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Dario Saltari
Dietro alla sassata a Fabio Grosso c’è una lunga storia
30 ott 2023
30 ott 2023
Da quando è arrivato a Lione all'allenatore romano è successo di tutto.
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Dario Saltari
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Il primo maggio Fabio Grosso ottiene finalmente la sua prima grande gioia da allenatore. Il suo Frosinone ottiene la promozione in Serie A con tre giornate d’anticipo, avendo sia il miglior attacco che la miglior difesa, e sono in molti a riconoscergli il merito di questo grande successo. «Ho ricevuto tanti messaggi di congratulazioni, non solo dagli ex compagni azzurri. Non faccio nomi per non far torti, ma ci sono anche persone con le quali non ho vinto: l'affetto ricevuto è ampio, vuol dire che ho lasciato un buon ricordo dove sono passato», dice emozionato dopo il traguardo, paragonando in grandezza la sua gioia attuale a quella del 2006. «Sono imprese che diventano ricordi, le metti nel cassetto per guardare avanti, ma poi ogni tanto le rispolveri e ricordi di aver lasciato il segno».

I suoi primi passi da allenatore non erano stati altrettanto felici. Dopo un inizio da prodigio sulla panchina della Juventus Primavera, con cui aveva vinto il torneo di Viareggio e aveva raggiunto le finali di Coppa Italia e campionato, l’impatto con il calcio dei grandi era stato traumatico. Eliminazione ai playoff per mano del Cittadella sulla panchina del Bari; esonero ancora prima di finire la stagione su quella del Verona; esonero su quella del Brescia, dopo appena tre partite; esonero su quella del Sion, a marzo, con la squadra penultima in classifica. Prima del Frosinone più che alla panchina sembrava destinato all’inferno degli studi TV, dove avrebbe ricordato il rigore contro la Francia per il resto della sua vita.

Ora però il mondo era tornato a sorridergli. Quella singola stagione aveva lucidato il suo status da giovane allenatore in rampa di lancio e adesso sarebbe bastato aspettare la fine trionfale di quella stagione prima di godersi la prima della sua carriera in Serie A. «Del futuro non abbiamo mai parlato, io sono molto riconoscente al Frosinone, col direttore Angelozzi c'è un rapporto di stima e fiducia importante. Adesso ci sarà tempo per parlarne, mi piacerebbe continuare», dice subito dopo aver ottenuto la promozione. Chi si sarebbe mai aspettato qualcosa di diverso?

Il problema è che il contratto di Grosso è in scadenza, un dettaglio non proprio irrilevante dopo una stagione simile. Le offerte non sembrano mancare: si dice che su di lui ci sia già la nuova Sampdoria di Radrizzani e soprattutto il Marsiglia, che per lui sarebbe un salto quantico che ben rappresenta il cambio di prospettiva generale che ha generato la stagione appena passata. È bastato un anno per trasformarlo da un allenatore da Serie B a una buona idea per una delle più importanti squadre di Francia, con una tifoseria pazza e gigantesca, che vive su un equilibrio sottilissimo pronto a spezzarsi in qualsiasi momento sotto il peso di aspettative insostenibili. Il 14 giugno Grosso comunica al Frosinone che non rinnoverà il suo contratto, sicuro che una panchina la troverà. Se non sarà il Marsiglia sarà una squadra almeno altrettanto importante, quella è l’impressione al momento.

Le cose, ovviamente, non vanno come previsto. Dopo poco più di una settimana di incertezza e voci, il Marsiglia si accorda con Marcelino, che secondo l’Equipe è sempre stato molto vicino al presidente Pablo Longoria. Qualche giorno dopo anche la Sampdoria cambia strada, ingaggiando un altro degli eroi dell’Italia del 2006: Andrea Pirlo. È uno di quei momenti in cui la vita degli allenatori sembra un enorme gioco della sedia. La musica suona e le panchine appetibili sono sempre di meno. Un attimo prima sembrava ci fosse l’intero mondo in fila ad aspettare una sua risposta, un attimo dopo qualsiasi opportunità è l’ultima spiaggia. Alla fine, incredibilmente, Fabio Grosso rimane con il cerino in mano.

La sua stagione comincia dando pareri sulla nuova stagione di Serie B e ricordando il Mondiale del 2006, esattamente l’inferno che sembrava aver schivato per un pelo. C’è un ultimo refolo di speranza quando, dopo l’addio di Mancini alla Nazionale, si fa il suo nome per la panchina azzurra ma sembra più una suggestione giornalistica. Grosso diventa uno di quegli allenatori-rapaci che compaiono sulle tribune stadi, volteggiando sopra le teste dei propri colleghi in difficoltà.

Il Lione nel caos

Pochi giorni dopo la promozione del Frosinone in Serie A, a Lione si volta un’importante pagina di storia. L’11 maggio l’OL pubblica un comunicato ufficiale con cui vengono resi pubblici i dettagli della fine dell’era Aulas. Il leggendario presidente francese, che aveva guidato il club per 36 anni vincendo tra le altre cose sette scudetti, lo scorso dicembre aveva alla fine deciso di vendere la quota di maggioranza all’imprenditore statunitense John Textor, già proprietario del Crystal Palace, del Botafogo e del Molenbeek. Aulas lasciava il Lione così: con una buonuscita da 10 milioni di euro, la carica di presidente onorario del club, un box privato allo stadio, il rimborso delle spese nell’esercizio delle sue funzioni per l’OL, una macchina aziendale e forse una stretta di mano. Il suo ruolo nella grande storia del club, però, non si era ancora concluso.

Già il giorno dopo RMC Sport fa sapere che il nuovo presidente statunitense del club dovrà raccogliere 130 milioni di euro in poche settimane se non vorrà incorrere in una sanzione dell’autorità di controllo finanziaria francese per il calcio, la Direction Nationale du Contrôle de Gestion (o più brevemente: DNCG). Un club che non aveva avuto particolari problemi finanziari negli ultimi anni, improvvisamente sembra sull’orlo del baratro. Com’era potuto succedere? Intorno alla situazione finanziaria del club si scatena una lotta intestina tra la nuova gestione, capeggiata da Textor e il nuovo amministratore delegato Santiago Cucci, e quella vecchia, rappresentata da Aulas - teoricamente ancora presidente onorario del club. La prima accusa la seconda di aver lasciato in eredità una situazione disastrata, la seconda accusa la prima di voler gettare discredito per coprire una palese incompetenza. Entrambe le interpretazioni sembrano corroborate da rivelazioni giornalistiche e dichiarazioni che si fa fatica a non considerare come armi di questa battaglia.

Alla fine di luglio, ad esempio, l’Equipe rivela che Aulas, ancora prima di vendere le proprie azioni a Textor, avrebbe promesso alla DNCG circa 112 milioni di euro in cessioni di giocatori, tra cui Castello Lukeba, Karl Toko-Ekambi e Malo Gusto (riuscendo a concretizzare solo quest’ultima). Probabilmente è a questo a cui si riferisce Santiago Cucci quando dichiara che il Lione dovrà «arrangiarsi con ciò che ha lasciato Aulas ed essere intelligente nel ricostruire» - una dichiarazione che porterà l’ex presidente del Lione ad andare sul proprio profilo Twitter per chiedere «un po’ di rispetto». Anche la gestione Textor, però, non sembra esente da colpe. Il primo agosto prende la parola l’ex allenatore del Molenbeek, Thierry Berghmans, esonerato dalla dirigenza cinque giorni prima dell’inizio della stagione dopo aver ottenuto la promozione nella massima serie belga. «Siamo davvero sorpresi dal tempismo di questi esoneri, se vuoi cambiare staff fallo all’inizio del pre-campionato. Avevamo preparato la promozione in prima divisione perfettamente […] In due mesi ha distrutto ciò che avevamo costruito in otto anni». La teoria di Berghmans - affascinante, c’è da dire - è che Textor avrebbe voluto utilizzare la probabile sconfitta in amichevole proprio contro il Lione alla fine di luglio come casus belli per il suo esonero, e che sarebbe rimasto scottato dalla sorprendente vittoria del Molenbeek per 1-0.

Com’è come non è alla fine la sanzione della DNCG arriva. Dagli inizi di luglio, in sostanza, l’autorità per il controllo finanziario del calcio francese potrà monitorare il monte ingaggi del club e soprattutto bloccare l’acquisto di nuovi giocatori se non li considererà sostenibili. Piove altra benzina sull’incendio che sta bruciando Lione. Textor accusa nemmeno così implicitamente le autorità francesi di essere in combutta con Aulas, il presidente del DNCG risponde che con il vecchio presidente non sarebbe cambiato niente e che la sua organizzazione è completamente indipendente. In ogni caso per il Lione la sessione estiva di calciomercato è un disastro: vengono effettivamente venduti sia Castello Lukeba (al Lipsia) che Toko Ekambi (all’Abha, in Arabia Saudita), ma anche Romain Faivre al Bournemouth, Thiago Mendes all’Al-Rayyan e soprattutto Bradley Barcola - l’ultima speranza del prodigioso settore giovanile del Lione che diceva di essere cresciuto con i poster di Lacazette in camera. Non solo lo vende, poi, ma lo vende ai rivali del PSG. La squadra che aveva messo fine per sempre al dominio del Lione sul campionato francese adesso lo umiliava sfilandogli dalla corona l’ultimo gioiello.

In mezzo alle fiamme, l’allenatore costretto a fingere che stia andando tutto bene non è poi una persona qualsiasi, ma Laurent Blanc. Il suo arrivo a Lione, all’inizio della scorsa stagione, era sembrato uno scherzo. Blanc non allenava in Europa da più di sei anni, la sua ultima esperienza - all’Al-Rayyan, in Qatar - si era chiusa con un esonero per aver raccolto appena 8 vittorie in 18 partite di campionato. Blanc aveva allenato il PSG per tre stagioni, e rappresentava il suo dominio plutocratico sul campionato francese, e adesso non sembrava nemmeno più davvero un allenatore. A chi era venuta l’idea di ingaggiarlo?

Lo stesso Blanc, poi, sembrava nelle peggiori condizioni per calarsi in una situazione simile. Già prima di questa disastrosa estate, sembrava godersi questo spettacolo da macelleria messicana con lo stesso cinismo accelerazionista di Ewan Roy invece di provare a mettere ordine. Appena arrivato, aveva iniziato a lamentarsi della condizioni fisica dei giocatori lasciati in eredità da Peter Bosz, suggerendo implicitamente che con lui non si allenassero davvero. Interrogato sulla faccenda prima di una partita contro il Strasburgo era sembrato tra lo sconsolato e l’arreso. «Già contro il Nantes e contro il Marsiglia non siamo riusciti a competere da questo punto di vista. Siamo questi: non posso chiedere ai miei giocatori di crescere di 10 centimetri e di prendere 10 chili. L’ho già detto ai ragazzi: non ha senso provare a vincere la battaglia fisica». Mano a mano che il Lione si avvicinava alla fine di una stagione grigia (che si concluderà con un insapore settimo posto), Blanc si faceva sempre più cupo. «Mi hanno deluso tutti», dichiarerà dopo un pareggio contro il Nantes alla metà di marzo, «Quando giochi a calcio devi rispettare il gioco e noi non l’abbiamo fatto».

Con l’inizio di questa nuova stagione, le sue dichiarazioni hanno iniziato ad essere talmente nere da suonare comiche. «La partita più importante è quella contro lo Strasburgo, se ci sarà ancora un allenatore del Lione», dichiara ancora prima che la stagione cominci, dopo una sconfitta nell’ultima amichevole pre-campionato contro il Crystal Palace. Il Lione ovviamente perde all’esordio contro lo Strasburgo, poi perde anche alla seconda giornata contro il Montpellier, per 1-4, davanti al pubblico del Groupama Stadium attonito. Il video della sua intervista post-partita diventa virale. L’intervistatrice gli chiede cosa va fatto per cambiare la situazione e lui risponde senza indugi: «Cambiare l’allenatore». L’intervistatrice sembra non credere ai suoi occhi, sorride sconcertata, forse le scappa addirittura da ridere. «Quindi te ne vuoi andare?», «No, ma mi stai chiedendo cosa andrebbe fatto e io ti rispondo che andrebbe cambiato l’allenatore».

Da questo momento è solo questione di tempo. Il Lione riesce a resistere sullo 0-0 contro il Nizza ma poi perde di nuovo per 1-4 contro il PSG. Blanc viene esonerato pochi giorni dopo. Se si potesse ignorare tutto il resto, per lui si potrebbe dire che è la chiusura di un cerchio. Nel frattempo Jean-Michel Aulas decide di fare causa a John Textor.

L'arrivo di Grosso

Per la panchina del Lione di certo non c’è la fila. La dirigenza fa alcuni tentativi esotici. Chiama Marcelo Gallardo ma lui declina l’offerta. Poi fa un tentativo per Graham Potter ma anche questo non va in porto. Alla fine sembra decidersi per Gennaro Gattuso ma all'ultimo momento, per ragioni che non conosciamo, vira bruscamente verso Fabio Grosso. Perché uno degli allenatori italiani più promettenti della scorsa stagione ha deciso di ficcarsi in questo macello? A volte si ha l’impressione che gli allenatori contino i giorni senza panchina con il terrore di essere dimenticati. In ogni caso la realtà è questa: Fabio Grosso, che doveva fare il grande salto dal Frosinone al Marsiglia, alla fine si accasa in una squadra che cola a picco; Gennaro Gattuso, che non allenava da circa 7 mesi e veniva da un’esperienza negativa al Valencia, alla fine firma per il Marsiglia, dove i tifosi hanno fatto fuggire Marcelino a colpi di minacce di morte. I due si ritroveranno legati da una situazione ancora più assurda solo poche settimane dopo.

Il contrasto tra il suo passato felice da calciatore rossoblù e il suo presente da incubo è stridente già dalla conferenza di presentazione. Grosso viene lanciato dall’elicottero nel Vietnam del Lione e lui, appena arrivato, è costretto a ricordare «l’atmosfera straordinaria» che ha trovato qui da giocatore. «La cosa più importante è il rispetto e qui non mi è mai mancato», dirà con una frase che nelle settimane successive si ripiegherà su se stessa in maniera grottesca.

Nonostante la volontà di riportare la squadra «dove merita di essere», i risultati con Grosso non migliorano, anzi. Dopo lo scialbo esordio con Le Havre (0-0), il Lione perde fuori casa prima con il Brest (1-0) e poi con il Reims (2-0). Dopo tre partite di gestione Grosso il Lione deve ancora segnare un gol, nonostante abbia provato il tiro per ben 40 volte (di cui 16 nello specchio della porta). Soprattutto, deve ancora vincere una partita dall’inizio della stagione. Contro il Lorient, al Groupama Stadium, sembra essere finalmente la volta buona. Il Lione rimonta il gol dello svantaggio iniziale segnato da Kroupi e si porta già al primo tempo sul 3-1, grazie a una doppietta del suo capitano, Alexandre Lacazette. Sembra tutto al posto giusto ma ovviamente lo psicodramma è dietro l’angolo. Il Lione viene avvicinato al 54esimo con un altro gol di Kroupi e ricomincia a vedere le ombre allungarsi. Fabio Grosso, con la barba già sfatta, si smangiucchia le unghie, i suoi giocatori iniziano a sentire le gambe che tremano. Al 79esimo Mama Baldé controlla a fatica una palla appena fuori dalla propria area ma poi inspiegabilmente la passa all’ala del Lorient, Darlin Yongwa, che inevitabilmente mette il pallone sotto il sette più lontano da Anthony Lopes. Alla fine della partita, sotto una pioggia di fischi, John Textor è costretto ad affrettarsi per uscire dallo stadio. Il Lione perderà la partita successiva in casa contro il Clermont, per 1-2, un risultato sfortunato c’è da dire.

Il Lione ritorna dalla pausa per le Nazionali nel peggiore dei modi ed è solo l’inizio. Il giorno dopo la sconfitta contro il Clermont, l'opinionista ed ex giocatore di PSG e Monaco, Jerôme Rothen, va ai microfoni di RMC Sport per dire che la panchina di Fabio Grosso è già in discussione e che l’allenatore ha perso completamente lo spogliatoio. «Quasi nessuno dei suoi giocatori lo può più vedere», dice Rothen «Ce ne sono alcuni di esperienza, e altri di grande esperienza, che mi hanno addirittura detto che sia uno dei peggiori allenatori che abbiano mai avuto. Si è messo tutti contro». Non è certo un fulmine a ciel sereno dopo gli scontri avuti da Grosso con Ryan Cherki («non un giocatore speciale» secondo Grosso, che lo ha fatto fuori per diverse partite) e Nicolas Tagliafico (escluso dai convocati per la partita contro il Clermont per essere andato a vedere la Nazionale argentina di rugby impegnata ai Mondiali), ma la rivelazione fa esplodere un’altra bomba al centro d’allenamento del Lione. Il giorno dopo, secondo la ricostruzione fatta da L’Equipe, Grosso chiude tutta la squadra nello spogliatoio per mezzora in cerca della talpa che ha parlato con Rothen. Si legge di veri e propri interrogatori. Poi, dopo non aver ottenuto nessun risultato, annulla l’allenamento e manda tutti a casa.

Il Lione, dunque, si preparava in questo modo alla sfida contro il Marsiglia, il primo vero big match da quando Grosso si era seduto sulla sua panchina (sembra passato un secolo e invece dal suo ingaggio è passato solo un mese mezzo). Possiamo solo immaginare la densità dell’atmosfera dentro l’autobus della squadra che si avvicinava al Velodrome, gli sguardi torvi, il silenzio pesante quando le pietre hanno iniziato a far esplodere i finestrini, piovendo all’interno. Una di queste, com’è noto, ha colpito in faccia proprio Fabio Grosso, lasciandolo stordito per molti minuti e con 12 punti di sutura in faccia in più. Le sue foto circolate sui social hanno come dettato l’uscita delle notizie sul suo stato di salute. Una che lo ritraeva disteso e apparentemente privo di sensi ha accompagnato la notizia che non riuscisse a sostenere una conversazione e che potesse aver subito una commozione cerebrale. Poi è uscita una sua foto in piedi dentro lo spogliatoio del Lione, con il sangue che ancora gli colava dalle bende che gli fasciavano vistosamente la testa, mentre sembra parlare alla sua squadra, come un generale appena ferito che non vuole lasciare il campo di battaglia. Incredibilmente, nonostante la gravità dell’accaduto, entrambe le squadre si sono lamentate che la partita sia stata rinviata.

Oggi l’Equipe è uscito con la sua foto con il volto tumefatto e coperto di sangue a tutta pagina in copertina. Il titolo è: “Il disgusto e la vergogna”. In Francia sembra esserci sempre un momento della stagione in cui la frangia più violenta degli ultras sembra completamente fuori controllo. E questo episodio è solo l’ultimo di una fase in cui quelli del Marsiglia hanno già dato il peggio di loro. Ieri, oltre a quello della squadra che stava trasportando Fabio Grosso, gli ultras della squadra biancazzurra hanno assaltato altri tre pullman di tifosi del Lione. Secondo l'ANSA, sono state arrestate sette persone.

La copertina dell'Equipe può avere diversi significati. La ministra francese dello sport, Amélie Oudéa-Castéra, ha parlato di «fatti inammissibili» e «immagini disgustose». Immagino che anche nel nostro Paese questa immagine riaccenderà l’incancrenita discussione sulla violenza negli stadi, con la solita esibizione di banalità e tendenze repressive varie. Restringendo il campo alla storia personale di Fabio Grosso, però, sembra più che altro il fotogramma di uno di quei film in cui a un certo punto l’immagine va in freeze e il protagonista, con una voce fuori campo, dice: forse vi starete chiedendo come sono finito in questa situazione.

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