Daniele Pradé è rosso in volto, sembra un cavallo imbizzarrito. Se potesse, inizierebbe a scalciare, ma ancora per qualche ora deve restare calmo e cercare di garantire a Vincenzo Montella un centravanti. Alla fine del mercato ci riesce, con un cavallo di ritorno gradito ai tifosi: Luca Toni si rimette la 30 viola, tra lo scetticismo degli addetti ai lavori – l’esilio all’Al Nasr sembrava strozzare la sua carriera fra l'esplosione tardiva e un finale anticipato - e l’entusiasmo di una piazza riuscita a trasformare la rabbia per il colpo mancato.
Il centravanti della Fiorentina doveva essere Dimitar Berbatov. Un animale strano, che in campo ha più gusto per il bello che per il concreto. «Il mio obiettivo non è segnare, è segnare gol belli, o creare belle occasioni per i miei compagni di squadra. Lo so che non tutti la pensano come me, ma ogni giocatore è differente. E di sicuro non mi vedrete mai sbuffare e ansimare in giro per il campo. So cosa vuol dire vivere in difficoltà, e per questo motivo amo la vita, me la godo e non do mai nulla per scontato».
Quel 29 agosto 2012 Daniele Pradé dava per scontato il suo arrivo alla Fiorentina. E con lui, anche Beppe Marotta, che però era convinto di poter portare Berbatov alla Juventus. Andiamo per gradi, e ragioniamo come se fosse una vecchia puntata di Blunotte, di Carlo Lucarelli. Marotta, per il momento, tenetelo lì. Ci servirà più tardi.
Per entrare in confidenza con il personaggio, un suo tutorial sul controllo di palla in costume, utile in questi giorni di caldo torrido.
Prologo
Crescere a Blagoevgrad non deve essere come crescere a Roma, Londra, Parigi, Madrid, Berlino o New York. Il giovane Dimitar muove i primi passi nella Bulgaria comunista. Il padre Ivan era un ex calciatore della squadra locale, il Pirin. Lo sport è nel dna familiare, visto che anche mamma Margarita giocava a pallamano, prima di diventare infermiera per portare qualche soldo in più a casa.
Non ce ne sono molti, e Dimitar dorme sul divano di casa. Ha un bizzarro talento nel salto in lungo, ma il calcio è un’altra cosa, e la cavalcata della Bulgaria a Usa ’94 alimenta i suoi sogni. Nel mito di Stoichkov, Berbatov gioca ogni volta che può. Anche in casa, distruggendo armadi con il pallone da basket. «Giocava con quello perché non potevamo permetterci quello da calcio», ha confessato candidamente la madre in un’intervista al Mirror. Dimitar entra nelle giovanili del Pirin e nel 1998 viene notato da Dimitar Penev, il c.t. della Bulgaria del 1994. Lo porta al CSKA Sofia, grazie all’aiuto di venti paia di scarpe da calcio donate alla società.
L’Italia sfiora presto il destino di Berbatov, che nel 2000 è a un passo dal Lecce. Lo ha adocchiato Pantaleo Corvino in una delle sue spedizioni nell’Europa dell’est, e Berbatov è atteso in città per le visite mediche: il Lecce non ha molto tempo da perdere perché, in quelle ore, deve anche chiudere l’affare Vugrinec. La trattativa salta e i contorni del rifiuto sono misteriosi.
Dimitar non solo vuole lasciare la Bulgaria, ma deve. Viene rapito per qualche ora da tre scagnozzi del boss Georgi Iliev, che ha cercato di forzare il trasferimento nel suo club, il Levski Kyustendil. Il salto in Europa avviene con qualche mese di ritardo: Berbatov è la nuova promessa del Bayer Leverkusen. Sono anni ruggenti per le "aspirine". Nella stagione 2001/02, la prima completa del bulgaro in Germania (era arrivato a gennaio), sono in lotta su tutti i fronti. Il Borussia Dortmund vince la Bundesliga con un solo punto di vantaggio, la finale di Coppa di Germania sorride alloSchalke 04 (4-2). Contro ogni pronostico, il Leverkusen è anche all’ultimo atto della Champions League. Davanti c’è il Real Madrid, Berbatov assiste dalla panchina al botta e risposta tra Raul e Lucio, prima di entrare in campo al 39’ al posto di Brdaric. Osserva da privilegiato la magia di Zinedine Zidane. Un’altra sconfitta bruciante, che costa alla squadra il soprannome di Neverkusen. «Ero giovane, non me ne fregava nulla. Stavo seduto in panchina senza pensare a niente. Quando l’allenatore mi ha chiesto di entrare ho pensato: “Ok, vediamo”. Forse con il passare del tempo ho iniziato a ripensare a quella occasione».
Segna 68 gol in 154 partite di Bundesliga, quindi passa al Tottenham, dove in due anni mette in mostra tutta la sua classe. La chiamata di Sir Alex Ferguson arriva a fine mercato del 2008, e il talento di Berbatov con la maglia dei Red Devils si palesa a sprazzi. Gioca sempre come se correre fosse un reato mortale, ma quando il pallone arriva tra i suoi piedi regala attimi di poesia. Vive con un distacco che sfocia nella superiorità tutto ciò che gli accade intorno. Jamie O’Hara, suo ex compagno di squadra ai tempi del Tottenham, racconta: «Durante un allenamento, lui era a circa 35 metri da me, di spalle. Gli urlai di lanciarmi e lui, senza guardare, mi fece un assist perfetto. Dopo l’allenamento venne da me e mi disse: “So dove sei. Non hai bisogno di urlare”». La stagione 2010-11 è senza dubbio la migliore con il Manchester United. Segna 20 gol in campionato, vince il titolo di capocannoniere insieme a Carlos Tevez e la squadra, oltre a trionfare in Premier, arriva fino alla finale di Champions League.
Con una mossa a sorpresa, Ferguson non solo lo esclude dalla formazione titolare, ma non lo porta neanche in panchina, preferendogli la versione crepuscolare di Michael Owen. Vince il Barcellona, e tra i due qualcosa si rompe. «Dimitar l’ha presa male, e io mi sono sentito male per lui. Gli spiegai le ragioni della mia decisione: la sua forma era calata e non era l’ideale come riserva. Gli dissi: “Se dobbiamo fare un gol negli ultimi minuti, Owen può garantirmi brillantezza”. Probabilmente non fu molto giusto, ma mi toccò prendere quella decisione e portarla avanti», ha dichiarato poi Ferguson. La quarta annata con i "Red Devils" è il preludio all’addio, che arriva dopo 56 gol in 149 presenze complessive: negli ultimi dodici mesi, Berbatov colleziona soltanto 12 gettoni in Premier, trovando la rete in 7 occasioni. «Sono deluso dall’uomo Ferguson. Ha perso tutto il mio rispetto. Non meritavo di essere trattato in quel modo e gliel’ho detto. Ma resta uno dei migliori allenatori del mondo».
In una stagione condita da un pokerissimo al Blackburn, il punto più alto del 2010/11 è senz’altro l’assurda tripletta al Liverpool. Il secondo gol è un manifesto di Berbatov: una rovesciata eseguita senza scomporsi né tantomeno sforzarsi, lasciando semplicemente che le leggi della natura lo portino a terra dopo aver calciato spalle alla porta. «Non pensavo che segnare tre gol contro il Liverpool potesse significare così tanto per i tifosi. Per me era solo una partita».
Nella sua autobiografia, pubblicata nel 2013, Ferguson descrive alla perfezione Berbatov. «Vedendo Dimitar con il Tottenham pensavo che avrebbe fatto la differenza, perché aveva una certa compostezza e una consapevolezza che mancavano nel nostro gruppo di attaccanti. Ma mancava un po’ di sicurezza nei suoi mezzi, stranamente. Non aveva la vanità di Cantona e Cole, o l’autostima di Sheringham. Credeva nelle proprie capacità, che però si esprimevano in un certo modo di giocare. Lui non riusciva a entrare del tutto in sintonia con il gioco. Non aveva riflessi rapidi, preferiva il gioco lento. In allenamento si esercitava per migliorare la velocità con la palla, ma quando la nostra azione si interrompeva lui tendeva a fermarsi e camminare. Nella nostra squadra, non puoi farlo. Ma era capace di grandi cose». Berbatov è sul mercato, Ferguson cerca acquirenti. Si arriva all’accordo con la Fiorentina.
La pista bulgara
Non è una semplice intesa verbale. La Fiorentina è già allo scambio dei documenti con il Manchester United: prima rata dei 5 milioni in pagamento, fideiussione a garanzia della seconda. Con il bulgaro l’accordo è verbale, ma i viola si fidano: è pronto un triennale da 1.8 milioni a stagione. Berbatov si imbarca su un volo diretto a Firenze da Manchester, con scalo a Monaco di Baviera. Con lui c’è il suo agente, a pagare i biglietti è stata la Fiorentina. Ferguson ha concesso a Dimitar il permesso scritto di recarsi a Firenze per sottoporsi alle visite mediche di rito e trovare l’accordo sui dettagli del contratto con la Fiorentina. In città lo aspettano a braccia aperte, ma durante lo scalo a Monaco succede qualcosa.
Ve lo ricordate Marotta? È il momento di scongelarlo, e andare a scoprire le sue intenzioni. La Juventus sta cercando un attaccante di scorta, che possa offrire alternative al pacchetto offensivo composto da Vucinic, Quagliarella, Matri e Giovinco, appena tornato dal Parma dopo una stagione scintillante. Il club trova in fretta un accordo con il Manchester United – 1 milione subito, 3.5 dopo un anno – e inizia a trattare con il giocatore.
A Firenze scalpitano, Berbatov era atteso alle 13.30 dal d.t. Macia, secondo i più ottimisti avrebbe potuto addirittura partecipare all’allenamento delle 17.30. Ma sono le 15.00, e a Peretola non c’è traccia di Dimitar.In compenso esce Patti Smith, accolta da un gruppo di tifosi viola con sciarpe e bandiere. C’è qualcosa di strano, Macia torna in sede e insieme a Pradé scopre che la Juventus ha praticamente concluso l’affare. L’edizione online della Gazzetta dello Sport si lancia in unfotomontaggio che ha dell’inquietante, i profili social del calciatore vengono presi d’assedio dai tifosi della Fiorentina, furenti per il tradimento di mercato. Non è da meno il club gigliato,che emette un comunicato durissimo nei confronti della Juventus, pur senza mai nominarla: «ACF Fiorentina comunica che l'operazione di acquisizione del calciatore Dimitar Berbatov è saltata definitivamente dopo che era stato definito un accordo con il Manchester United (scambio di contratto condiviso, prima rata del corrispettivo in pagamento e garanzia fideiussoria per la seconda rata già sottoscritta) e dopo che era stata raggiunta un'intesa verbale con il calciatore sul suo contratto. Nella giornata di oggi, il club inglese aveva concesso al suo tesserato il permesso scritto di recarsi a Firenze per le visite mediche e per firmare il contratto. Il calciatore si era imbarcato, in compagnia del suo procuratore e con biglietti pagati dalla Fiorentina, su un volo diretto a Firenze. Ma a Firenze il giocatore non è mai arrivato. A causa di operazioni spericolate e arroganti di altre società, che niente hanno a che fare con i valori della correttezza, del fair play e dell'etica sportiva e che si collocano oltre i confini della lealtà. Per quanto riguarda il calciatore, al di là delle sue caratteristiche e del suo valore tecnico, a questo punto siamo felici che non sia venuto alla Fiorentina: non meritava la nostra città e la nostra maglia e i valori che essa rappresenta».
A questo punto, l’aeroporto di riferimento diventa Caselle. Lo aspettano tutti per la firma e una nuova avventura in bianconero, che in effetti arriva. Ma non è il bianconero della Juventus. Intorno alle 22, è il Fulham a ufficializzare l’acquisto di Dimitar Berbatov, che nel giro di dodici ore è riuscito ad accomunare nell’odio nei suoi confronti due tifoserie storicamente nemiche. Beppe Marotta, beffato, parla a Sky, rispondendo al comunicato viola: «Noi siamo stati corretti, abbiamo agito con trasparenza contattando il giocatore dopo che aveva rifiutato la squadra viola», rimando al mittente le parole del comunicato della Fiorentina.
Comunque non si tratta di un rifiuto alla Juve, Berbatov ha preferito rimanere in Inghilterra per motivi familiari». Mancano solamente le parole diretto interessato, che reagisce con il placido distacco che lo contraddistingue in campo: «Non avevo l’accordo con la Fiorentina, non ho mai dato risposte positive, non ho detto sì a nessuno. Forse abbiamo creato un po’ di confusione con l’agente, e questo è stato un nostro errore. Però, all’improvviso,un uomo per cui ho enorme rispetto è apparso, e ho accettato di giocare per la sua squadra. Ho preso una decisione per il bene della mia famiglia. Non mi interessa sapere quello che dicono di me in Italia». L’uomo in questione è Martin Jol, manager del Fulham. «Dimitar mi ha chiesto una sola cosa: “Pensi che potrò piacere ai tifosi del Fulham?”. Probabilmente è il più grande acquisto della storia del club».
Bonus track: 55 secondi di diretta Instagram di Evra e Berbatov. «Quando morirò, voglio rinascere Dimitar Berbatov. È il re della Bulgaria».
Per i giornali italiani,la vicenda è lo spunto per editoriali al veleno contro il nostro calcio, sempre più periferia dell’impero se un esubero del Manchester United si permette di rifiutare Fiorentina e Juventus per accettare il Fulham. Come già anticipato, i viola virano su Luca Toni: una decisione saggia, visto che il centravanti si esprimerà benissimo e la Fiorentina di Montella troverà un suo assetto compiuto anche senza Berbatov. Marotta, preso dall’impazienza, si getta su Nicklas Bendtner,a cui non basterà la dieta imposta da Antonio Conte per incidere in Italia.
A tre anni di distanza dall’affare Berbatov, Daniele Pradé si ritrova coinvolto in qualcosa di molto simile. Ha messo le mani su un giovane talento del Genk, e stavolta non ci sono scali galeotti a fermarlo. Il ragazzone entra addirittura al Franchi, alcuni fotografi riescono a immortalarlo prima della firma del contratto. Ma non ci sarà nessuna firma. Sergej Milinkovic-Savic dice clamorosamente no all’ultimo momento e si accasa alla Lazio. Alla chiusura del mercato, la dirigenza viola viene accolta da uno striscione che non lascia spazio a letture particolari: «Tic tac, tempo scaduto: valutiamo da clienti, mercato da pezzenti».
Pradé è nel mirino della piazza viola per la gestione del caso Salah. Fa il punto in conferenza stampa, cerca di difendere il lavoro della società, poi si concede un guizzo sul giovane serbo, forse memore di quello sgarbo di Berbatov finito bene: «Il giorno prima che Milinkovic-Savic arrivasse qui era tutto definito, poi quando ha detto che avrebbe dovuto pensarci ce ne siamo fatti una ragione e ci siamo detti un bel “chissenefrega”. È un giocatore che il primo anno avrebbe avuto poco spazio, gli sarebbe servito come inserimento graduale. Non sposta gli equilibri della squadra».
Quanto a Berbatov, segnerà 15 gol al primo anno con la maglia del Fulham, poi accusa un calo e a gennaio 2014 viene ceduto al Monaco, dove trascorre 18 mesi tra luci e ombre. «Al primo allenamento ho visto Martial, James Rodriguez, Kondogbia e Carrasco. Questi ragazzini volavano intorno a me e ho pensato: "Sono io troppo vecchio o sono loro a essere troppo forti?”. Erano incredibili». Il finale di carriera è deprimente per un uomo così tanto affezionato alla ricerca del bello: un anno al Paok Salonicco, una gita in India nei Kerala Blasters. Molto meglio darsi a una cura maniacale delproprio profilo Instagram e al cinema: Dimitar, stilisticamente impeccabile come sempre, partecipa a Revolution X – The Movie, in cui interpreta i panni di un gangster. Per i più coraggiosi,qui c’è il trailer di un film che potrebbe toccare le vette di Alex l’Ariete. Lo aspettiamo con ansia in Italia. Il film, non Berbatov.