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Diamante nascosto
23 giu 2016
23 giu 2016
Da dove viene e come gioca Domantas Sabonis, figlio di suo padre.
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Nelle orme di Arvydas

Di Davide Bortoluzzi

Il 3 maggio 1996 a Portland si era in pieno clima playoff: i Blazers avevano pareggiato due sere prima la serie con gli Utah Jazz di Stockton e Malone e si stavano preparando alla decisiva Gara-5 da giocarsi a Salt Lake City. Arvydas Sabonis, alla sua stagione da rookie in NBA, aveva sciorinato l’ennesima prestazione di livello della sua carriera, chiudendo con 25 punti, 13 rimbalzi e 4 assist. Nella vita del campionissimo lituano, però, questo giorno assunse un valore molto più significativo, coincidendo proprio con la nascita del terzogenito Domantas.

Dopo la chiusura della sua prima esperienza a Portland, Arvydas e Ingrida decisero di spostare la famiglia in Spagna, a Malaga, per far crescere i figli in un contesto internazionale e in un certo senso per proteggerli dal circo mediatico che li avrebbe inevitabilmente condizionati nel caso fossero ritornati a Kaunas. Così Žygimantas, Tautvydas, Domantas e la piccola Aušrinė si trasferirono in Andalusia nell’estate del 2001, frequentando scuole internazionali e di fatto sviluppando una mentalità cosmopolita sia dal punto di vista linguistico che culturale. A riprova di ciò il fatto che Domantas parli un lituano piuttosto zoppicante rispetto ai connazionali, e che possa essere considerato di fatto un madrelingua inglese con un’eccellente conoscenza dello spagnolo.

Una famiglia tradizionale ed unita, con mamma Ingrida – Miss Lituania nel 1990 – a fungere da presenza protettiva e amorevole pur con discrezione e tatto, lontana anni luce dal concetto di genitore ultras di alcuni prospetti a 5 stelle da questa e da quella parte dell’oceano. Dei 4 rampolli del principe del Baltico, solo Tautvydas e Domantas seguono le orme paterne, entrambi calcando i parquet andalusi con la maglia dell’Unicaja. L’istrionico ed estroverso Tautvydas fa parte di quella generazione d’oro lituana del 1992 che guidata da Jonas Valanciunas ha conquistato l’oro in tutte le competizioni giovanili europee e mondiali dall’under 16 all’under 19. Dopo un’onesta carriera giovanile nell’ombra del lungo dei Raptors, ora gioca in LEB spagnola con il Maiorca.

Domantas — molto più timido ed introverso, come il padre — parte più in sordina, ma già con l’under 16 della Lituania inizia ad essere visto come un prospetto di primo livello tra quelli della sua classe, seguito da diversi college di Division I tra cui Texas A&M, Oregon, Arizona e… Gonzaga. L’Unicaja Malaga è una realtà giovanile di primo livello in Spagna, che ha permesso a Domantas di crescere in un contesto competitivo di alto livello e di prendere parte ai più importanti tornei juniores del continente. Nella stagione 2013-2014 Domantas è parte integrante del roster della prima squadra, che cerca di convincerlo a firmare il suo primo contratto professionistico garantendogli molto spazio nelle rotazioni considerata l’età e le ambizioni del team, ma il lavoro certosino di Tommy Lloyd — assistant coach di Gonzaga — aveva dato i suoi frutti e già nella primavera del 2014 Sabonis annuncia che il suo futuro sarà in maglia Zags.

La scelta di Gonzaga è figlia di vari aspetti, in primis appunto il lavoro di Lloyd che già nel 2012 aveva allacciato i primi contatti con Domantas e la famiglia, passando ovviamente per la connotazione internazionale dell’ateneo, che vedeva a roster anche il polacco Karnowski e il canadese Pangos. Nella visita al campus avvenuta nel 2013 Sabonis ha apprezzato l’ambiente famigliare che si respira a Spokane, molto più incline alla sua semplicità rispetto ai classici contesti di alto livello NCAA, dove l’adattamento sarebbe stato molto più complesso.

Il biennio di Gonzaga è sotto gli occhi di tutti gli appassionati dal punto di vista dei risultati e del gioco, con un’apparizione alle Elite Eight ed una alle Sweet Sixteen, che l’ha portato ad elevare il suo status a prospetto da Lottery nel prossimo Draft. Una crescita silenziosa, sottotraccia, in linea con lo stile di questo ragazzo timido e modesto, poco amante dei riflettori e dei social, tanto che mamma Ingrida si lamentava dell’esiguo numero di foto postate su Instagram dal figliolo oltreoceano.

Domas — come lo chiamano gli amici — è sicuramente un ragazzo semplice, ma animato da un fenomenale spirito competitivo e dalla voglia di crescere e migliorarsi. Spirito competitivo a cui si associa una cura maniacale di ogni singolo dettaglio utile, tanto che a Gonzaga si iscrisse ad un corso di yoga per migliorare la postura e l’equilibrio per reggere meglio i contatti sotto canestro. Anche il rendimento scolastico è stato per lui eccellente, tanto da essere inserito nella Dean’s List nella sua seconda stagione, privilegio riservato ai detentori di un GPA superiore a 3.5. Ma nonostante tanta abnegazione, Domantas è un ragazzo socievole, che a Spokane ha trovato facilmente la sua confort zone, integrandosi perfettamente nel contesto del campus, come può confermare la signorina Addi Johnson, un posto nella squadra di cross – country di Gonzaga e un potenziale da futura signora Sabonis.

Sabonis è un cognome estremamente impegnativo da portare, carico di pressioni ed aspettative, specie se sei lituano e giochi a basket. In questo Arvydas ha aiutato molto il figlio, supportandolo e consigliandolo pur mantenendo un basso profilo – restando quasi nell’ombra, tanto da farsi vedere alle partite solo in un paio di occasioni quest’anno (al Battle 4 Atlantis alle Bahamas e al torneo della WCC a Las Vegas). Domantas sente comunque il peso di questo cognome, ma trasforma in questa pressione in voglia di lavorare per emergere e non deludere la sua famiglia e una nazione che vive di pallacanestro – oltre che per confermare le parole di papà Arvydas: “Domantas è il futuro della famiglia Sabonis nella pallacanestro” .

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Che tipo di giocatore è Sabonis?

di Nicolò Ciuppani

C’è una costante che accompagna il gioco di Domantas in tutte le sue fasi: l’energia. Non esiste un momento in cui non abbia intenzione di fare qualcosa: se è lontano dalla palla prova a chiamare il taglio di un compagno e portargli il blocco; se c’è una palla persa sarà uno dei giocatori che corrono a contenderla; se si va in contropiede non è mai quello che rimane indietro a tirare il fiato. Se c’è una scelta pigra in un’azione, state pur certi che non la compierà.

La prima cosa che balza all’occhio del gioco di Sabonis è quanto frequentemente lo si veda essere nella posizione giusta per prendere un rimbalzo. Senza dire un’esagerazione, Domas legge i rimbalzi con un paio di secondi di anticipo rispetto a tutti gli altri: prima che la palla raggiunga l’apice del rimbalzo, o prima ancora che colpisca il ferro, Sabonis è già alla ricerca della posizione corretta, sin da quando il tiratore fa partire il tiro. Il suo fisico non è affatto quello del prototipico lungo NBA: ha un’apertura di braccia piuttosto corta e non eccelle nel salto, ma compensa con delle mani decisamente grandi e un’insospettabile forza fisica. Anche traslando tra i professionisti, le sue doti di rimbalzista difficilmente subiranno una flessione.

Se gli arbitri gli permettono il contatto fisico ama creare spazio spingendo sotto canestro, piantare il piede sotto l’avversario e sfruttare il baricentro basso per creare separazione. In più, è in possesso della sacra arte del piantare il gomito e usarlo per fare perno su tutto il corpo. Ma più in generale è un motore instancabile per le palle vaganti: sarà sempre alla ricerca dello spazio aperto per infilarsi, e ha l’abitudine assai apprezzata dagli allenatori di cercare il rimbalzo nel punto più alto del suo salto, e non aspettare che cada tra le braccia tese.

Anche se parte in posizione svantaggiata, prova col corpo a sbilanciare l’avversario, che infatti perde l’equilibrio per saltare. È poi rapido a voltarsi e inseguire la palla.

Con una media di 17 rimbalzi contesi per partita, di cui quasi 5 offensivi, spicca subito questa sua abilità. Il dato pazzesco è che il 72% dei suoi rimbalzi catturati sono stati contestati, dei quali ne è uscito con il 68% di rimbalzi vinti in difesa e il 41% in attacco. Per lunghi tratti di stagione Gonzaga si è potuta permettere un ampia fetta di dominio a rimbalzo con un solo lungo in campo, o con Wiltjer a stazionare più lontano.

L’altra caratteristica che accompagna il suo gioco è la naturalezza nei movimenti su tutti e due i lati del campo. Nessun movimento di Domas sembra studiato e riprovato, ma tutti hanno quel senso di spontaneità ed eleganza che sorprendono, prima di ricordarti che il cognome sulla canotta recita Sabonis non a caso.

In un singolo movimento passa dal tenere a terra l’avversario che lo taglia fuori al prendere il rimbalzo sopra la testa, voltarsi in area a proteggere la palla, palleggiare facendo perno sui piedi e lasciando partire un gancio. Nulla è premeditato o interrotto, è improvvisazione senza soluzione di continuità.

Il suo gioco in post non è ancora neanche lontanamente elegante come quello del padre, ma nella sua semplicità resta decisamente efficace. Domas nell’ultima stagione ha tirato con il 62% del campo nei tiri contestati nel pitturato, e sui tiri che non derivano da passaggio del compagno si assesta sul 61%, segno che la capacità di crearsi un tiro proprio c’è eccome. Con le migliori spaziature che il gioco NBA offre, questo tratto può solo migliorare.

I movimenti per avvitarsi e svitarsi a piacere sono già nel bagagliaio tecnico, e sono cose per cui alcuni lunghi pagherebbero oro.

L’abilità di segnare in post è tutta lì da vedere, occhio anche al tiro in sospensione frontale, tutto il resto è trascurabile o ampiamente da migliorare.

La sua capacità di passatore è stata fortemente penalizzata dal fatto che Gonzaga ha giocato tutto l’anno senza un tiratore spot-up a premiare i suoi passaggi, ma la capacità di leggere il raddoppio è presente.

Il jumper è una piccola gemma nascosta: sebbene raramente lo abbia tentato da 3, è capitato molte volte che si ritrovasse con la palla scaricata nel midrange e il diretto difensore che lo marcasse da 4 passi. In queste situazioni può ancora decisamente crescere nelle percentuali, ma la meccanica di tiro è fluida e naturale (sì, ancora una volta). In genere per valutare la capacità di essere un buon tiratore tra i giocatori NBA si guarda come un giocatore si approccia ai tiri liberi: la media mantenuta è sul 77%, che è decisamente buona per un lungo.

Il tiro ha ancora alcuni difetti: le gambe tendono ad andare in avanti e sono ancora le braccia a dettare gran parte del movimento. Tuttavia le braccia sono dritte e la rotazione data al pallone è decisamente buona, il follow-trough è di stampo prettamente europeo. Non vi sono dubbi sul fatto che tra pochi anni quello sarà un jumper affidabile.

In difesa Sabonis è ancora in fase di costruzione: ha piedi abbastanza veloci da poter cambiare sui pick & roll e forza per resistere ai contatti, manca però di esplosività per essere un difensore in aiuto di impatto. In ogni caso, in nessun modo la sua stagione difensiva può essere considerata un malus.

Quelli mostrati in figura sono tutti i tiri difesi dagli Zags mentre Sabonis è in campo. La sua presenza peggiora leggermente le percentuali avversarie sotto canestro (da 47,7% a 46,3%) e crea una differenza nelle percentuali delle corner 3 di quasi il 10%. I quintetti con Sabonis in campo si assestavano su un Def Rtg in linea con quello stagionale (95.6)

Il diretto marcatore nell’azione è Poeltl, che rischia di essergli scelto davanti di qualche posizione nel Draft. Nello scontro diretto al torneo NCAA Sabonis non gli ha mai concesso il centro del pitturato in post o di guadagnare terreno, e gli Zags hanno conquistato una blowout win da sfavoriti nello scontro diretto.

Ma sarebbe sciocco prendere solo i lati buoni di Sabonis per valutarlo come giocatore: il suo gioco è ancora acerbo, ma già ci sono alcune pecche strutturali su cui occorre lavorare. Il primo problema per lui in NBA saranno i falli: per il suo gioco e per il suo carattere Domantas è incorso in problemi di falli un numero sorprendente di volte, e se il metro arbitrale non lo premia non fa nulla per rendere il suo gioco meno fisico.

Principalmente i falli che commette sono di due tipi: di spinta a rimbalzo e in post in attacco. I rookie sono famosi nella lega per essere soggetti a fischi arbitrali che ai veterani non toccano mai, e quelli a rimbalzo per prendere posizione sono i più difficili da mascherare per un giovane. Con un po’ di esperienza si impara a spingere l’avversario da un’angolazione meno evidente, o a gettarglisi addosso col corpo per non farlo saltare, ma inizialmente sarà chiamato a farlo contro gente alta più di lui e grossa il doppio.

I falli in post forse saranno più facilmente eliminabili, anche solo per il fatto che non sarà semplice per giocatori fisicamente più pronti essere spazzati via alla prima spallata che gli assesterà. In ogni caso aspettatevi numerosi falli anche nei pochi minuti che potrebbero concedergli nella prima stagione.

L’altro difetto preponderante è quello fisico: l’assenza di mezzi fisici di élite non sarà un ostacolo al suo sviluppo, ma le dimensioni delle sue braccia potrebbero esserlo. Già a Gonzaga alcune volte si è trovato impossibilitato a negare la ricezione in post al suo marcatore a causa delle sue braccia, e contro i lunghi della NBA le difficoltà possono solo peggiorare.

È questo forse il più grande punto interrogativo su Sabonis al momento: per la direzione in cui sta andando il gioco, tutti gli scout che lo guardano giocare provano a immaginarsi come sarebbero i quintetti di small ball della sua squadra con Domantas da 5 tattico. Al momento non vi è certezza che quella sarà una posizione per lui, non tanto perché andrà sotto fisicamente, ma per le sue leve. I 5 da small ball validi attualmente sono tutti longilinei con braccia sconfinate e capacità di difendere in aiuto vicino al canestro; forse in questo momento il gioco di Sabonis è più simile a quei lunghi vecchia scuola che entrano ormai dalla panchina per congelare il risultato con la second unit o per costringere ad un aggiustamento gli avversari. La sua capacità (o la mancanza) di riuscire a giocare da centro deciderà di che dimensioni saranno le sue fortune tra i professionisti.

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L’inserimento di Domantas

Di Lorenzo Neri

Nella versione 1.0 del nostro Mock Draft, al termine dell’analisi su come potrebbero muoversi i Magic con la 11, ho chiosato su Sabonis in questa maniera: Ogni giorno che passa somiglia sempre di più a una domanda che ci faremo tra 5 anni: “Come mai non è stato scelto tra le prime 5?”.

Una frase che può suonare molto audace per un giocatore che al momento ha i limiti perfettamente descritti nel paragrafo precedente, ma che tiene conto di una delle migliori caratteristiche del lungo lituano: l’incredibile adattabilità alle situazioni. Domantas è infatti tatticamente camaleontico, dotato di una conoscenza del gioco tale da permettergli di adattarsi nel miglior modo possibile al compagno di reparto a cui viene affiancato, come perfettamente dimostrato nei due anni a Gonzaga quando divideva lo spazio con Kyle Wiltjer, stretch-4 dalle doti balistiche indiscutibili, e il mastodontico Przemek Karnowski, centrone d’area con mano morbida ma con raggio d’azione limitato.

Proprio questa caratteristica fa sì che il ragazzo sia nella watch-list di tutte quelle squadre che hanno intenzione di scegliere un lungo nella seconda metà della Lottery in poi. In quel range di scelta sarà messo a confronto con big-men con gioco e stile ben definiti o che hanno qualità atletiche superiori alle sue, dato che esplosività ed elevazione aiutano a costruire un rim-runner capace di proteggere in difesa, qualità che invece peccano in Sabonis.

Ma tra tutti, il figlio di Arvydas è sicuramente il miglior giocatore di pallacanestro, una safe-pick che difficilmente deluderà le attese e che nella peggiore delle ipotesi può diventare un solido innesto dalla panchina grazie a versatilità, QI e capacità di mettere palla a terra anche nelle situazioni dinamiche come negli short-roll.

Per fare un esempio.

Questa è comunque la peggiore delle ipotesi, perchè il potenziale e i margini di miglioramento per un giocatore con quella testa, quel background e quella dedizione al lavoro rimane un mix più che intrigante. Ecco perchè già dalla scelta numero 9, quella appartenente a Toronto, possiamo aspettarci di sentire il suo nome dalle parole del commissioner Adam Silver.

E forse, tra 5 anni, qualcuno si pentirà di non averlo preso maggiormente in considerazione.

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