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Antonio Moschella
Dicono di Bielsa
10 ago 2015
10 ago 2015
Tre interviste per conoscere meglio "El Loco".
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Antonio Moschella
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Di Marcelo Bielsa si sa molto, ma spesso solo per sentito dire. Raccogliere dichiarazioni dirette su di lui è difficile, in primis perché da oltre quindici anni non rilascia interviste personali ma si rivolge ai media solo durante le conferenze stampa obbligatorie per contratto.

 

Per cercare di aggirare questo fossato, ho cercato di farmi raccontare qualcosa di lui da chi ne ha condiviso momenti e percorsi di vita. Dopo essere stato nei luoghi principali in cui Bielsa ha fatto la storia, come la sua Rosario, Bilbao e Marsiglia, ho pensato di rivolgermi a chi lo conosce meglio. I rifiuti di Gabriel Heinze, per il quale Bielsa è stato un maestro a tutto tondo, e di Edgar Andaur, suo autista e collaboratore nei tempi della nazionale cilena, sono dovuti all’estrema reverenza che hanno verso l’allenatore argentino.

 

Nel lungo e impervio accesso al mondo Bielsa mi sono venute in aiuto tre persone che hanno avuto a che fare con Bielsa in maniera piuttosto ravvicinata. Il primo è Jorge Griffa, sua fonte di ispirazione e allenatore delle giovanili dei Newell’s Old Boys durante gli anni ’80; Martín Posse, attaccante che con lui, nel Velez post Carlos Bianchi, ha dovuto imparare anche a difendere; e infine Andoni Iraola, storico capitano dell’Athletic Bilbao durante i due anni in cui Bielsa ha allenato la squadra basca.

 

Si tratta di tre persone che hanno conosciuto Bielsa in momenti diversi della sua vita, che mi hanno aiutato a conoscere la persona dietro il personaggio, l'allenatore in carne e ossa dietro l'icona che ormai lo nasconde. Il tutto per sapere qualcosa di più su quel fissato di tattica che a inizio carriera mise a dieta un giovanissimo Batistuta lasciandogli una scatola di alfajores come premio dopo la partita di campionato.

 




Se c’è qualcuno che ha vissuto sulla sua pelle l’impatto del rigore tattico di Bielsa questi è Martin Posse, ex attaccante di Velez Sarsfield ed Espanyol e attuale allenatore de La Pobla de Mafumet, squadra che milita in Serie C spagnola. Il primo incontro tra i due avvenne nel giugno del 1997, quando il tecnico fu chiamato a dirigere una squadra in grado di vincere tutto dal 1993 al 1996 agli ordini di Carlos Bianchi, allenatore più verticale e meno maniacale. Nessuno dei due sapeva che quello sarebbe stato l’inizio di un percorso congiunto: dopo la vittoria del torneo di

del ’98, Bielsa decise di portare Posse con sé all’Espanyol, dove quest’ultimo sarebbe rimasto per cinque anni nonostante ‘El Loco’ lo avesse lasciato solo dopo pochi mesi per accettare l’incarico di CT dell’Argentina nel novembre dello stesso anno.

 


 

Seduto a un tavolo del ristorante barcellonese ‘Nueve Reinas’ specializzato in carni argentine e di cui è co-proprietario, Posse si lascia andare a un elogio del suo ex tecnico con il quale ancora possiede una relazione limpida e sincera. La discussione ha inizio proprio sull’arrivo di Bielsa al Velez.

 



Con Carlos Bianchi il Velez aveva vinto tutto dal 1993 al 1996, battendo anche il Milan nell’Intercontinentale del ‘94. Eravamo una squadra composta all’80% da membri delle giovanili e giocavamo praticamente a memoria. Quando Marcelo arrivò diede il via a una vera e propria rivoluzione perché passammo da un 4-4-2 molto collaudato a un  4-3-3 nel quale io da seconda punta fui dirottato in fascia per fare l’ala destra.

 



Non solo  per me. Si trattava di ripartire praticamente da zero dal punto di vista tattico e dell’allenamento. Nel torneo di

la squadra finì quarta deludendo le aspettative. La metodologia di lavoro era cambiata radicalmente e ciò aveva influito sulle prestazioni nonché sull’ego di alcuni uomini simbolo dello spogliatoio come Chilavert, che con Marcelo si beccò più di una volta. I primi cinque mesi furono una

, nel senso negativo del termine.

 





Fu a dicembre, con il ritiro estivo che si avvicinava e nel quale bisognava preparare il campionato di clausura. In particolare ricordo una riunione di tre ore nella quale tutti interagivamo e lui continuava a insistere sull’efficacia delle sue idee. Aveva da poco litigato con Chilavert, ma il gruppo uscì fortificato da quell’incontro, risoluto a vincere per recuperare il prestigio perduto. E così fu. Vincemmo quel campionato comandando la classifica dalla prima all’ultima giornata.

 



Non più di tanto perché con il gioco di Bielsa le occasioni in attacco si moltiplicano. Attaccavamo e difendevamo tutti puntando subito sul pressing e la squadra manteneva sempre un ritmo molto alto. Ed è un gioco che lui continua a professare. Marcelo mi rese un calciatore migliore, ma soprattutto più completo. Io ero un attaccante e lui mi insegnò a difendere, cosa che a 22 anni non avevo mai fatto.

 


Velez – Racing, nel Clausura 1998. Il secondo gol è di Martin Posse.


 



Oltre ad aver giocato ai suoi ordini sono stato una settimana a Bilbao tre anni fa per vedere da vicino come allenava, con gli occhi del tecnico e non del giocatore. Dopo ogni sessione d’allenamento mi prendeva in disparte e per oltre un’ora mi spiegava a fondo i suoi metodi di lavoro. Da lui ho assorbito una metodologia di allenamento fondato sul lavoro individuale in precise zone del campo e sulle fasce, con il pressing e le triangolazioni come cardini principali. Il tutto sempre con il pallone tra i piedi. I suoi allenamenti non piacciono tanto ai calciatori in quanto implicano movimento costante e cambi di ritmo rapidi e corti. Tuttavia dopo un po’ i movimenti si assimilano e senza accorgertene ti ritrovi ad eserguirli in campo proprio come lui ti ha insegnato. A volte mi è capitato di voler fare bene un esercizio solamente per non ascoltare dopo le sue lamentele.

 



L’attenzione al dettaglio. A Marcelo non sfugge niente. Qualche mese fa ci siamo visti e mi mostrò sull’iPad un movimento sbagliato in copertura del suo mediano che non faceva filtro e veniva quindi coperto da un centrale, il quale, accelerato dall’istinto, lasciava poi un buco enorme in difesa che sarebbe risultato fatale. Mi disse quindi che “essere allenatore significa anche far sì che il mediano abbia l’istinto protettore del difensore e che quest’ultimo abbia il posizionamento tattico corretto del mediano”. Dopo quell’incontro mi resi nuovamente conto che Marcelo in pochi minuti mi aveva dato l’ennesima lezione tattica, 17 anni dopo la prima.

 




 



 

Se Bielsa per Posse è stato il primo punto di riferimento quando ha iniziato ad allenare, colui che può essere definito come vero mentore di Bielsa è Jorge Griffa. Era impossibile non pensare a lui per conoscere i primi passi in panchina dell’attuale tecnico dell’Olympique Marsiglia. A 80 anni, Griffa è ancora un uomo di calcio, nonostante si sia ritirato dalle attività di allenamento, e risponde lucidissimo dall’altro lato del telefono, in quel di Buenos Aires, città dove risiede quando non è nella sua Rosario natale.

 

Difensore centrale in Spagna all’Atletico Madrid e all’Espanyol, Griffa era tornato agli inizi degli anni ’70 in Argentina per iniziare ad allenare le giovanili del Newell’s Old Boys. La sua fama era ben nota e all’epoca vantare un’esperienza in Europa era motivo di idolatria da parte di molti. Più di dieci anni prima di diventare suo assistente e suo principale scouter, Bielsa, che si allenava ai suoi ordini, aveva sorpreso Griffa con poche parole.

 


 



Mi guardò negli occhi e mi chiese: «Lei è Jorge Griffa? Lei è tornato dalla Spagna per venire ad allenare qui a Rosario? Lei è pazzo». In effetti era la mia prima stagione da allenatore delle giovanili nel Newell’s e l’essere tornato dalla Spagna mi conferiva un’aura di autorità, ma per Marcelo evidentemente ero solo un matto.

 



Qualche settimana fa attraverso quel programma lì che permette di parlare attraverso internet [Skype

]. Siamo sempre rimasti in contatto e abbiamo mantenuto una relazione forte anche senza volerlo.

 



Pensa che qualche anno fa avevo deciso di comprare una casa nella zona nord di Rosario. Qualche giorno dopo mi resi conto che anche lui possedeva un immobile nello stesso isolato.

 



In realtà lui come calciatore aveva molti limiti, per questo si ritirò a 26 anni. Poi però è stato abilissimo a far sì che i suoi calciatori non ripetessero i suoi errori, rendendoli migliori continuamente.

 



Viscerale. Marcelo ha un gran temperamento e lo trasmette ai suoi giocatori.  È capace di applicare al calcio tutti i dettami necessari per raggiungere gli obiettivi prefissati, anche se quest’anno la fortuna non lo ha aiutato a vincere.

 



Il calcio ha una sola lingua e Marcelo la parla perfettamente. Quando iniziò a farmi da assistente gli chiesi di adattarsi alle esigenze del calcio. E così è stato.

 



Grazie alla sua dedizione e alla sua pazienza il Newell’s è stato tra i primi club a scandagliare in profondità tutti i meandri del calcio argentino. Con la sua presenza diretta sui campi di tutto il paese siamo riusciti ad ampliare i nostri orizzonti, riuscendo così a colmare il gap con le grandi d’Argentina come River e Boca.

 



È molto esigente sia a livello fisico sia a livello psicologico. Forse la seconda caratteristica è il vero punto forte, perché esercitando una forza notevole sulla psiche dei suoi calciatori li aiutata rendere di più. La sua più grande virtù invece è quella di offrire ai suoi ragazzi una concretezza che lui non è mai riuscito ad avere in mezzo al campo.

 


Marcelo Bielsa e Alejandro Sabella.


 



Se Griffa fu il maestro di Bielsa, Andoni Iraola ne è stato il soldato esecutore sul campo. Capitano dell’Athletic Bilbao allenato dall’argentino dall’estate del 2011 a quella del 2013 e adesso in forza al New York City FC, Iraola mi ha gentilmente concesso un po’ di tempo dei suoi ultimi giorni a Bilbao per telefono. Nella stagione 2011-12, la prima di Bielsa, l’Athletic Bilbao raggiunse la finale di Europa League portandosi in dote lo scalpo di uno squadrone come il Manchester United e venendo sconfitto solo in finale dall’Atletico di Simeone. Durante il suo soggiorno nei paesi baschi, il tecnico argentino si affidò alla sapienza tattica di Iraola come terzino destro, oltre al suo carisma come capitano.

 


 



Avevamo molto rispetto per lui da subito, vista la sua esperienza riconosciuta con Argentina e Cile. L’inizio fu durissimo: non avevamo mai praticato allenamenti così estenuanti fisicamente. Eppure lui punta sempre sul fondo e sui risultati a lungo termine e dopo qualche mese abbiamo iniziato a rendere meglio del solito dal punto di vista atletico.

 



È un viavai continuo, avanti e indietro con movimenti da fisarmonica. Avevo però tantissima libertà di attaccare, come mai prima in carriera. Marcelo mi diceva sempre che l’identità della squadra si vede principalmente dal ruolo dei terzini e delle mezzali. A seconda del loro gioco si denota se una squadra è offensiva o difensiva.

 



Oscar fu uno di coloro che trasse maggiori benefici dal gioco tra le linee di Bielsa. Egli è capace di giocare sia terzino sia mezzala, grazie alle sue eccellenti doti atletiche, e in quel periodo marcava un po’ la nostra forma di giocare. Lui era perfetto per Bielsa e viceversa.

 



Non dimenticherò mai l’andata degli ottavi di finale all’Old Trafford contro il Manchester United. Quella sera mi toccò di marcare prima Giggs e poi Nani. All’intervallo, con il risultato sull’1 a 1, Bielsa fece trabordare tutte le sue doti di gran motivatore urlando a chiare lettere: «La differenza tra una buona prestazione e la storia verrà fuori nel secondo tempo». Tornammo in campo motivati come non mai e dominammo i Red Devils a casa loro, tornando a casa con una vittoria storica, come voleva lui.

 


La finale di Europa League persa contro l’Atletico Madrid.


 



Dico sempre che lui ‘denuda’ i suoi calciatori, nel senso che ne rende palesi limiti e virtù in modo da farli migliorare continuamente, tirando fuori da loro le migliori qualità che si riflettono poi nelle prestazioni. Un giocatore di una squadra di Bielsa non può mai nascondersi.

 

 

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