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Diario Italia: elaborare la sconfitta
05 lug 2016
05 lug 2016
Come ricorderemo questa Italia, se la ricorderemo?
(articolo)
13 min
(copertina)
Illustrazione di Andrea Chronopoulos
(copertina) Illustrazione di Andrea Chronopoulos
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Daniele

Caro diario (cioè, caro Simone) cercherò di mettere in ordine i pensieri ma un diario deve riflettere i conflitti interiori di chi lo scrive, credo. Sono deluso, ovviamente, per come è andata la partita, ma anche dalle reazioni intercettate di persona negli attimi immediatamente successivi al rigore di Darmian e, dopo, su internet. Ho visto il video di Barzagli in lacrime a notte fonda, e sono rimasto sorpreso dalla lucidità che è stato capace di avere in un momento così emotivo.

Quello di Barzagli è sia uno sfogo sia una critica. Perché il punto, oltre alle lacrime commoventi, per carità, è che se ci dimenticheremo di tutto, di questa partita, di questa squadra (e già ce ne stiamo dimenticando) sarà solo colpa nostra. Non è, come si è affrettato a scrivere qualcuno, nell’ordine naturale delle cose. È una questione culturale: Barzagli parla dall’interno di una cultura sportiva che ricorda solo gol e marcatori, al limite il voto in pagella, e i giudizi vengono costruiti interamente sull’evidenza del punteggio, come prova assoluta del valore di una squadra o di un giocatore. E le reazioni dei primi giorni danno ragione alle paure di Barzagli, anche se in una forma leggermente diversa: non è che questo Europeo non verrà ricordato, è che sarà impossibile ricordarlo in un modo solo.

Forse Barzagli parlava anche sul piano internazionale, e in quel caso temo abbia ragione, i quarti di finale valgono semplicemente troppo presto perché una squadra nazionale venga ricordata, ma sarebbe bello se almeno su quello nazionale ci fosse un minimo di uniformità di giudizio. È come se la sconfitta ci avesse gettato in un vortice in cui ogni opinione, anche quella più palesemente da incompetenti, ogni semplice antipatia o pregiudizio, ogni moto di pancia, fosse legittimato dal fatto stesso che abbiamo perso quindi non c’è più niente da perdere. E invece, come ha scritto Marti Perarnau è triste non sapere perché si perde o perché si vince, è un’ulteriore sconfitta.

Simone

Caro Daniele, che mestizia. Non mi era mai successo di provare un dispiacere così vicino a quello che provo come tifoso della mia squadra per una sconfitta della Nazionale, e insomma, solo quattro anni fa abbiamo perso una finale dello stesso torneo. Eppure quell’arrivare a soli 90 minuti dalla vittoria finale contro una Spagna imbattibile non fu coinvolgente come vivere questo Europeo. Credo che semplicemente, come nella vita, nel calcio le aspettative siano responsabili della maggior parte della soddisfazione finale. Le nostre erano un abisso, e l’Italia è stata per larghi tratti una vetta, con un delta così non puoi non provare un sincero dispiacere nel vedere un cammino interrotto a metà. Perché se non è vero che solo i vincenti hanno un posto nella storia (pensa all’Arancia meccanica di Crujiff del ‘74) è vero che devi almeno perdere una finale, se vuoi che tra vent’anni si parli ancora di quella squadra che fece un totale molto più ampio della somma dei propri singoli fattori.

A livello internazionale questa partita resterà un punto sulla linea della sfida infinita tra Italia e Germania, e verrà ricordato la prossima volta che incroceremo i tedeschi: che è oggettivamente pochino, come ricordo. In Italia non saprei definire adesso quale posto avrà questa Nazionale nella storia delle nostre selezioni, se però di questa spedizione resteranno solo le battute su Zaza e Pellè, un po’ vuol dire che davvero non ci meritiamo niente. Ci siamo riempiti la bocca di Leicester per rappresentarci come underdog che prova a sovvertire risultati che sembrano già scritti, ecco, non lo so. Perché se Vardy avesse sbagliato un ipotetico gol decisivo all’ultimo minuto dell’ultima partita utile, non credo che i tifosi del Leicester avrebbero detto “guarda sto cojone, ce sarà un motivo se gioca ndo gioca” (sì, ok, sono dei tifosi del Leicester di Garbatella), come ho sentito dire di Pellé che fino a quel momento aveva svolto un lavoro quasi impeccabile.

Daniele

Esatto, e si passa da cose di questo tipo alla retorica degli eroi. Nel mezzo, però sono stati travisati anche concetti puramente calcistici e qualcuno ha dipinto la partita con la Germania con tinte davvero troppo fosche. Vorrei chiarire una cosa, perché le interpretazioni dall’esterno possono essere molte ma alcune sono semplicemente sbagliate, o molto confuse. E dato che le leggo anche nei commenti di questo sito, e che secondo me tutti hanno la responsabilità di contribuire a un contesto più chiaro che non deve per forza condannare o salvare, ci terrei a chiarire un paio di cose. Perdonami se userò qualche gif.

Anzitutto non può esserci altra interpretazione se non quella secondo cui la Germania si è adattata al gioco italiano (e in Germania la mossa è stata criticata). Non è un male, è una mossa furba e Löw si è rivelato uno stratega cinico e capace. La Germania ha giocato sì con la difesa a 3 in passato, ma quasi solo in amichevole, nelle qualificazioni per l'Europeo lo ha fatto solo contro Gibilterra. Nel corso del torneo non lo aveva mai fatto, pur avendo già giocato contro una coppia di attaccanti (Milik e Lewandoski). Magari lo farà anche con la Francia, magari questa sarà la nuova identità tedesca, perché ha grossi benefici, ma è indubbio che sia nata come reazione al gioco italiano.

Non possiamo dire che si sia trattato di una mossa “difensiva”, perché tesa anche al dominio sul piano del possesso che la Germania ha effettuato, ma è comunque una mossa “reattiva”, che non ha contribuito in nessun modo a risolvere i problemi della Germania in fase propositiva (la mancanza di profondità) ma che è servita a dare maggiori tutele. La lettura migliore della partita è nell’analisi di Emiliano Battazzi, qui vorrei solo sottolineare alcuni dettagli.

Se guardate nella parte alta dello schermo, si vede bene come Howedes si occupa dell’inserimento di Giaccherini e la difesa a 3 della Germania marchi a uomo i giocatori offensivi italiani (le due punte + la mezzala). Il difensore in più aggiunto da Löw, il doppio terzino (Howedes oltre a Kimmich), in sostanza serviva a questo, oltre ad avere un giocatore in più con cui tenere palla se l’Italia pressava (e nonostante ciò la Germania è finita spesso da Neuer anche quando l’Italia saliva in inferiorità numerica).

Qui sopra, invece, si vede che se i due centrali tedeschi impegnati da Pellé e Eder erano quelli sullo stesso lato in cui si inseriva la mezzala italiana, allora il sistema tedesco rischiava il tilt, se la mezzala corrispondente (Schweini) non riesce a seguirla. Purtroppo queste situazioni si sono viste poco, perché l’Italia ha visto poco la palla in generale e la Germania in quelle rare occasioni ha abbassato abbastanza la difesa (allungando la squadra, come ha fatto anche Guardiola con il Bayern, ma con maggiore aggressività) togliendoci ulteriore profondità.

Anche se con un baricentro alto, la Germania ha aspettato l’Italia esattamente come l’Italia ha aspettato la Germania, e pur di non scoprirsi in alcune situazioni si posizionava anche con il 4-5-1. Ad esempio:

Ed è una strategia che ha funzionato, la Germania ha recuperato palla molto facilmente non appena l’Italia metteva la testa fuori dalla difesa (quello che è cambiato tra primo e secondo tempo tempo è stata proprio la capacità dell’Italia di far circolare palla con i tre difensori e il portiere risalendo il campo con pazienza) e ha avuto il controllo quasi totale della gara. Löw è stato perversamente geniale nell’interpretazione del piano gara, ha avuto pazienza perché aveva la squadra più forte, ed ha avuto ragione perché alla fine ha vinto. Ma è andato davvero vicino a perderla.

Alla Germania è mancato un numero di occasioni che corrispondesse al controllo esercitato. Il gioco tedesco non è mai stato brillante, e soprattutto non era un vero e proprio gioco di posizione, ma di semplice possesso.

Se guardi le posizioni qua sopra ti accorgi che anche nei momenti migliori della circolazione tedesca, quelli in cui magari salivano palla al piede più a ridosso della nostra area, non si creava mai superiorità né le condizioni per una giocata in profondità. Forse avrebbero potuto portare più palla (con il rischio di perderla) e tentare più dribbling, specie in fascia (invece avevano un centrocampista tecnico adattato, Kimmich, e un terzino sinistro di un metro e ottantacinque, Hector), o più inserimento con le mezzali (l’infortunio di Khedira in questo ha pesato e peserà molto). Ma non lo hanno fatto. E dubito che se la Germania avesse perso ai rigori l’avrebbero ricordata come una grande partita.

E qui mi fermo, Simone. Volevo solo chiarire che la Germania non ci ha fatto a pezzi come a leggere certi commenti sembrerebbe. Anzi, hanno fatto una partita molto prudente e attenta.

Simone

Portando un po’ all’estremo il dislivello tecnico tra questa Italia e questa Germania, possiamo ricorrere alla storia di Davide e Golia. Ecco, stavolta ha vinto Golia, ma per farlo si è messo carponi, si è messo dei vestiti piccoli che gli stavano strettissimi, ha strisciato per terra, si è nascosto dietro un masso e alla fine ha avuto la meglio perché a Davide è venuto il singhiozzo nel momento decisivo della lotta. Questo aumenta i rimpianti di Davide, ma non sminuisce il successo di Golia.

I tedeschi sono piuttosto critici nei confronti di Löw per aver snaturato la sua Germania, io invece in questa capacità di cambiare in virtù dei punti di forza dell’avversario ci vedo solo grande intelligenza, e anche un pizzico di umiltà. Questo non vuol dire che la Germania sia diventata l’Italia, non poteva esserlo neanche provandoci, nel bene e nel male. Se è cambiata in una direzione, ci metterei più la Spagna sull’orizzonte di questa traiettoria, ma se quella del possesso palla è una mutazione genetica profonda, in questa occasione, su quel corpo mutato e definito nelle sue forme dalla crescita di un intero movimento calcistico, Löw è stato bravo a mettere una tuta da metalmeccanico invece che il solito vestito da cerimonia.

Non mi addentro nella tattica e nelle dinamiche di squadra perché lo hai già fatto tu in modo più meticoloso di quanto io possa fare, ma a complemento di questa analisi voglio ancora una volta sottolineare come anche le idee più brillanti dell’allenatore più preparato al mondo non bastino da sole se i suoi giocatori non sono disposti a dare tutto per lui. E visto che questo è un concetto universale, per fare un esempio non voglio parlare di noi ma di loro.

L’azione del gol di Ozil nasce da un magnifico taglio orizzontale di Gomez che abbandona la sua posizione centrale e si fionda sull’esterno con una velocità e una fame che continuano a impressionarmi ogni volta che le rivedo.

Gomez era considerato un giocatore sostanzialmente finito, dopo il mezzo fallimento della sua avventura a Firenze e il conseguente trasferimento in Turchia. Löw è riuscito a rimotivarlo e farlo tornare un attaccante che, senza pensarci, ha semplicemente bisogno di vincere quel duello aereo così lontano dalla porta e potenzialmente così ininfluente. Questo per ricordarsi quanto al lavoro tattico sulla squadra intesa come sistema integrato venga affiancato quello individuale sulla testa e il cuore di ogni singolo giocatore, e in buona sostanza di quanto diavolo sia complesso e articolato il mestiere dell’allenatore.

Daniele

Appunto. E noi parliamo solo di quello che è visibile, tipo, il 30% di quello che fanno gli allenatori. Per questo non capisco davvero cosa si possa rimproverare a questa squadra (a parte di sbagliare meglio i rigori, qualcuno dica a De Gregori di rimettere mano ai suoi testi). Avrebbe potuto avere più coraggio? Conte avrebbe potuto fare scelte diverse? Può darsi. La realtà dei fatti però è che l’Italia ha perso perché in fase di costruzione ha sempre fatto fatica, anche contro la Svezia, l’Irlanda o in amichevole con la Finlandia, ma persino contro un’avversaria come la Germania ha provato a costruire. Di più, semplicemente, non è riuscita a fare anche grazie alla partita intelligente giocata dalla squadra avversaria. Per tirare in porta bisogna arrivarci, fino all’area avversaria. Non è una squadra scarsissima, come qualcuno ha detto, ma era una squadra davvero molto normale!

Non è stata una squadra divertente, esaltante, di quelle su cui è facile proiettare l'immagine di successo in cui di solito ci identifichiamo nello sport, che poi è quasi sempre un'immagine di superiorità virile che, voglio dire, guardatevi nello specchio del bagno del vostro ufficio e ditemi se somigliate a Cristiano Ronaldo (ma neanche Cristiano Ronaldo somiglia all'immagine di se stesso quando sbaglia sotto porta... ma questo è un altro discorso). In alcuni momenti, quando le combinazioni funzionavano, aveva la bellezza di quei giochini a domino in cui una biglia fa cadere una leva che solleva un peso gigante che schiaccia un palloncino da cui escono delle colombe. Non è il modo migliore in cui si può giocare a calcio, ma era una proposta originale in un contesto in cui la maggior parte delle squadre copre il centro e gioca contropiedi neanche organizzati. Ed è un gioco perfetto per un torneo breve, dubito anche che Conte lo riproporrà al Chelsea.

Ecco, poi va ricordato che raramente squadre così “medie” a centrocampo e in attacco hanno due difensori tecnicamente al livello di Barzagli e Bonucci, ma distorcere la realtà dicendo che non è stato fatto niente di speciale è davvero incomprensibile. Non è una questione di nomi a disposizione, non va fatta la tara sulla base del talento, perché nessuno ha regalato niente alla squadra che ha giocato le partite con Belgio, Spagna e Germania e finché nel calcio non introdurranno gli handicap come nelle gare di vela non è un discorso interessante. Ma è una questione di gioco e prestazione: la proposta italiana è stata migliore a quella di qualsiasi altra squadra vista in questo Europeo. Per quanto limitata e imperfetta, anche sul piano collettivo e dell’organizzazione, era la più completa e difficile da difendere quanto da attaccare. E andrebbe ricordata così.

Simone

A questa squadra non si può rimproverare nulla, e l’unica scelta di Conte sulla quale mi tengo dei dubbi è quella relativa all’ingresso di Zaza. Se fai entrare uno solo per calciare un rigore, quello può anche sbagliarlo, ma non perché fino alla fine non sa dove tirarlo, che è l’impressione che lascia quella grottesca, infinita rincorsa. Se De Rossi era in panchina un rigore avrebbe potuto tirarlo, e se anche nel suo caso non si poteva avere certezza dell’esito finale (ne ha sia segnati che sbagliati di pesanti nella sua carriera), avrebbe sicuramente saputo gestire l’emozione meglio del suo giovane compagno.

Può sembrare una critica pretestuosa, ma in realtà credo che considerare decisiva in negativo questa scelta di Conte renda l’idea di quanto sia stata una incredibile sequenza di scelte giuste quella che ha preceduto l’ultima. È la dimostrazione plastica che questa squadra è stata letteralmente telecomandata in ogni sua giocata dal proprio allenatore, e l’unica volta che il comando non è stato quello giusto, il risultato l’ha condannata. Nel calcio a questi livelli i dettagli fanno la differenza, e questo dettaglio potrebbe aver cambiato il corso di questa storia, ma è solo un dubbio, la controprova non ce l’avremo mai.

In ogni caso, chi ama il calcio ricorderà la pazienza e la maestria con la quale è stato costruito questo castello, chi vive la Nazionale come momento di coinvolgimento emotivo, rimarrà fisso nel ricordo e nel racconto di quel mattone che è caduto giù quando la torre era quasi finita. Ma i monumenti restano e raccontano la storia di chi li ha eretti, e questo castello incompleto qualcuno tornerà a visitarlo, e quando ci sarà dentro non vedrà più che manca il tetto mancante, perché starà ammirando a bocca aperta quelle fondamenta di incredibile solidità, fatte di legno e spago e carta e colla, ma che, incredibilmente, tenevano su tutto.

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