperimento. Nella prefazione, si legge che il libro è “dedicato ai sognatori, a chiunque abbia il coraggio di fare qualcosa prima considerato impossibile”.

Per certi versi, quello di McLaughlin può essere considerato un interessante esempio di serendipità, quella forza misteriosa e casuale che ti porta a scoperte inaspettate: se Dan era partito con l’idea di diventare un golfista professionista, alla fine si è ritrovato a diventare una figura di riferimento e di ispirazione per tante persone, cogliendo la sua vera vocazione: «Penso che ognuno di noi debba avere il coraggio di non bistrattare gli obiettivi più folli e ambiziosi, ma al contrario metterli al centro della propria esistenza. Per esperienza personale ho capito che si vive molto meglio non solo quando si ha un obiettivo, ma un obiettivo straordinario da realizzare: per qualcuno può essere partecipare a una maratona, per qualcun altro dar vita a una start-up o consegnare a una casa editrice la bozza di quel libro che per anni è rimasto chiuso nel cassetto». Alla fine non era questo che voleva, dimostrare un punto a tutti? Se ci pensate è questo che fa oggi, anche se con libri e conferenze più che con il proprio esempio personale.

Certo, non è esattamente il golf professionistico ma per McLaughlin sembra essere comunque meglio che lavorare in un centro commerciale. “Il golf ha cambiato completamente quello che sono. Mi ha portato in tanti posti diversi e fatto conoscere moltissime persone fantastiche. Quasi tutti i miei migliori amici adesso sono legati al golf e potrò praticare questo sport per il resto della mia vita”. A McLaughlin è stato chiesto più volte se si sia mai pentito di essersi imbarcato in questa avventura, di aver dedicato anima e corpo al golf per sei anni, di aver esaurito tutti i risparmi, di aver scompigliato la pace familiare, mettendo in pericolo i buoni rapporti con i genitori, in definitiva per niente. La risposta è stata interessante: secondo McLaughlin il problema è stato aver atteso troppo a lungo per iniziare a usare il driver, errore che ha pesato molto sulle chance di diventare un professionista dei green. Quindi, forse, con un pochino di attenzione in più la regola delle 10mila ore potrebbe davvero essere applicata? La domanda continuerà a vagare di mente in mente prima che cada di nuovo in una persona per cui volere è potere.

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