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Tommaso Clerici
Il difficile percorso che ha portato Mazzon al titolo superwelter
28 mar 2023
28 mar 2023
Intervista al nuovo campione italiano.
(di)
Tommaso Clerici
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Daniele Buffa/IMAGO
(foto) Daniele Buffa/IMAGO
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Christian me lo dice guardandomi con i suoi occhi vispi, scuri come i capelli crespi che tiene corti. Sotto l’occhio sinistro ha tatuati tre puntini, un simbolo identificativo della vita di strada. Significano: non vedo, non sento e non parlo. Nel suo caso rappresentano il passato. Rendono il suo sguardo più espressivo, tagliente. Il naso non sembra quello di un pugile, è integro anche se il setto è deviato, lo si capisce dal respiro sibilante. Sulle mani e sul collo spiccano altri tatuaggi: le scritte war e game over, una granata, il numero 28, Christian sostiene che gli porti fortuna.

«È ufficiale: a fine marzo combatto per il titolo italiano dei pesi superwelter contro il campione in carica Francesco Russo, qui a Milano, all’Allianz Cloud, un palazzetto da 5 mila posti», mi dice. Sfodera un sorriso a trentadue denti.

Testa e cuore

Conosco Mazzon da un anno, cioè da quando sono andato a intervistarlo nella palestra in cui si allenava per raccontare la sua storia nel libro che stavo scrivendo. Sentivo che avrebbe avuto tanto da dire perché siamo cresciuti in quartieri vicini perciò sapevo già chi fosse: lo avevo seguito nel suo percorso vincente ai campionati italiani quando era ancora un pugile dilettante. E dunque a febbraio dell’anno scorso, davanti al microfono del mio smartphone, Christian aveva riavvolto il nastro della sua vita sia sportiva che personale: era stato una promessa del calcio con grossi problemi disciplinari che avevano travolto anche la sua dimensione privata.

Mi ha spiegato che era sempre stato così: a scuola gli insegnanti non riuscivano a gestirlo, tanto che alle superiori aveva cambiato molti istituti, finendo sempre sospeso o espulso. Si comportava sopra le righe e viveva di adrenalina, così le cattive compagnie, l’alcool e la cocaina sono state conseguenze inevitabili. Mazzon ha vissuto periodi tra eccessi, scazzottate e abuso di sostanze fino ai problemi con la legge che lo hanno costretto in una comunità di recupero. Quello che lo ha salvato dandogli una ragione di vita e un modo costruttivo per incanalare la sua esuberanza e realizzarsi è stata la boxe, sport che lo aveva sempre affascinato. Christian entra in palestra e nel giro di pochi mesi si dimostra un talento: la sua carriera da dilettante è veloce, travolgente, di grande successo.

Il momento in cui Mazzon si è laureato campione italiano da dilettante.

A quel punto è sicuro di aver trovato la sua strada e passa a professionista. Come qualsiasi pugile debuttante combatte i primi match contro mestieranti per accumulare esperienza, ma a lui quell’approccio conservativo che consiste nel registrare tante vittorie su avversari non all’altezza prima di ambire a traguardi più importanti non piace per niente. È giovane ma per certi versi è un pugile vecchia scuola: poche chiacchiere o calcoli manageriali, quando si sale sul ring si deve combattere per davvero. È così che ama quello che fa, si esalta, è felice. Quindi decide di intraprendere il percorso più difficile: inizia a disputare diversi incontri all’estero dove tra avversari fenomenali e verdetti controversi incassa qualche sconfitta. Lo conosco alla vigilia di un match che in un modo o nell’altro gli svolta la carriera, quello contro il danese Jacob Bank. Un incontro proibitivo, per cui Mazzon deve salire di ben tre categorie di peso trovandosi di fronte un pugile molto più strutturato fisicamente e già campione mondiale giovanile.

Mazzon riesce a finire il match in piedi ma incassa una lezione durissima. Quella sera mi manda un selfie che lo ritrae quasi sfigurato, completamente tumefatto in viso, con gli occhi e gli zigomi gonfi e lividi. Mi scrive: «Dai video che avevo visto Bank non sembrava così forte. Mi dispiace, meno male che madre natura mi ha fatto la mascella dura altrimenti me la sarei vista ancora peggio, ho preso colpi devastanti. Di testa mi sento bene ma ora, come vedi, sono conciato così. Ho bisogno di riposo, a mente fredda ragionerò e dovrò cambiare qualcosa, fare valutazioni drastiche». Poi mi rivela di essersi sentito «ubriaco di botte» e di aver avuto problemi di vista nei giorni seguenti. Mazzon capisce di aver fatto il passo più lungo della gamba e di essere stato mal consigliato, perciò decide di cambiare team.

Sceglie di affidarsi all’ex campione del mondo Giacobbe Fragomeni e alla sua palestra, la “Fight Club Fragomeni”. Un ecosistema in cui Mazzon è assistito sotto tutti gli aspetti, dalla preparazione atletica alla parte manageriale, dalla ricerca di sponsor fino all’esperienza di chi mastica il pugilato da decenni. Grazie all'aiuto di questa palestra torna a vincere. anche se attraversa un altro periodo difficile quando disputa gli ultimi incontri nei pesi welter, categoria al limite dei 67 chili: fuori match arriva a pesarne quasi un’ottantina e il suo corpo non riesce più a perdere così tanto peso. Il taglio corporeo che pugili e fighter fanno per poter combattere è il risvolto meno noto ma più impegnativo del loro lavoro. In quelle settimane Mazzon è nervoso, di pessimo umore, afasico, spento, perché diete così estreme portano stravolgimenti a livello ormonale e quindi cambiano l’umore. Alla fine decide insieme al suo team di salire nei superwelter, una decisione che gli permetterà di entrare in uno stato di grazia che lo ha portato ad avere una forma fisica e mentale al massimo della condizione.

«Sarà una serata indimenticabile», mi dice riguardo all'incontro per il titolo italiano dei pesi superwelter «Sono sereno, manca ancora tanto tempo. Non voglio mettermi pressione: è un’occasione che mi sono meritato, per me avere un’opportunità simile è già una vittoria. So cosa ho passato e quanto mi sono sacrificato. Quindi dovrà essere una festa, quando salirò sul ring voglio divertirmi a prescindere dal risultato». Il titolo italiano equivale allo scudetto calcistico: è una cintura importantissima con una storia gloriosa alle spalle, un test fondamentale per saggiare la consistenza di un pugile e la concretezza delle sue aspirazioni. È un crocevia necessario per accedere al livello successivo, quello europeo, dove l’asticella si alza parecchio. «Russo non mi preoccupa, ha le mani pesanti ma a livello tecnico non è granché, ha grosse lacune in difesa. Anch’io faccio male con i colpi e in più sono bravo a evitare gli attacchi degli avversari, schivo, mi sposto, rientro. Devo stare attento al suo gancio destro ma per il resto è un pugile tranquillamente alla mia portata. Lavorerò molto con il jab perché ho un vantaggio in allungo e quando la distanza si accorcerà cercherò di entrare con il montante al fegato. A lui piace fare le battaglie sul ring, come me. Sarà un gran match».

Spalla contro spalla

Rivedo Mazzon a fine gennaio. Un’altra dura settimana di allenamento è finita, lui è stanco ma soddisfatto. Ha festeggiato vedendo un paio di amici, mi spiega che sua madre ha organizzato una cena di famiglia ma lui si preparerà la sua a parte, perché sta cominciando a stare attento al peso: assaggerà giusto la torta per non darle un dispiacere. Mi dice che è stufo di abitare a Sarnico, un paesino di 6mila abitanti sul lago d’Iseo in cui si è trasferito da un paio d’anni. Mazzon è nato e cresciuto a Milano, in una vita completamente diversa, e Sarnico lo costringe a fare la vita da pendolare, dato che la palestra di Fragomeni è qui. È di fatto la stessa vita che fanno i suoi genitori, che hanno un negozio di scarpe in città. Spiega che a Sarnico è solo, isolato, e se all’inizio gli andava bene perché si sposava con la quotidianità di un pugile, adesso gli pesa: ogni tanto gli piacerebbe poter uscire e vedere un amico per passare qualche momento di spensieratezza.

«A volte mi chiedo se i sacrifici che faccio ripagheranno», mi dice «Ho 27 anni e sto investendo tutto nel pugilato: non ho un lavoro quindi non posso mantenermi e dipendo ancora dai miei genitori, non esco con gli amici – che in generale vedo poco -, non ho una ragazza che mi farebbe bene sotto tanti aspetti. È dura. Siamo io e la boxe». L’incontro di fine marzo è un crocevia fondamentale del percorso sportivo e umano di Mazzon: dopo cinque anni di professionismo e 13 match alle spalle deve dimostrare di essere pronto a un salto di qualità che sembra nelle sue corde, dato che è sempre stato considerato promettente. Mancare un’occasione simile avrebbe ripercussioni pesanti su di lui. Christian lo sa e sembra pronto a trasformare la rabbia, la frustrazione, le privazioni di una vita così difficile in una motivazione feroce.

Foto di Cristian Del Galdo

La palestra “Fight Club Fragomeni” si trova nel cuore di Milano, a dieci minuti a piedi da Piazza del Duomo. L'ingresso è all'altezza della strada ma superata la reception si scende una rampa di scale accedendo a un piano interrato. I sacchi da boxe sono disposti lungo un lato, in fondo troneggia il ring e proseguendo a destra si scopre una zona con altri sacchi e diversi attrezzi e macchinari per il fitness e per la preparazione atletica. Giacobbe Fragomeni è sempre in palestra insieme alla moglie Sara, che la gestisce insieme a lui. Spesso lo si trova sul ring a fare sparring con amici e amatori; i presenti si fermano a guardarlo in religioso silenzio, ammirando la tenacia di un uomo di 53 anni con 43 incontri da professionista alle spalle e un titolo del mondo in bacheca che si diverte ancora a indossare i guantoni. Una volta mi ha confidato di non avere altra scelta: nei periodi in cui si allena di meno soffre di forti dolori articolari.

Fragomeni è sotto il metro e ottanta e peserà sui cento chili: un omone che – tra la corporatura e i tatuaggi in vista, anche su collo e mani, oltre al tipico naso da pugile - potrebbe all'apparenza incutere timore. Ha una storia drammatica alle spalle: nato in un quartiere periferico di Milano, il padre giocava d'azzardo, era alcolizzato e picchiava sia la madre che le due sorelle maggiori. I problemi economici della famiglia complicavano la situazione e Fragomeni ha raccontato di aver patito la fame, trovandosi a dover mangiare il pan grattato per saziarsi oppure a pranzare a casa di amici che conoscevano le sue condizioni. Già da giovanissimo comincia a bere e consuma diversi tipi di droghe, ma intanto aiuta i genitori lavorando. Quando è poco più che maggiorenne una delle sue sorelle, eroinomane, muore di stafilococco per una dose tagliata male: era già malata di HIV. Per Fragomeni è stato il periodo peggiore della sua vita tanto che pensa al suicidio. Dopo una corsa per non perdere il tram che lo portava al lavoro, però, si rende conto di essere totalmente fuori forma e così entra per la prima volta in una palestra di pugilato, che gli salverà la vita. A volte basta poco.

Oggi Fragomeni è un uomo realizzato, sorridente, allegro. Ha sempre la battuta pronta ed è molto empatico con i suoi pugili. Si capisce che gli stanno a cuore. Se però si accorge che qualcosa non va è inflessibile: ne ha già allontanati diversi per tanti motivi, sia disciplinari che per differenza di vedute. «È difficile trovare un pugile che ti ascolti davvero, che si affidi. La maggior parte del lavoro va fatto a livello mentale, è quello che fa la differenza. Mazzon mi sta seguendo ed è già migliorato tanto in meno di un anno. Mi piace molto, ha coraggio, tenacia, si sacrifica moltissimo. Rivedo in lui qualcosa di me quando avevo la sua età. L'incontro con Russo sarà difficile ma può farcela, l'importante è che non si incazzi se qualcosa non gli riesce. A volte in sparring succede e perde la testa, avanza lanciando colpi ed è troppo rischioso perché si scopre, non pensa più alla difesa. Nel match non può permetterselo, deve restare lucido pure se l'avversario cercherà di provocarlo. L’aspetto caratteriale nella boxe fa tantissimo».

Ultimi preparativi

Il lago d'Iseo su cui affaccia Sarnico trasmette pace come tutti i laghi, guardandolo si capisce perché Mazzon abbia pensato di venire qui. Quando incontro di nuovo Mazzon, però, il suo umore contrasta con la splendida giornata di primavera anticipata che ci accoglie. «Sono depresso, incazzato, oggi ho litigato con tutti. Mi è scesa la motivazione ai minimi storici. Ormai mi conosco, vuol dire che sono in sovrallenamento infatti in palestra mi hanno detto di riposare un paio di giorni. Ieri quando ho concluso la sessione ero sfinito, ho tutti i muscoli infiammati. Mi si sono abbassate le difese immunitarie, ho pure le placche in gola».

Manca un mese e mezzo all’incontro: «Significa che ho già raggiunto il picco di forma fisica, è una buona notizia ma può essere anche un’arma a doppio taglio. Dobbiamo essere bravi a capire come gestire questa condizione, senza affaticarmi troppo». A breve Mazzon dovrà iniziare anche la parte più dura della dieta, quella in cui riduce progressivamente il numero di carboidrati – i nutrienti che danno la maggior parte dell’energia al corpo – pur mantenendo invariati gli allenamenti quotidiani. Christian ha sempre sofferto le diete, soprattutto a livello psicologico. Sono i retroscena della preparazione, quei momenti in cui gli sportivi fanno i conti con loro stessi e con la vita che hanno scelto.

Qualche tempo dopo, quando lo rincontro in un bar a fianco al negozio di scarpe dei genitori mi dice di aver sognato il suo prossimo avversario, Francesco Russo. «Eravamo uno di fronte all’altro al centro del ring, in quel momento in cui si ascoltano le indicazioni dell’arbitro subito prima che cominci il match. Mi capiterà altre volte di sicuro. Non ce l’ho con lui, lo rispetto, è un pugile duro. Ma voglio fargli male».

Durante il training camp ho visto Mazzon un giorno a settimana, di sabato, quando poteva concedersi il pranzo di “sgarro”. Non è durato molto in realtà perché, una volta arrivati alla settimana che precede il combattimento, ha iniziato il taglio dei carboidrati diminuendo l’intensità degli allenamenti: questo probabilmente è il frangente più critico, bisogna vedere se il suo corpo reagisce come previsto, permettendogli di passare in qualche giorno da 74 chili ai 69 previsti per la categoria dei superwelter. Fragomeni dice che adesso il lavoro tecnico – di cui sono pienamente soddisfatti – è finito e che d’ora in avanti si occuperà solo di motivarlo. «Siamo pronti, abbiamo fatto tutto bene, Mazzon lo sa. Gliel’ho detto: se perderemo sarà perché l’avversario si sarà rivelato più bravo, non per altro». Mazzon annuisce e aggiunge a mezza voce, quasi come fosse già in trance agonistica: «Ma non perderemo».

Arriva il giorno del peso, Mazzon registra 69.85 chili sulla bilancia ed è perfettamente in categoria. Tra lui e Russo, il campione in carica, c’è rispetto ma nessun timore. Non fanno dichiarazioni forti. Quando sono uno di fronte all’altro si salutano, promettendo entrambi spettacolo.

Nulla è come il pugilato

Il giorno del match arrivo all’Allianz Cloud mezz’ora prima dell’apertura dei cancelli al pubblico e mi faccio portare nello spogliatoio di Mazzon. È lì insieme al suo team, noto subito il cambiamento fisico dovuto alla ricarica del peso: è massiccio, la maglietta che indossa sembra scoppiargli addosso, ha recuperato 6 chili in poco più di 24 ore. Mi dice di aver dormito bene, di avere fatto una colazione sostanziosa e un po’ di attivazione muscolare. Il primo match dell’evento è quello di un suo compagno di palestra, Kone Yaya, che vince ai punti.

Poco dopo Mazzon rientra nella sua stanza e inizia la preparazione prima dell'incontro. Arriva il cutman con il suo carrello smontabile, ogni ripiano diventa una valigetta singola contenente diverso materiale: nastro adesivo, fasciature, pomate, vaselina e tanto altro. Dispone l’occorrente sul tavolino con metodo e cura, Mazzon si accomoda di fronte a lui e comincia il bendaggio delle mani. Alle operazioni assiste anche un componente del team di Russo, oltre alla precedente approvazione dell’ufficiale di gara (allo stesso modo un membro dell’angolo di Mazzon controlla la stessa procedura nello spogliatoio dell’avversario – serve a controllare che i bendaggi vengano fatti a norma). C’è silenzio.

Foto Warrior of Creativity / Maurizio Pavone

Tra le varie persone presenti c'è anche Antonio Moscatiello, ex campione italiano dei pesi welter ora ritirato e all’angolo di Mazzon. Moscatiello sembra di nuovo un pugile che sta per salire sul ring: è impaziente, esuberante, adrenalinico. «Stasera salirò anch’io sul quadrato con Christian, lui lo sa, siamo una cosa sola. Lui con noi, noi con lui». Mazzon continua a concentrarsi in silenzio. Passa a vestirsi con i pantaloncini neri e oro che hanno stampato sulla vita il suo soprannome, “la iena”.

Quando finalmente viene chiamato per entrare nell’arena lo accompagniamo in gruppo fino alla passerella d’ingresso, scandendo il suo nome e applaudendo. Mazzon compare sul palcoscenico e Milano lo accoglie con un boato. Da qui inizia un match che è stato poi definito uno dei titoli italiani più belli di sempre – se non il più bello. Al primo round Mazzon si mostra propositivo, mobile, esplosivo, in splendida forma. Ricorre al suo repertorio completo: jab, ganci, montanti. Russo punta su scaricare colpi potenti e quindi su combinazioni brevi ma incisive, d’altronde finora ha vinto 10 match su 12 per KO o KO tecnico. Mazzon, però, riesce a imporre il suo ritmo e si aggiudica la ripresa, esulta tornando all’angolo.

Nel secondo round anche Russo ha delle buone iniziative, avanza sempre senza farsi intimidire, ma Mazzon è più vario, sferra sequenze a raffica e in chiusura colpisce l’avversario con un gancio destro che lo fa barcollare; Russo sopravvive all’assalto successivo finché la campanella suona. Il terzo round è drammatico, spettacolare, è la boxe per definizione: Mazzon incrocia Russo con un gancio sinistro che lo manda al tappeto; il pugile romano si rialza ma è molle sulle gambe, il match avrebbe potuto fermarsi qui invece continua. Mazzon si lancia all’assalto, Russo è in difficoltà, subisce mentre invita l’avversario a continuare a colpirlo, finché in una fase di scambio trova il mento di Mazzon con il gancio destro, lo stordisce e poi affonda di nuovo con un destro. L’arbitro interviene e conta il pugile fino a quel momento in vantaggio, che sembra incerto sulle gambe; lui recupera e si difende dalle offensive successive anche perché pure Russo a tratti barcolla: entrambi sono provati da una sfida durissima. La quarta e ultima ripresa riprende il copione delle altre, il match continua colpo su colpo e anche Mazzon ne incassa diversi potenti, fino a quando trova un gancio sinistro che fa crollare Russo al tappeto: è la fine dell’incontro. Mazzon sale sulle corde e urla a squarciagola, viene portato in trionfo dal suo team, a tratti sembra commosso. Poi però va a sincerarsi delle condizioni dell’avversario, si abbracciano, gli alza la mano davanti al pubblico che lo applaude, lo celebra: i match si fanno in due, ancora di più quelli spettacolari.

Foto Warrior of Creativity / Maurizio Pavone

Russo ha dato una prova di tenacia, coraggio e costante pericolosità. Quando sta per imboccare il tunnel degli spogliatoi la madre di Mazzon lo ferma: lo guarda intensamente negli occhi e lo accarezza con affetto. Lui sembra imbarazzato, è sorpreso, la ringrazia più volte, colpito dal gesto.

Lo spogliatoio di Mazzon è una bolgia, gli danno la cintura ma solo per qualche minuto perché deve restare all’ex campione, la Federazione gli farà avere presto quella appena conquistata. Moscatiello è felice, esausto, commosso; continua a ripetere: «Quello che mi fa provare il pugilato non l’ho mai trovato da nessun’altra parte. Neanche quando mi innamoro, non è paragonabile. Chi non conosce questo sport non può capire, qui è tutto o niente, è così, ti travolge. Non si può spiegare, bisogna viverlo».

Poco dopo Mazzon viene raggiunto anche dai suoi genitori e da sua sorella. Si abbracciano, suo padre Eugenio dice: «Dopo il match in Danimarca, quello da cui è uscito stravolto, voleva ritirarsi. Io mi sono opposto, gli ho detto che non era giusto e adesso siamo qui, ce l’ha fatta».

In meno di un anno Mazzon ha fatto un capolavoro rimettendo insieme i cocci, affidandosi a un team capace che gli ha fatto sentire l’affetto di cui aveva bisogno, credendoci quando tutto sembrava perso. Anche il modo con cui ha vinto il titolo riassume il suo percorso, nel match non sono mancati i momenti di difficoltà proprio quando la vittoria sembrava a un passo. Mazzon non ha mollato grazie all’esperienza, alla forza di chi è stato temprato dalla difficoltà del percorso. Adesso lo attende l’Europa.

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