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La Roma controlla il derby
20 nov 2017
20 nov 2017
La squadra di Di Francesco si è dimostrata più convinta, organizzata e intensa della Lazio, e ha portato a casa una vittoria pesante per la classifica.
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Il derby della Capitale è un gigantesco vulcano in attività, in cui bollono e ribollono contrasti ormai quasi centenari, speziati da un umorismo irriverente che fuoriesce come lava da tutte le possibili fessure. L’importanza della partita per le due tifoserie, e di conseguenza per le due squadre, è alta come la temperatura della camera magmatica: per questo ci si affretta a dire che non è una partita come le altre e si utilizzano rituali e scaramanzie tipici di chi affronta un fenomeno incomprensibile e indomabile.

Come nel documentario di Werner Herzog dedicato ai vulcani e alle credenze che li circondano, Dentro l’inferno, quello del derby “è un fuoco che vuole farsi strada, e a cui non importa nulla di quello che facciamo quassù”: e molto spesso in quei 90 minuti si susseguono eroi improbabili, errori assurdi, giocate inspiegabili, bidoni improvvisi, psicodrammi temporanei. Le credenze magiche sul derby abbondano, così come le certezze di indescrivibilità e indomabilità: come ben riassunto dal celebre slogan dell’ex allenatore della Roma, Rudi Garcia, “un derby non si gioca, si vince”, quasi come non si ferma la lava, ma al massimo se ne indirizza il percorso.

Per capire un derby della Capitale, quindi, bisogna arrivare fino alle pendici del cratere, dove, come per Herzog, è “difficile distogliere gli occhi dal fuoco che brucia sotto ai tuoi piedi”: bisogna essere tifosi delle due squadre o averlo giocato almeno una volta.

I due allenatori di questa stagione, Di Francesco e Inzaghi, appartengono proprio alla seconda categoria: da giocatori hanno conosciuto l’importanza e gli umori di questa partita, che sabato si presentava anche come sfida di alta classifica. Il suo vociare popolare e cittadino, quasi provinciale, a volte fa dimenticare che il derby di Roma è già dall’anno scorso il più importante della Serie A: sia per punti complessivi che per equilibrio e livello tecnico.



Quello di sabato si presentava come uno dei derby più tattici degli ultimi anni. Da un lato, i principi di gioco proattivo di Di Francesco, con un’identità propositiva ben precisa che si adatta solo leggermente all’avversario di turno, perché è la propria squadra a dover imporre il contesto; dall’altro, il calcio reattivo di Simone Inzaghi, in cui la squadra avversaria viene incartata fino a fargli perdere ogni fiducia, giocando su tutte le sue possibili debolezze, con una squadra che è un organismo capace di sopravvivere ad ogni possibile ambiente.

A carte scoperte
Anche i vulcani però si possono studiare e descrivere, fino al punto di conoscerne la natura, e quasi prevederne l’attività, figuriamoci un derby. E in effetti, sin dall’inizio la partita si dimostra molto più razionale che magica: la Roma scende in campo con il classico 4-3-3 e Nainggolan recuperato dalla lesione muscolare, la Lazio con il classico 3-4-2-1 con Immobile al centro dell’attacco.

Anche le soluzioni tattiche di entrambe le squadre appaiono subito chiare: per la Lazio, si tratta di trovare uno dei due riferimenti tra le linee (Milinkovic-Savic e Luis Alberto) per approfittare della difesa molto alta della Roma e servire Immobile in profondità. Nei primi cinque minuti questo meccanismo sembrava funzionare, con i giallorossi in difficoltà a sistemarsi e a muoversi all’unisono, e la Lazio che ha provato a bucare costantemente la linea, grazie anche alla mancanza di pressione sul portatore. Senza palla, invece, i biancocelesti puntavano a chiudere completamente ogni linea di passaggio in zona centrale, a non concedere profondità dietro la propria linea difensiva, e far uscire quindi la Roma palla al piede per poterla punire con una transizione veloce.


Nella prima immagine, la Roma non accorcia sul portatore e non chiude lo spazio tra le linee: Milinkovic potrebbe servire Luis Alberto, ma ha la verticalizzazione per Immobile e la tenta. La difesa della Roma sale benissimo, ma la squadra si è esposta a un rischio enorme. Nella seconda immagine, Luis Alberto ha il tempo di alzare la testa, pensare ed eseguire il passaggio taglialinee per Lulic. La Roma è ferma e non c’è pressione sul portatore: la situazione peggiore per difendere così in alto.



La Roma si riprende, come un’orchestra che ha bisogno di qualche minuto di prova per accordare bene gli strumenti, ma aveva già fatto capire il suo piano gara dopo un minuto: aggressione alta sul primo possesso laziale, compattezza in zona palla, linea difensiva quasi a centrocampo. In questo modo si volevano evitare le ricezioni tra le linee e spingere i difensori laziali, quasi sempre privi di opzioni di passaggio, all’errore o al lancio lungo.

Con il pallone, invece, la Roma cercava un giropalla attento a non esporla a transizioni immediate laziali, ma soprattutto cercava in continuazione la ricezione tra le linee delle sue mezzali, Nainggolan e Strootman. Il contrasto di identità era ben chiaro: da un lato, la Lazio che lasciava volentieri il possesso all’avversario, chiudendo ogni spazio e aspettando un errore per colpire; dall’altro, la Roma che cercava di imporre il suo ritmo, e provava sistematicamente la riconquista del pallone sulla trequarti biancoceleste.


I problemi della Lazio in impostazione e la pressione ben organizzata della Roma: nel primo caso, Bastos non sa cosa fare perché tutti i suoi compagni sono marcati; nel secondo è Inzaghi stesso a suggerire a Strakosha di lanciare lungo (per Milinkovic, ovviamente). Da notare De Rossi sempre molto alto su Lucas Leiva.



Dopo i primi 5 minuti, la Lazio ha rinunciato a soluzioni complesse per risalire il campo e cominciato a lanciare, senza alcun frutto perché la linea della Roma era sempre alta e Immobile isolato tra i centrali avversari. Costretta ad un possesso basso inutile, la Lazio si è rintanata nella coperta di Linus del lancio per la testa di Milinkovic per risalire il campo, e alla conquista del duello aereo per attaccare le seconde palle. Il meccanismo però non ha funzionato così bene come nei derby della stagione passata, anche grazie all’azione di disturbo di De Rossi che gli si posizionava vicino, e di Manolas che provava ad anticiparlo (il serbo ha vinto solo 2 duelli aerei su 8).

I biancocelesti così non sono quasi mai riusciti ad attivare gli uomini tra le linee, e quasi mai a sfruttare il 4 contro 4 previsto da Simone Inzaghi in fase offensiva, con Lulic e Marusic altissimi a sinistra e a destra. Un piano gara ambizioso, a cui è corrisposta un’esecuzione invece troppo timorosa: nelle pochissime occasioni in cui la Lazio ha servito Milinkovic tra le linee, sfruttando qualche indecisione di posizionamento tra Nainggolan e Florenzi, la pericolosità delle azioni è aumentata vertiginosamente.


La parità numerica cercata da Inzaghi in fase offensiva, ma quasi mai sfruttata: da notare la posizione di Marusic ad attaccare il lato debole, un’idea giusta contro una squadra che accorcia molto sul pallone come la Roma, ma quasi mai riuscita.



La posizione media del possesso palla dice molto: 57 metri per la Roma, 47 per la Lazio (ma nel primo tempo la distanza era ancora più grande, di 15 metri - dati Wyscout). Sono 10 metri di differenza, 10 metri di coraggio e assunzione di responsabilità.

La versione di Eusebio
Chi conosce il fuoco che scorre sotto ai piedi del derby sa quanto gli eventuali errori possano persino arrivare a bruciare intere carriere. Di Francesco non si è impaurito e ha scelto una strategia aggressiva e rischiosa, considerando la capacità straordinaria della Lazio di attaccare la profondità: ma è stato premiato dall’ottima esecuzione dei suoi giocatori.

Con grande convinzione e organizzazione, i giallorossi sono andati a caccia del pallone nella trequarti avversaria, spingendo i difensori biancocelesti all’errore. Con altrettanta convinzione, però, sono andati a colpire uno dei difetti del 5-3-2 di Inzaghi, cioè la ricezione ai lati del centrocampista centrale: Di Francesco si è servito delle qualità di Strootman e Nainggolan per uscire dalla grande densità in zona centrale.

I compiti delle mezzali nel sistema giallorosso hanno variato spesso da inizio stagione: teoricamente deputate a garantire ampiezza al gioco, per concedere il taglio interno alle ali, si stanno trasformando invece in mezzali più di posizione, adatte a ricevere negli spazi di mezzo. L’interpretazione del ruolo di Nainggolan nel derby è stata semplicemente perfetta: ha sfruttato i difetti posizionali di Milinkovic per dettare spesso un passaggio ai suoi compagni e farsi trovare tra le linee, associandosi poi con l’ala e il terzino di riferimento.


Nella prima immagine, Nainggolan si posiziona al lato di Lucas Leiva e dietro Milinkovic: il serbo si fa attrarre dal pallone e Florenzi riesce a servire il suo compagno nel mezzo spazio. Nella seconda immagine tocca a Parolo farsi ingolosire dal pallone, e a Strootman ricevere nel mezzo spazio, al lato destro di Leiva.



Le ricezioni di Nainggolan permettevano poi alla Roma di proseguire il gioco sulla destra, o di cambiarlo sulla sinistra: per evitare la densità laziale al centro del campo, la Roma svuotava spesso la zona centrale per ricevere nei mezzi spazi e creare superiorità sulle fasce.

Per concretizzare questa strategia è stata fondamentale anche la posizione di Dzeko, come al solito fenomenale nel gioco di sponde e di movimenti interno-esterno. Con le sue uscite in fascia sinistra la Roma creava un quadrilatero di progressione stile Atalanta di Gasperini: il bosniaco si tirava fuori dall’imbuto centrale in cui avrebbe costituito un facile riferimento per i centrali della Lazio e aiutava così la sua squadra a risalire il campo.

Proprio sulla fascia sinistra, infatti, la Roma ha costruito circa il 60% dei suoi attacchi (dato Whoscored): ancora una volta è stato fondamentale l’apporto di Kolarov, ma soprattutto quello di un Perotti ispiratissimo e dominante nei duelli individuali (4 palloni recuperati, 17 duelli offensivi vinti - tra cui 6 dribbling riusciti, 1 assist). Anche se il calcio è un gioco di squadra, chi vince più duelli individuali ha maggiori probabilità di vincere: e la Roma ha dominato da questo punto di vista anche grazie all’intensità dell’argentino.


Il quadrilatero di fascia della Roma con le posizioni in continua rotazione: in questo caso sarà Dzeko a ricevere nel mezzo spazio e a servire Perotti largo a sinistra, mentre Strootman attaccherà l’area.



La chiave della vittoria del derby, però, sta nella capacità della Roma di organizzare ed eseguire un pressing costante sull’inizio azione avversario: con la parità numerica dei tre attaccanti contro i tre difensori in impostazione, e il posizionamento molto alto di De Rossi su Lucas Leiva, oltre ovviamente all’aggressività delle mezzali sui rispettivi rivali. La squadra di Inzaghi non riusciva a trovare soluzioni a questo enigma, anche per la volontà di non abbassare troppo Milinkovic e Luis Alberto, lasciando così isolato Immobile.

Il rigore del vantaggio della Roma nasce da una sorta di chiusura all’angolo dei giocatori biancocelesti: durante una classica inversione di mezzali di Di Francesco, Nainggolan è a sinistra e rincorre ogni pallone, anche da terra, fino a quando Bastos impaurito, e con il piede debole, non trova di meglio che buttarla in fallo laterale. E proprio il difensore angolano, pochi secondi dopo, è autore della sconsiderata scivolata su Kolarov in area di rigore, in una situazione in cui il terzino giallorosso sarebbe andato semplicemente a sbattere contro la densità centrale della Lazio.

In una partita così tesa la rottura dell’equilibrio può essere decisiva, e la Roma ne ha subito approfittato, aumentando l’intensità. Bastos dopo il primo errore è andato in tilt ed è caduto nella trappola della pressione giallorossa: si è fatto sfilare il pallone da Perotti, che ha poi servito l’inserimento di Nainggolan in zona centrale. Florenzi ha aiutato il belga con la sovrapposizione sulla fascia, impedendo così a Radu di salire sul portatore: il rasoterra di Nainggolan da fuori area è perfetto, e ha impreziosito una partita semplicemente mostruosa in entrambe le fasi (3 passaggi chiave, 4 dribbling, 4 contrasti vinti e 1 intercetto), anche considerando la lesione all’adduttore destro, recuperata in appena 8 giorni.


Nella prima immagine, la pressione alta giallorossa spinge Lucas Leiva a servire Bastos che, impaurito dalla corsa di Perotti, preferisce spazzare in fallo laterale, mentre Milinkovic gli fa segno di lanciare lungo. Nella seconda, il recupero di palla di Perotti, sempre su Bastos, da cui nasce il secondo gol: da notare lo svuotamento del centrocampo della Lazio e l’impossibilità di trovare linee di passaggio in avanti.



Curiosamente, il piano di Inzaghi si è trovato così ribaltato: è stata la Lazio a commettere quegli errori con il pallone in cui invece sperava di spingere l’avversario. Certe volte l’adagio “chi ha meno il pallone, può commettere meno errori” è un po’ troppo semplicistico.

Identità e fluidità
Per provare a rovesciare l’inerzia della partita e recuperare due gol, Inzaghi ha inserito contemporaneamente Jordan Lukaku e Nani per Lulic e Lucas Leiva: il portoghese da seconda punta larga a destra, con Milinkovic abbassato a centrale di centrocampo e Luis Alberto trequartista unico (ma a volte alternandosi nell’aiutare la costruzione della manovra). Il terzino belga, schierato praticamente da ala, ha cambiato nettamente l’approccio dei biancocelesti, puntando sempre l’uomo, Florenzi, che a inizio secondo tempo avvertiva anche un problema al ginocchio (sarà sostituito da Bruno Peres solo all’79’): in 32 minuti Lukaku è riuscito a diventare il miglior laziale della partita nei duelli individuali, vincendone ben 7, e nei dribbling, 3.

In risposta la Roma ha cominciato ad abbassarsi un po’, sistemandosi con il classico 4-1-4-1 della fase difensiva, chiedendo a Dzeko di far salire la squadra e trasformare in oro ogni pallone. Poco più di 10 minuti dopo il doppio cambio, il coraggio di Inzaghi è stato premiato dalla stupidaggine di Manolas che ha deviato con il braccio un cross innocuo di Nani dalla destra, quasi a conferma dell’imponderabilità del derby: Var e rigore.

A quel punto l’inerzia è cambiata, con la Roma che si è dimostrata in leggera difficoltà nel gestire una partita che era ormai su binari perfetti: per sistemare la fascia destra, Di Francesco è anche passato alla difesa a 5, in modo da garantire sempre una copertura a Bruno Peres (entrato comunque subito in partita, così come Gerson e Juan Jesus, a dimostrazione anche della capacità di coinvolgere tutti i giocatori in una dinamica di gruppo).

I giallorossi hanno impiegato del tempo per ritrovare un’organizzazione ottimale, perdendo anche la possibilità di andare a pressare l’inizio azione avversario. Al di là di qualche numero di Nani e di qualche pericoloso lancio in area, l’assedio biancoceleste non è servito a granché e la difesa posizionale della Roma ha retto. Anche perché Luis Alberto e Milinkovic, dopo l’uscita di Leiva, erano stati abbassati quasi a centrali di centrocampo, forse troppo distanti dalle zone decisive di campo (anche se negli ultimi minuti il serbo si è lanciato spesso in area).


I due teorici trequartisti della Lazio, troppo bassi dopo l’uscita di Lucas Leiva, con il vuoto sulla trequarti. I biancocelesti occupano però bene l’ampiezza, con Lukaku dominante da ala sinistra.



La vittoria del derby è una conferma estremamente significativa del lavoro di Eusebio Di Francesco. Da un lato l’allenatore giallorosso ha saputo guardare dentro il vulcano del derby senza paura, riuscendo a deviare il percorso della lava esattamente dove voleva lui. Dall’altro, ha dimostrato ai suoi giocatori che il sistema di gioco che stanno elaborando può funzionare benissimo anche contro una squadra preparata nel punire ogni esecuzione errata: un avversario, cioè, che richiede la quasi perfezione dei meccanismi di gioco per poter essere superato.

Di Francesco si è mostrato convinto dei suoi princìpi ma li ha adattati alla partita, mantenendo l’identità nei cambiamenti. Quella nel derby è la quinta vittoria consecutiva della Roma, una squadra che sembra avere ancora molto potenziale inesplorato (oltre che giocatori: basti pensare che l’unico titolare nuovo rispetto alla scorsa stagione era Kolarov), ma che deve mantenersi il più possibile ancorata alla realtà: non è ancora un’orchestra perfetta.

Soprattutto in fase offensiva, alla Roma sembrano mancare i tagli delle ali e una maggiore fluidità sulla trequarti: ma Di Francesco è stato chiaro nell’indicare i movimenti difensivi e la compattezza orizzontale come i due principali filoni di lavoro di questo inizio stagione.

Per la Lazio, che veniva da sei vittorie consecutive, la sconfitta non rappresenterebbe un dramma, se non fosse stato un derby: specularmente dovrà riuscire a contenere le spinte centrifughe e di autodistruzione. L’organizzazione di gioco rimane comunque una delle migliori della Serie A, ma le difficoltà incontrate nel superare la pressione della Roma hanno messo in luce dei limiti forse anche di tattica individuale: cioè come reagiscono ed elaborano i singoli giocatori le situazioni di campo. Al contrario del suo dirimpettaio, nella fluidità tipica della Lazio - quel sapersi adattare all’avversario - Inzaghi è rimasto troppo fermo nella sua identità reattiva: non ha saputo trovare soluzioni ad un problema evidente, preferendo non rischiare, se non quando era troppo tardi.

Nel magma del derby di Roma, i ruoli cambiano, le identità mutano, e tutto fluisce magicamente: ma le vittorie e le sconfitte restano, accendono e bruciano, e chissà se cambieranno i percorsi di Roma e Lazio.

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