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Il disastro dello United raccontato dalle facce di Solskjaer
26 ott 2021
26 ott 2021
L'allenatore norvegese non sempre ha la faccia che ci si aspetta in momenti come questo.
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Cosa c’è di peggio di subire cinque gol in casa dal tuo rivale storico, un risultato così catastrofico da non essere stato mai accaduto prima in quello stesso stadio, un passivo così pesante da dover tornare al 1895 per trovarne uno peggiore contro il Liverpool, così assurdo e impensabile da non essere stato nemmeno mai concesso ad Anfield, subendo, se tutto questo non bastasse, una tripletta all’Old Trafford per la prima volta nella storia della Premier League?


 

Se non siete tifosi del Manchester United starete già pensando a disgrazie peggiori di quelle che possono capitare su un campo di calcio - a una malattia, a essere investiti da uno dei fiumi di lava sull’isola di Palma, alla sabbia nella pasta con le vongole - ma se lo siete allora vi sarà immediatamente venuta in mente una cosa. E cioè vedere il Liverpool banchettare sulla salma della tua squadra, magari dal vivo, tanto da spingervi a imboccare l’uscita di Old Trafford già alla fine del primo tempo, quando Salah era ancora fronte a terra ringraziando Allah per la fortuna immensa di aver segnato due gol (il terzo sarebbe arrivato pochi minuti dopo: lo sentirete in radio, in macchina, perché in fondo ancora ci credevate), tornare a casa dopo aver incontrato pure il traffico delle altre migliaia di tifosi che hanno avuto la vostra stessa idea, aprire Twitter e ricordarvi che il vostro Manchester United è rappresentato da un allenatore con questa faccia.


 



Sono il primo ad essere cosciente della crudeltà gratuita di ridere della faccia di Solsksjaer oggi, dopo una delle sconfitte più umilianti della storia della Premier League. E di farlo a partire di uno screenshot casuale e fuori contesto che sicuramente non ha nulla a che fare con il reale stato d’animo dell’allenatore del Manchester United in quel momento. Ma non è colpa mia, o vostra, se Solksjaer ha sempre quell’aria da persona che è finita lì per caso, che guarda di soppiatto gli allenatori avversari per capire come farebbero loro, al posto suo.


 


"Cosa farebbe Dean Smith al posto mio?" (Foto di Andrew Powell/Liverpool FC via Getty Images)


 

Ovviamente non sto sto sostenendo che Solskjaer sia finito davvero lì per caso. Non è mia intenzione dimostrare con questo pezzo la sua inadeguatezza ad allenare a certi livelli, come pure i suoi detrattori più cinici dicono. Il suo lavoro in questi tre anni al Manchester United è stato più bistrattato di quanto forse meriterebbe. Da quando si è seduto sulla panchina, i “Red Devils” sono tornati a qualificarsi per due volte consecutive in Champions League (prima con il terzo posto, poi con il secondo), qualcosa che non succedeva dall’estate del 2013 - da quando, cioè, Sir Alex Ferguson si era ritirato dal mondo del calcio.


 

In un lungo pezzo su The Athletic Adam Crafton e Laurie Whitwell hanno giustamente sottolineato come Solskjaer abbia cercato di ricostruire l’identità del club seguendo la sua storia, e quindi i passi di Alex Ferguson. L’allenatore norvegese ha promosso Kieran McKenna, ex allenatore delle giovanili, e Michael Carrick ad assistenti, facendogli condurre gli allenamenti sul campo, e si è concentrato sulla costruzione del gruppo, che, a quanto si dice, è quasi tutto dalla sua parte (o almeno lo era dopo la disfatta di Liverpool). Era una ricetta che fino a poche settimane fa sembrava funzionare. Certo, anche nelle scorse stagioni c'erano stati dei momenti di imbarazzo (per esempio l'assurda sconfitta per 1-6 contro il Tottenham circa un anno fa), ma nonostante le difficoltà il Manchester United era diventato una squadra con una sua coerenza tattica e che se non è riuscita a conquistare un trofeo è stato solo per la crudeltà dei calci di rigore (lo scorso anno, in Europa League, contro il Villarreal).


 

Detto questo, non faccio io le regole della società dell’informazione. I meme continueranno ad esistere che ci piaccia o meno, e purtroppo (per lui) o per fortuna (per noi che possiamo permetterci il lusso di riderne) la faccia di Solsksjaer sembra essere fatta per stare sotto il nickname di Mr Nobody, il troll che l’ha messa sul corpo di Henry Cavill nel celebre meme in cui Jason Momoa con la faccia di Zidane sta per atterrarlo da dietro.


 




 

Solskjaer è sempre stato definito dalla sua espressività, già prima di diventare un allenatore. Da calciatore veniva definito “

” per l’apparente e inquietante innocenza con cui toglieva la vita alle difese avversarie. Oggi che però non ha più alcun potere di incidere direttamente sulle sorti di una partita, la sua espressione inconsapevole è diventata il simbolo di una presunta mancanza di comprensione dello spettacolo che si svolge davanti ai suoi occhi. E tanto più è drammatico lo spettacolo, tanto più la sua faccia assomiglia a

del cane che, con la cravatta annodata al collo e seduto al computer con le zampe sulla tastiera, dice “

”. Nel contrasto tra le due cose c’è la disperazione dei tifosi del Manchester United.

 

Purtroppo per loro, lo spettacolo non è mai stato così drammatico. Il Manchester United ha perso cinque delle ultime dieci partite giocate, di cui le ultime due di campionato, subendo complessivamente nove gol. La discesa agli inferi è iniziata a metà settembre, con la scioccante sconfitta in Champions League in casa dello Young Boys, dove Solskjaer aveva provato un bislacco 4-3-1-2 a rombo, con Ronaldo e Sancho davanti. Il peggio, però, doveva ancora venire.


 

Lo United infatti tornerà a perdere alla fine di settembre, contro il West Ham in coppa di Lega, e poi in campionato e di nuovo in casa, contro l’Aston Villa. La vendetta striminzita della scorsa finale di Europa League contro il Villarreal in Champions è stata, poi, una breve pausa delle montagne russe, poco prima del salto nel vuoto finale. Di lì a poco infatti è arrivato prima lo scialbo pareggio casalingo contro l’Everton e poi il disastro di Leicester, dove la squadra di Solskjaer ha perso rovinosamente una partita che era riuscita a pareggiare all’82esimo.


 

Una sconfitta che, inevitabilmente, ha finito per essere riassunta su Twitter da una faccia di Solskjaer, che nel frame in questione sembra provare un misto di disappunto e piacere. Un uomo che si ricorda di essere l’allenatore del Manchester United un attimo prima di esultare al pensiero di avere Vardy e Daka al fantacalcio.


 



Ovviamente è assurdo pensare che un allenatore provi godimento per la sconfitta della propria squadra, ma è anche difficile trovare qualcosa che comunichi meglio l’autolesionismo del suo Manchester United. Questo forse è il paradosso più crudele dell'espressività di Solskjaer - una bravissima persona secondo quasi tutti quelli che hanno avuto a che fare con lui (nel pezzo di The Athletic citato poco sopra si dice che è uno dei pochi ad essere riuscito ad andare d'accordo sia con Ferguson che con Roy Keane) condannato ad avere una faccia che sembra ogni volta confermare tutti i peggiori pregiudizi che girano su di lui e le facili interpretazioni che ne derivano. Prendete la stessa copertina di questo articolo: Solskjaer fissa Salah con un misto di odio e di confusione, come se avesse scoperto dell'esistenza di uno dei più forti attaccanti al mondo solo al suo terzo gol e lo stesse maledicendo per aver scoperto il suo bluff. Ovviamente questo è ciò che noi vediamo nella foto e non la realtà, eppure la faccia dell'allenatore norvegese sembra aver assunto esattamente la forma di questa interpretazione. E se il viso di Solskjaer avesse vita propria e stesse cercando di farlo fallire?


 

In ogni caso, nelle ultime settimane le cose per lui si sono messe male anche al di là dell'interpretazione che possiamo dare noi delle sue foto. Tutto ciò su cui Solskjaer aveva ricostruito lo United si sta rivoltando contro di lui, come se nei mesi precedenti non avesse fatto altro che costruirsi la trappola in cui adesso si sta mettendo lui stesso con il sorriso sulla faccia, mentre saluta qualcuno in tribuna facendo segno che è tutto sotto controllo.


 


Foto di Matthew Peters/Manchester United via Getty Images


 

Prendete, ad esempio, la sua ossessione nel voler seguire le orme del suo mentore, Ferguson. Il leggendario allenatore del Manchester United non è mai stato presente come in queste ultime settimane, e non sempre nel migliore dei modi. Dopo il deludente pareggio contro l’Everton, ad esempio, il dibattito si è focalizzato su Cristiano Ronaldo, che non era partito tra i titolari per la prima volta da quando era arrivato a Manchester. CR7 è entrato nel secondo tempo solo per vedere Townsend esultare per il pareggio facendogli il SIUUU in faccia e uscire rabbuiato dal campo immediatamente dopo il triplice fischio. Ecco, dopo quella partita, Ferguson si è fatto riprendere mentre chiacchierava con Khabib Nurmagomedov (cosa già strana di per sé) mentre gli diceva, in riferimento alla decisione di Solskjaer su Ronaldo, che «dovresti sempre far partire titolari i tuoi miglior giocatori».


 

Domenica, invece, mentre il Manchester United faceva la stessa fine di Conor McGregor contro il fighter daghestano, Ferguson assisteva con la faccia di chi sta guardando un orso polare mentre divora i suoi cuccioli.


 


 

Ferguson, appunto, non è l’unico fantasma tornato dal passato per infestare il presente di Solskjaer. L’altro, forse l’avrete capito, ha il corpo cosparso di olio di mallo e una cronica predisposizione a tirare da qualsiasi posizione di campo. Che Ronaldo potesse essere un problema per il Manchester United se n’era già iniziato a discutere prima della disfatta con il Liverpool. Michael Cox, in un pezzo molto discusso su The Athletic, aveva sottolineato come il suo disinteresse quasi totale alla fase di pressing ponesse incognite tattiche troppo grandi per l’allenatore norvegese.


 

Ronaldo, stando ai dati aggiornati a dopo la sconfitta con il Leicester, risultava di gran lunga il peggior attaccante della Premier League per numero di pressioni effettuate (2.7 per 90 minuti, cioè poco più della metà del valore del penultimo, Saint-Maximin, che si attesta sui 5.2) con effetti a cascata sulla solidità difensiva dello United. Ovviamente è un discorso complesso, in cui si dovrebbe mettere sulla bilancia anche l’incredibile numero di gol che Ronaldo garantisce, ma questo non è il pezzo in cui lo affronteremo fino in fondo. Questo è il pezzo in cui trovate una video di Solskjaer che reagisce come Michael Scott all’ennesimo tiro di Ronaldo che è finito fuori dallo stadio.


 


Che Ronaldo potesse rappresentare la fine di Solskjaer era chiaro anche a un livello più epidermico. Ieri, su Twitter, è comparso

che sembra dimostrare la mancanza di rispetto di CR7 per il suo allenatore. Sono in realtà due video messi uno accanto all'altro che teoricamente potrebbero non c'entrare niente uno con l'altro: a sinistra c'è Solskjaer che rotea le mani alla rinfusa come la migliore gif di Walter Mazzarri, a destra Ronaldo che fa gesti molto simili, forse addirittura nella stessa partita. CR7 sta imitando Solskjaer, lo sta prendendo in giro? Non abbiamo risposte dirette a questa domanda, ma è un fatto che negli occhi di molti esista

.

 

Forse anche in questo caso ha pesato il fatto che il loro rapporto sia stato segnato fin da subito da una foto facilmente fraintendibile: Ronaldo che, tornato a Manchester, entra per la prima volta nell'ufficio di Solskjaer, lo squadra con lo sguardo di chi sa che non durerà a lungo, mentre l'allenatore norvegese prova a rabbonirlo istruendolo con l'indice. Sembra dirgli, facendo un occhiolino alla René Ferretti: "Mi raccomando, non facciamo che finisci per mettermi i piedi in testa, sarebbe gravissimo".

 





 

Domenica, però, Cristiano Ronaldo è stato l’ultimo dei problemi di Solskjaer. Il Liverpool è sembrato semplicemente giocare ad un altro sport rispetto al Manchester United, una squadra rimasta a un livello di complessità troppo basso rispetto a quello dei suoi avversari. Il Liverpool l’ha manipolata con e senza palla, arrivando davanti alla porta con una facilità disarmante, come succede nelle amichevoli estive contro le rappresentative locali. E così, mentre Maguire e Shaw non riuscivano a capire come dividersi la difesa del fronte d’attacco avversario, Salah poteva penetrare senza alcuna opposizione, come ha scritto Barney Ronay sul Guardian, «al centro di quella sostanza morbida, malleabile e permeabile chiamata Manchester United».


 

Mentre il massacro andava in scena, davanti alla faccia sempre più accartocciata di Solskjaer si sono presentati a turno tutti i suoi fantasmi. Prima con la beffa del gol della bandiera annullato a Cristiano Ronaldo per un fuorigioco di pochi centimetri. Poi l’espulsione di Pogba per il brutto fallo su Keita, che l’ha costretto a fare di nuovo affidamento a quella panchina che è forse lo specchio più fedele di tutti i nodi della sua gestione. Già il fatto che Pogba fosse entrato in campo solo alla fine del primo tempo dovrebbe essere indice di qualcosa che non va, ma dopo la sua espulsione ad alzarsi è stato Edinson Cavani, finito ai margini della rosa dopo essere stato il miglior attaccante della scorsa stagione (ricordate?).


 

A guardare dalla panchina, invece, oltre a Jadon Sancho che ci è rimasto seduto per l’ennesima volta, stona anche la presenza di Donny van de Beek, che per una volta forse è stato contento di rimanere a guardare i suoi compagni da bordo campo. Le ultime partite, però, l'olandese l’aveva presa con meno filosofia: in Champions League, contro il Villarreal, si era messo in mano la gomma che stava masticando e l’aveva lanciata verso Solksjaer, che nel post-partita si era affrettato a spegnere l'incendio. «Quando ero piccolo mi dicevano sempre di non ingoiare la gomma da masticare», ha dichiarato l’allenatore norvegese «Probabilmente ha seguito il consiglio del suo allenatore e quindi non ho assolutamente nulla di cui preoccuparmi. D’altra parte, cosa avrebbe dovuto fare? Passarla a qualcun altro?».


 

Questi sono i momenti in cui l’espressione serafica di Solskjaer in panchina coincide perfettamente con il suo modo di fare, che è incredibilmente simile a quella del cane che, tra le fiamme, sorseggia una tazza di caffè e dice alla telecamera “This is fine”.


 

Domenica, però, la situazione era troppo grave per fare finta di niente. Al fischio finale, quindi, Solskjaer ha prima offerto agli spalti la sua espressione più corrucciata possibile, proprio come uno che è perfettamente cosciente del fatto che la sua faccia non sempre è quella che ci aspetterebbe e che si stesse sforzando tantissimo per apparire il più triste possibile.


 


Foto di Alex Livesey - Danehouse/Getty Images


 

Poi, salutando flebilmente con la mano come un uomo che se ne sta andando dal funerale di sua madre, è uscito da un Old Trafford semivuoto in cui si sentivano solo i tifosi del Liverpool. Il settore ospiti, scimmiottando un coro dei tifosi dello United, cantava Ole’s at the wheel (letteralmente: Ole è al comando) ballando sulle gradinate. Sembrava una scena da fine dell’impero se non fosse stato che Solskjaer, invece di andarsene tristemente con la macchina come in un film noir, si è fermato diversi minuti fuori dallo stadio a firmare cappellini e a fare selfie con i suoi tifosi come se nulla fosse. Poco prima, davanti ai microfoni, in uno scatto d'orgoglio aveva dichiarato: «Credo di essere vicino a quel che voglio da questo club».


 

Il giorno dopo, cioè ieri, la realtà però si è scontrata sulle sue parole. I vertici sportivi del Manchester United, infatti, si sono riuniti per discutere di un suo eventuale esonero ed è iniziata a circolare la notizia che il club stesse pensando come suo sostituto ad Antonio Conte, forse l'allenatore più impegnato a mostrarsi inferocito con i suoi giocatori della storia del calcio. Secondo alcuni giornali, dopo l'ultima sconfitta con il Liverpool, Solskjaer avrebbe anche perso la fiducia nello spogliatoio, non più convinto che il suo allenatore sia ancora all'altezza del compito per il quale è stato chiamato.


 



 

Inevitabilmente, i tabloid si sono gettati a capofitto sulla sua faccia. Forse il più cattivo di tutti è stato il Daily Mail che, accanto al titolo a caratteri cubitali "LOST THE PLOT" ("Ha perso il filo", più o meno), ha messo una delle sue espressioni più strane e al tempo stesso rivelative di cosa noi vogliamo vederci. In questo caso: la confusione di un allenatore che cerca di chiudere gli occhi per ritrovare il bandolo della matassa dentro di sé, ma anche un velato senso di sollievo per la fine di questo lungo travaglio. Insomma, la liberazione di un uomo che non dovrà più ritrovarsi giorno dopo giorno a fingere di essere all'altezza di un lavoro per cui non è portato.


 

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