Imbattersi in un derby di Champions è come andare in vacanza da soli, senza dire niente ad amici e parenti, in un posto lontano mille miglia dal chiasso e dallo stress metropolitano e trovarlo popolatissimo di nostri connazionali: da un lato tutto ci risulta più familiare, dall’altro beh, «se volevo sentir parlare italiano me ne stavo a Milano». Di base non ci dispiace, ma suona un po’ come un’occasione sprecata. Fino al 1997, quando com’è noto ogni federazione poteva eleggere al torneo una sola squadra, i derby di Coppa dei Campioni erano ancora più rari e nevrotici, opponendo la squadra più forte del paese alla detentrice del trofeo. Cupissimo era stato il derby Verona-Juventus del 1985, disputato a porte chiuse al ritorno al Comunale per i fatti dell’Heysel e finito, dopo la chiacchierata direzione arbitrale dell’arbitro francese Wurtz, in indicibili polemiche riassunte dalla famosa frase di Osvaldo Bagnoli rivolta alla polizia intervenuta dopo aver sentito un vetro finire in frantumi: «Se cercate i ladri, sono nell’altro spogliatoio».
Ha fatto epoca il Liverpool-Nottingham Forest del primo turno 1978-79, clamoroso passaggio di consegne tra i nobili Reds e gli affamati outsider di Brian Clough. Ma agli albori del torneo ci fu anche un trittico di sfide spagnole tra il Real Madrid e le squadre che approfittavano dei suoi sonnellini per vincere il campionato: il Siviglia (liquidato con un perentorio 10-2 nel 1957-58) e soprattutto il Barcellona, che al secondo tentativo riuscì a spuntarla, diventando nel 1960 la prima squadra capace di eliminare il Grande Real in Coppa dei Campioni, in una partita di estreme polemiche con quattro gol annullati al Madrid e una foto, quella del brasiliano Evaristo che anticipa in tuffo il portiere madridista Vicente e segna il 2-0 nella partita di ritorno, che fece il giro del mondo. Ma adesso è delle sei finali tra vicini di pianerottolo, molto spesso acerrimi nemici, che vogliamo parlarvi.