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Foto di Robbie Jay Barratt - AMA / Getty Images
Premier League Dario Saltari 5 novembre 2020 7'

Diogo Jota sta portando il Liverpool all’estremo

Oltre la tripletta all’Atalanta c’è di più.

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Fino a martedì quella di Diogo Jota era conosciuta più come la storia di un bene di scambio che come quella di un vero e proprio calciatore. Un nome che conoscevamo principalmente in relazione agli scambi interni all’universo di Jorge Mendes, che sembrava spostarlo di squadra in squadra solo per accrescerne il valore. Prima l’Atletico Madrid (dove però non ha mai giocato), poi il Porto, infine il Wolverhampton – il suo piccolo angolo di Portogallo in Inghilterra. Unica eccezione, non trascurabile per un giocatore portoghese: Diogo Jota è cresciuto al di fuori dei vivai delle tre grandi squadre lusitane – Benfica, Sporting e Porto – nel piccolo Paços de Ferreira, dove il 20 febbraio del 2015, a 18 anni, ha esordito nel massimo campionato nazionale. In panchina un certo Paulo Fonseca.

 

Per il resto di Diogo Jota conoscevamo al massimo gli esorbitanti e apparentemente inspiegabili prezzi del suo cartellino – 14 milioni di euro quando è passato dall’Atletico Madrid al Wolverhampton, addirittura 45 quando a fine settembre è stato acquistato dal Liverpool. Ci chiedevamo cosa se ne facesse la squadra di Klopp, che di certo, con Minamino, Origi e Shaqiri, non mancava di seconde linee in attacco. Certo, nella sua carriera c’erano state alcune ottime stagioni – soprattutto la 2017/18 da 17 gol e 6 assist in Championship, che ha segnato il ritorno del Wolverhampton in Premier League – ma nulla che giustificasse quei prezzi. Giusto?

 

 

Poi, all’inizio di questa stagione, le nostre certezze hanno iniziato a scricchiolare. Klopp lo fa esordire in Premier League con la maglia del Liverpool alla seconda giornata di campionato a dieci minuti dalla fine, contro l’Arsenal, e Diogo Jota segna il 3-1 finale. Sembra un qualcosa di temporaneo, un fulmine a ciel sereno, e invece l’attaccante portoghese è nell’undici titolare pochi giorni dopo, sempre contro l’Arsenal, in Carabao Cup. Esigenze di calendario, evidentemente, la necessità di gestire le forze. E invece Diogo Jota è titolare anche nella partita successiva in Premier League, contro l’Aston Villa, che il Liverpool perde 7-2. C’è la pausa delle nazionali.

 

Prima di questa stagione, Diogo Jota ha giocato appena 26 minuti in Nazionale maggiore. Contro la Francia, l’11 ottobre, entra a mezz’ora dalla fine. Tre giorni dopo, con la Svezia, fa la sua seconda partita da titolare in assoluto con la maglia della Seleçao: segna due gol e serve un assist. Manca poco prima che l’onda del suo stato di forma arrivi anche a Liverpool. Due partite, per la precisione, contro Everton e Ajax, in cui Diogo Jota entra a una manciata di minuti dalla fine senza incidere. Poi il diluvio. Jota segna il 2-1 contro lo Sheffield, poi apre le marcature contro il Midtjylland, in Champions League, mentre Firmino lo guarda dalla panchina, forse pensando ancora che non ci sia nulla di cui preoccuparsi. Ma l’attaccante portoghese segna ancora: il decisivo 2-1 contro il West Ham, dopo essere entrato a 20 minuti dalla fine sostituendo proprio Firmino, e poi ovviamente la tripletta di martedì contro l’Atalanta.

 

Domenica il Liverpool gioca contro il Manchester City e la questione se al centro dell’attacco della squadra ci debba giocare lui o il numero 9 brasiliano è diventata improvvisamente reale. «Il mondo è davvero un brutto posto», ha dichiarato Jurgen Klopp dopo la partita con l’Atalanta, «Nel momento in cui qualcuno brilla, subito si parla male di qualcun altro, anche se ha giocato 500 partite di fila». Ci sono voluti appena 12 giorni per mettere in discussione il posto di uno dei migliori attaccanti al mondo: 4 partite in cui Diogo Jota ha segnato 6 gol nell’arco di 248 minuti giocati. Un gol ogni 41 minuti.

 

Adesso ci sembra assolutamente naturale che Diogo Jota sia fatto per segnare. «Non sono sicuro che questo sia il miglior momento [della mia carriera, nda]», ha dichiarato dopo la tripletta di Bergamo, «Ma segnare è ciò che contraddistingue il mio modo di giocare a calcio». Fa strano sentirlo, perché fino alla scorsa stagione in realtà non lo era così tanto. L’anno scorso Diogo Jota ha fallito 12 grandi occasioni – solo altri nove giocatori hanno fatto peggio in Premier League, e nessuno di questi tra quelli del Wolverhampton – e nelle due stagioni in Premier precedenti a questa non era mai riuscito a concretizzare più degli Expected Goals che aveva avuto a disposizione in campionato, con 6 non-penalty goals da 9.2 xG nel 2018/19 e 7 non-penalty goals da 13.5 xG nel 2019/20. In questo senso, la sua cessione, oltre che dalla cifra offerta dal Livepool, era stata facilitata anche da alcune grandi occasioni fallite sotto porta in estate, quando la Premier League aveva ripreso dopo il lockdown, che avevano raffreddato anche il suo rapporto con Nuno Espirito Santo. Delle ultime otto partite della stagione dei Wolves, Jota era stato schierato da titolare solo in tre.

 

Ma le cose cambiano, come si dice, e forse non esiste modo di dire più adatto per descrivere l’attaccante portoghese. Perché ciò che contraddistingue di più il gioco di Diogo Jota non sono tanto i gol (in questa stagione l’attaccante portoghese è a 3 non-penalty goals da 1.8 xG in campionato) quanto il fatto che potrebbe essere descritto come la personificazione tecnica del gioco di transizioni di Klopp. Uno degli assistenti dell’allenatore tedesco, Pep Lijnders, lo ha definito una «macchina da pressing» ed effettivamente, guardandolo giocare, quello che stupisce di più è la combinazione assurda di intensità mentale e reattività muscolare.

 

Diogo Jota non è solo veloce sui primi passi per via del baricentro basso – soprattutto riesce a muoversi sempre un attimo prima dei suoi avversari rispetto al movimento del pallone. Anche – ed è questo a renderlo una macchina da pressing – quando i suoi avversari sono in possesso, qualità che, come ha notato Micheal Cox su The Athletic, lo ha reso un maestro nel procurare espulsioni per falli da ultimo uomo a difensori sorpresi dal suo muoversi in anticipo e dalla velocità con cui riesce a mangiarsi il campo. Stava succedendo anche contro l’Atalanta, quando alla fine del primo tempo Remo Freuler, mentre cercava una linea di passaggio in mediana, se l’è ritrovato improvvisamente addosso, come un insetto, vedendosi costretto a passare il pallone indietro frettolosamente verso Palomino, allungandosi fino ad arrivare a toccarlo con la punta del piede.

 

 
 
 

Diogo Jota, con la sua combinazione quasi unica di caratteristiche tecniche e fisiche, gioca sul limite tra quando la palla è in controllo dell’avversario (perché è effettivamente in possesso o perché pensa di poter controllare la traiettoria del pallone) e quando invece non lo è, rendendolo più sfumato di quanto pensavamo potesse essere finora. Se si rivedono i tre gol realizzati alla squadra di Gasperini, per esempio, non è troppo difficile trovare l’esatto momento in cui l’attaccante portoghese spinge questo limite dalla sua parte, intuendo una frazione di secondo prima del diretto marcatore le intenzioni del compagno che gli sta per servire l’assist. Anzi, sarebbe più corretto dire che è lui a ispirarle con il movimento senza palla – talmente fulmineo da incenerire il tempo di reazione dei difensori avversari. E in questo senso, è ancora più eccezionale che questa sua qualità sia emersa con così tanta forza contro l’Atalanta, una squadra che difende a uomo a tutto campo, e che quindi aveva istruito un singolo uomo (Palomino) a concentrare tutta la sua attenzione solo su di lui in marcatura.

Nei primi due gol l’ispirazione è addirittura esplicita, con Diogo Jota che indica con la mano lo spazio in cui i compagni devono servirlo.

 

Se pensate che questi gol siano dovuti più alla scarsa reattività di Palomino o di Hateboer, vi stupirà vedere allora i gol realizzati in precedenza da Jota contro la Svezia e il West Ham dove, se si va a prendere il momento in cui parte il suo scatto in profondità, è addirittura difficile capire come abbia fatto a segnare partendo da quella posizione. Contro la squadra londinese, l’attaccante portoghese anticipa mentalmente un’intera difesa schierata che ha più di un metro di vantaggio.

Certo, in questi ultimi due casi c’è voluta anche l’invenzione di due giocatori dalla sensibilità tecnica raffinata e dalla grande visione di gioco come Joao Cancelo e Shaqiri. Ma in realtà non è davvero questo che conta. La reattività muscolare di Diogo Jota, infatti, finisce per ribaltare il rapporto tra creazione e finalizzazione – cioè tra palla e spazio. Se con Firmino il Liverpool creava lo spazio alle spalle della difesa avversaria mettendo in pausa il possesso, utilizzando il pallone per manipolare gli avversari, con Diogo Jota invece è la velocità e la continuità nei movimenti in profondità a farlo, e ai difensori di Klopp basta servirlo sulla corsa. E in una squadra che ha reso il pressing e la riaggressione vere e proprie fonti di gioco, a quel punto non ti serve più un creatore geniale come Firmino sulla trequarti, perché anche una palla troppo lunga o imprecisa può diventare una potenziale occasione con la riconquista immediata. In questo modo, se Firmino rappresenta la pausa nella vertigine verticale di Salah e Mané, Diogo Jota al contrario agisce da moltiplicatore delle transizioni spostando ancora di più l’epicentro creativo del gioco del Liverpool dal piede (cioè dalla sensibilità tecnica) al cervello (ovvero la reattività mentale nei movimenti senza palla e la continuità nell’applicazione dei principi del pressing e della riaggressione).

 

Diogo Jota diventa eccezionale quanto più è in movimento – anche in conduzione, dove può sfruttare la sua ambidestria per portare il pallone in verticale a velocità impensabili – mentre si normalizza mano a mano che il gioco rallenta ed è costretto ad avere a che fare con il pallone e con il tempo per pensare. Il suo rapporto con la palla è talmente minimale da diventare a volte indistinguibile dal movimento, come nel caso del primo gol in cui lo scavino con cui supera Sportiello è quasi impercettibile rispetto alle sue falcate. In questo senso, ciò che Diogo Jota aggiunge al gioco di Klopp non sono tanto i gol quanto la possibilità di portare all’estremo la sua idea di gioco. Con un tridente composto da Salah, Mané e Jota gli avversari per difendersi non possono utilizzare come riferimento né il pallone, ormai inutile alla creazione, né lo spazio, che con tre giocatori così reattivi senza palla diventa impossibile da coprire.

 

Con Jota, insomma, il Liverpool rende ancora più sfumato il limite tra possesso e non possesso, tra quando la palla è in controllo degli avversari e quando non lo è. Al Liverpool mancava solo la sua reattività mentale, la sua applicazione maniacale dei movimenti senza palla e del pressing, per assottigliare ancora di più la differenza tra questi due momenti che pensavamo monolitici e separati.

 

Tags : diogo jotakloppliverpool

Dario Saltari nasce a Frascati nel 1989. Laureato in Relazioni Internazionali, scrive storie di finzione su eventi realmente accaduti per passione e storie vere su eventi di finzione per lavoro.

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