
Grigor Dimitrov serve un ace esterno, il suo corpo si tende in avanti, mentre la sua faccia si contorce in una smorfia di dolore. È il ralenti spietato che ci mostra la regia, nel momento in cui Dimitrov si è strappato il pettorale e a noi si è spezzato il cuore.
Non dimenticheremo l'immagine di Dimitrov steso sul prato come il protagonista dei Tenenbaum, solo mentre migliaia di occhi lo guardano, mentre si tocca il petto - uno che ha subito un colpo al cuore. Sinner è corso dall'altro lato del campo per ricucire questa solitudine straziante.
Dimitrov esce per due minuti. Forse vuole capire se può rientrare. In realtà sta solo uscendo dal campo per piangere lontano da occhi indiscreti, che pure erano occhi che volevano solo il suo bene; che volevano incoraggiarlo, o quanto meno consolarlo. Quando rientra scuote la testa, il volto sconvolto di chi si è fatto due minuti di pianto intenso. Poi affonda la faccia nell’asciugamano e singhiozza con tutto il corpo. Sinner gli parla, esce abbracciato a lui. Roger Federer è in piedi sugli spalti, con l’aria di un capo di stato preoccupato. Davanti ai suoi occhi il giocatore che avrebbe dovuto essere il suo erede era andato in pezzi un’altra volta, usurato dagli anni di competizione, mentre stava giocando una delle migliori partite della sua vita - forse una delle ultime, forse l’ultima.
Nel momento in cui il suo pettorale si è strappato, Dimitrov era in vantaggio di due set. Sembrava molto vicino a battere il numero uno del mondo, Jannik Sinner, e a qualificarsi ai quarti di finale di Wimbledon per la seconda volta in carriera, undici anni dopo la prima. All’epoca aveva 23 anni e il tennis gli chiedeva molto: di essere la speranza di un tennis classico ancora competitivo, anche dopo l’imminente ritiro di Roger Federer. Ora di anni ne ha 34 e nessuno gli chiedeva più nulla.
Forse anche per questa libertà, questa sfrontatezza della tarda età, aveva giocato una partita maestosa. Un tennis classico, di tagli sotto, ricami, precisione, dominio con lo schema di servizio e dritto, che lui - Baby Federer - riesce a sublimare in un’arte della tecnica e mai della forza. Se avesse potuto scegliere una superficie in cui giocarsi le sue carte contro il numero uno del mondo, certo, avrebbe scelto l’erba, e passate le due ore di gioco gli stava dando una bella lezione di gioco sul verde.
Un tennis veloce, uno due, verticale, e poi all’improvviso di nuovo lento e velenoso, con back colpiti sopra la spalla, in anticipo, radenti alla rete, che cadono come sassi piatti su uno stagno. Sinner non ci stava capendo niente. Era caduto nel primo game della partita, battendo forte il gomito a terra. Una brutta caduta, che ha fatto sospirare lo stadio. Si è rialzato subito, ma da quel momento è sembrato lui solo a sprazzi. Non è chiaro quanto quell’infortunio ne abbia condizionato il rendimento. Stando alle sue parole dopo la partita, il problema al gomito lo ha condizionato soprattutto sul servizio e sul dritto, che in effetti non sembrava lo stesso di sempre. Elena Pero in telecronaca, forse suggestionata, ha detto che la sua palla non faceva lo stesso suono. Era ironico, pensavamo, che Sinner si fosse infortunato contro uno dei giocatori più cagionevoli del circuito.
Al netto del problema al gomito, però, l’aggressività di Dimitrov ha sorpreso Sinner, che ha faticato ad attivarsi, ad accordare il proprio volume a quello della partita. Ha sofferto sulla diagonale di dritto in modo inusuale; è stato falloso, impreciso, incredibilmente sciatto in risposta - uno dei piatti forti della casa - dove ha forse aumentato la percezione della grande prestazione di Dimitrov al servizio. Ha gestito male i punti decisivi. Ha subito 3 break su 5 palle break concesse. Sulle gambe era poco reattivo. Soprattutto, è sembrato scarico mentalmente, incapace di trovare l’intensità giusta, e anzi è sembrato quasi crogiolarsi nelle avversità.
Un momento è stato particolarmente sorprendente. Alla coda del secondo set, all’ultimo momento utile per non compromettere la partita, Sinner era finalmente riuscito a ottenere il break sul 5-4, e a portarsi in parità. Ci era riuscito con un volume di colpi finalmente alto, con un gioco profondo e veloce. Dopo la palla break aveva lanciato un urlo strano per lui - sintomo di tutta la tensione raggrumata in quei set. A quel punto la partita sembrava poter girare in via definitiva. Invece nel game successivo Sinner non riesce a consolidare il break e manda Dimitrov di nuovo a servire per il set. Sul break point calcola male, in ritardo, una risposta bloccata in back di Dimitrov che cade sulla riga. Un passaggio a vuoto preoccupante, segno di una scarsa energia mentale. «Sono stato fortunato», ha ammesso Sinner dopo la partita.
Dimitrov ha fatto molto per metterlo in quelle condizioni, soprattutto con un rendimento al servizio “federeriano”: 6 ace nel primo set, 7 nel secondo, 1 nel terzo: quello con cui si è strappato il pettorale.
Grigor Dimitrov si era ritirato per infortunio negli ultimi quattro Slam, con questo cinque. Prima della partita, in conferenza stampa, un giornalista senza cuore che però sa fare il suo lavoro gli aveva chiesto se forse non aveva paura, a scendere in campo col rischio che il suo corpo - lo strumento del suo lavoro - possa spezzarsi da un momento all’altro. Lui aveva risposto con eleganza: è un’atleta, uno sportivo di alto livello, ha imparato a scansare la paura, a combattere gli infortuni, a un dialogo crudo col proprio corpo.
«Nel tennis non ci sono sostituti», lo ha ricordato anche Novak Djokovic interrogato da un giornalista, un paio di giorni fa. Se ti fai male, non c’è nessuno che può prendere il tuo posto e continuare la partita per te. Se ti fai male un poco, come è successo a Sinner, devi provare a giocare sul dolore e attraverso di esso. Trovare il modo di eseguire questo sport tecnicamente complesso alla perfezione, pure se il tuo corpo ti rema contro, e un ingranaggio è andato leggermente fuori asse. Se però ti fai male al punto che il tuo braccio destro, il tuo braccio armato, non si muove più - al punto che non riesci nemmeno a sollevarlo per stringere la mano al giudice di linea - beh, non c’è nulla che tu possa fare: perdi. È lo sport, con la sua morale brutale.
Sinner era sinceramente sconvolto, è uno di quelli che ha più presente questo piano aleatorio su cui i tennisti cercano di restare in equilibrio. Qualche settimana fa, durante il torneo di Roma, Sinner aveva detto che nello sport tutto può cambiare da un momento all’altro - sottinteso: in peggio. Qualcosa può sempre intervenire da fuori, per mettere a repentaglio i tuoi piani, accuratamente preparati. Più provi a esercitare il controllo, sul tuo corpo e sulla tua mente, e più forse diventa forte la consapevolezza della vacuità di uno sforzo simile. È vero: Dimitrov è fragile; è sempre stato cronicamente esposto a infortuni e piccoli problemi fisici. È il quinto Slam di fila in cui si ritira. Tuttavia resta forte l’impressione che nella sua partita magnifica sia intervenuto qualcosa: il caso, la sfortuna. E magari possiamo anche pensare che se Sinner non si fosse leggermente infortunato all’inizio la partita sarebbe stata, ancora, del tutto diversa (ricordate il primo game della partita? Con Dimitrov che non riusciva a star dietro ai colpi di Jannik?). Insomma, è stata una partita in cui il destino - questa dimensione da pensiero magico - è sembrato tangibile e avere un grande ruolo. Guardando Dimitrov singhiozzare ci siamo sentiti piccoli ed esposti ai fenomeni, come in una poesia di Giacomo Leopardi. Una partita in cui abbiamo avuto l’impressione che la linea temporale si è sgomitolata di fronte a noi per caso, mentre altre - più probabili - sono rimaste solo virtuali.
Forse potevamo immaginare un Dimitrov brillante, che avrebbe fatto di tutto per mettere in difficoltà Sinner. Quella che è andata in scena però è stata una versione praticamente ideale del bulgaro - un essere umano che di per sé già tende all'ideale, bellissimo, che si muove con la grazia virile di un divo del cinema muto. Capace di disegnare tennis a tutto campo, con una costruzione del punto classica: senza ansia, giocando con angoli, altezze e traiettorie. Un tipo di tennis che non immaginiamo più competitivo a certi livelli.
Questo piano estetico ha acuito la nostra tristezza. Non c’è solo l’aver perso una partita che sembrava a un passo dal vincere, ma anche di averla persa giocando un tennis sfarzoso ed elegante. Una bellezza fragile e irreplicabile, romantica, che quell’infortunio ha quasi sancito come impossibile. Non si può più giocare a tennis così, a meno che non ci si voglia strappare il petto.