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Chiara Finulli
Demi Vollering e Tadej Pogacar dominano al nord
24 apr 2023
24 apr 2023
Due prototipi di ciclista simili, che hanno dominato le classiche del nord.
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Chiara Finulli
(foto)
David Pintens / Imago
(foto) David Pintens / Imago
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È domenica mattina, una giornata tranquilla, silenziosa, il ponte per il 25 aprile ha svuotato le strade e la città. Davanti si apre una lunga giornata di sport, di quelle da passare tutto il giorno con la televisione accesa, in sottofondo. Ed è la domenica dell’ultima classica monumento della stagione primaverile, è il giorno della Liegi-Bastogne-Liegi, la doyenne, la decana, la più antica delle classiche. È tutto pronto, da giorni, per assistere allo scontro, inedito, tra i due prodigi del ciclismo di questi anni, Tadej Pogačar che dal 2020 si sta mangiando il ciclismo a colpi di sgasate in salita e Remco Evenepoel, il predestinato con la maglia arcobaleno di campione del mondo. Raramente i due si sono incontrati in corsa, i loro calendari agonistici non si sono quasi mai sovrapposti. Era tutto pronto: per sprecare aggettivi epici e forse anche retorici per raccontare la corsa di oggi. E invece, dopo 95 chilometri il colpo di scena. Nel ciclismo nessuno è realmente invincibile e Tadej Pogačar è rimasto coinvolto in una caduta con Mikkel Honorè che gli ha procurato la frattura scomposta dello scafoide: entrambi sono stati costretti al ritiro. Ancora prima di cominciare, è già tutto finito. Il campione sloveno non solo era pronto a fare fuoco e fiamme in questa primavera, ma anche a dare l’assalto, per vincerla, alla terza gara che chiude il Trittico delle Ardenne, l’ultima settimana di corsa nel nord della vecchia Europa.La settimana delle Ardenne era cominciata con un momento pittoresco, alla Pogačar, durante la premiazione della Amstel Gold Race. Di solito durante la cerimonia, agli atleti viene consegnato un bicchiere della birra olandese Amstel, main sponsor della corsa e che le dà appunto il nome, fin dalla sua fondazione nel 1966. Lo scorso 16 aprile sul gradino più alto del podio c’era Tadej Pogačar e di solito quando l’atleta sloveno è nei paraggi si può star certi di assistere a qualcosa di insolito, di divertente, insomma un momento di gioco. Pogačar è sempre capace di spiazzarti, anche quando apparentemente non sembra in vena e assomiglia solo a tutti gli altri ciclisti a fine gara, taciturni, stanchi. E a fine corsa Pogačar era stanco: nell’intervista ufficiale post traguardo lo ha ribadito, sul suo volto c’erano i segni di una evidente prostrazione. Se fosse salito sul palco a prendersi i meritati applausi, il mazzo di fiori e il trofeo, nessuno ci avrebbe fatto caso. Invece in quel momento viene fuori un lato ironico, sbilenco, di Pogačar. Sale sul podio con il suo sorriso tranquillo, senza il consueto ciuffo scanzonato, coperto da un berretto nero: lì, sul gradino più alto del podio, con a fianco Ben Healey, secondo, e Thomas Pidcock, terzo, gli portano un bicchiere brandizzato Amstel ripieno di birra, per un brindisi con gli altri due o per bagnarsi le labbra, o i baffi come ha fatto Healey. Invece, Pogačar, dopo aver brindato, si scola la birra tutta d'un fiato, tra gli applausi e i fischi della folla e gli sguardi divertiti di Healey e Pidcock.

A guardare Pogačar in sella alla bicicletta ci si sente come bambini allo spettacolo di magia: si è sempre in attesa del prossimo numero, per ridere o per battere le mani. In questa primavera di gesti tecnici da fenomeno Pogačar ne ha messi in mostra molti, a cominciare dal dominio incompiuto nella regione delle Ardenne, nelle tre corse di un giorno che segnano la chiusura della stagione delle classiche di primavera e delle gare nel nord Europa e fanno da preludio all’inizio stagione ciclistica dei grandi giri con il Giro d’Italia a inizio maggio. Le tre corse sono la suddetta Amstel Gold Race, la Freccia Vallone e la Liegi-Bastogne-Liegi. Lo scenario è dunque quello delle Ardenne, nome moderno dell’antica Silva Arduenna, una regione a prevalenza collinare e caratterizzata da una estesa foresta e che attraversa tre paesi: Belgio, Lussemburgo e parte della Francia. È una zona scarsamente popolata e la maggior parte di essa è concentrata lungo il corso della Mosa, il corso fluviale più importante. Per diverso tempo è stata una regione a forte vocazione industriale, mentre ora è in una fase di declino. Soprattutto, questa zona boscosa e collinare è un luogo pregno di storia, teatro di scontri sia durante la Prima guerra mondiale sia durante la Seconda, quando nell’inverno a cavallo del 1944/45 l’esercito tedesco organizzò l’ultima grande offensiva militare per cercare di uscire dalla morsa degli Alleati e dell’URSS ed evitare la sconfitta totale: tra gli alberi rimasero uccisi circa ventimila soldati, tra i due schieramenti. La Amstel Gold Race è la prima corsa in ordine cronologico, ma anche la più giovane delle corse del trittico e si corre nella regione del Limburgo, la più meridionale delle province olandesi e una regione storica divisa tra Belgio e Olanda. Sulla cartina la zona si insinua come una goccia tra le fenditure di roccia, tra la Germania e il Belgio. Cosa insolita per i Paesi Bassi, è un territorio collinare in cui si trova anche l’altura maggiore e più meridionale del paese, il Vaalserberg (322 metri sul livello del mare). Quest’anno ad accogliere il gruppo di corridori c’era il cielo coperto di Maastricht, il vento freddo e l’asfalto umido e durante tutta la gara il paesaggio che scorreva da sfondo aveva colori prettamente autunnali, con gli alberi spogli e la nebbia: la primavera sembrava un lontano miraggio.Come spesso succede, Pogačar parte presto. La sua azione decisiva arriva a 80 chilometri dall’arrivo, durante il primo passaggio sull’iconica salita del Cauberg (1500 metri al 8% di media): l’atleta sloveno è in gran spolvero, con il ciuffo che sporge tra le fessure del casco e nonostante una foratura all’attacco della salita del Kruisberg (700 metri al 7,9%) a 40 chilometri dal traguardo, rientra con facilità e attacca: solo Thomas Pidcock riesce a rimanere a ruota con un sorprendente Ben Healey (EF). Sullo strappo dell’Eyserbosweg (900 metri al 9,6%), Pogačar attacca di nuovo: la naturalezza con cui si alza su pedali senza apparentemente fare fatica, stride con la figura ingobbita sul manubrio di Healey. Con il solo Pidcock a ruota, Pogačar dà un’altra frustata che fiacca definitivamente la resistenza del corridore della Ineos, che accuserà il colpo arrivando addirittura terzo sul traguardo e pagando lo sforzo, tre giorni dopo la Freccia Vallone. La bellezza di questa azione risiede nel suo tempismo. Pogačar decide di sferrare l'attacco non all’inizio della salita, ma a metà. E quando decide di partire, ovviamente, non c’è niente da fare. Al di là delle gambe, ciò che sorprende di Pogačar è l’acume tattico con cui affronta corse anche molto diverse tra loro; anche se ha ammesso nel post gara di aver ricevuto un messaggio da Mathieu van der Poel che gli consigliava di attaccare proprio in quel punto. Nell’intervista pre-partenza, invece, Tiesj Benoot della Jumbo, ha detto che correre contro un corridore del genere è scoraggiante e spera che prima o poi avrà anche lui una giornata no: il corridore belga è stato un ignaro profeta, visto quanto accaduto oggi al via della Liegi.Ormai Pogačar ci ha abituato bene, facendo esplodere le corse a tanti chilometri dall’arrivo, alla partenza della Freccia Vallone, ci si chiedeva su quale passaggio del muro di Huy, Pogi avrebbe deciso di salutare la compagnia e conquistare l’ennesima vittoria in solitaria. La Freccia è il secondo appuntamento del trittico, si corre dal 1936 nella regione della Vallonia, nel sud del Belgio. La zona di corsa è quasi la stessa della Liegi ed è anche nota come “La piccola Liegi”. La differenza è il chilometraggio più breve, e la sua salita simbolo: il muro di Huy (1300 metri al 9,8%) che quasi sempre è il passaggio decisivo per vincere la corsa. Ancora una volta, invece, Pogačar ha sorpreso tutti, sfruttando un più tradizionale lavoro di squadra, e attaccando solo a pochi metri dal traguardo: certo la facilità con cui è partito a 200 metri dall’arrivo è stata disarmante. È sembrato non fare nemmeno troppa fatica, a differenza, per esempio, di Michael Woods che lo precedeva in maglia Israel Premier Tech e che ha attaccato in modo deciso la salita, ma dopo aver dato davvero tutto in quei pochi metri, è stato poi sorpassato a velocità doppia, sembrava che Pogačar fosse su una bicicletta elettrica: più che mai in questo finale, lo sloveno è sembrato voler gestire la corsa senza strafare, consapevole della propria insindacabile superiorità. Forse pensava già alla Liegi-Bastogne-Liegi, la corsa che chiude il trittico del nord Europa, la classica monumento per eccellenza, la più antica corsa su strada della vecchia Europa: la prima edizione è del 1892 ed è una delle ultime corse rimaste con il formato andata e ritorno. Il primatista di vittorie non può che essere Eddy Merckx, che l’ha conquistata cinque volte tra il 1969 e il 1975. È una delle corse simbolo belghe, e i belgi detengono il record di vittorie, anche se prima di Remco Evenepoel, che ha trionfato lo scorso anno, erano ben undici anni che un corridore belga non si imponeva. La cima più celebre è il Côte de La Redoute (1600 metri al 8,9%), che spesso è lo snodo chiave della corsa e così è stato anche quest’anno: Remco Evenepoel, senza sforzo apparente, ha sfruttato l’azione della Quickstep, fin qui davvero tragica nelle corse del nord, dove si aspettava attaccasse, ha attaccato non lasciando scampo agli avversari. Al traguardo i secondi di vantaggio del campione del mondo in body total white è stato di un minuto e mezzo. Dopo venticinque anni un corridore torna a vincere per due volte di fila la Liegi e dopo trentasette, il vincitore indossa della Liegi indossa anche la maglia arcobaleno. Rimane il rimpianto di un confronto con Pogačar, ma ci saranno altre occasioni. Il campione sloveno proverà di nuovo nell’impresa di conquistare tutte e tre le gare del trittico, conquista riuscita ad altri corridori, gli ultimi in ordine cronologico: Philippe Gilbert nel 2011 e Davide Rebellin nel 2004.Il dominio di Demi VolleringAccostare il nome di Demi Vollering a quello di Tadej Pogacar non è un'eresia, considerando che quest'anno l'olandese ha deciso di lasciare alle avversarie solo le briciole. Vittoria alle Strade Bianche a marzo, vittoria alla Dwars von Vlanderen a fine mese. E questa settimana ha tagliato per prima il traguardo all’Amstel, alla Freccia e alla Liegi. L’unico “fallimento” è il secondo posto alla Parigi Roubaix, dove si è inchinata solo alla compagna di squadra Lotte Kopecki, con cui peraltro era stata protagonista di uno sprint fratricida proprio alle Strade Bianche. Kopecki e Vollering erano arrivate sul traguardo insieme e invece di decidere la vittoria a tavolino – come capita qualche volta – e quindi optare per un arrivo in parata, si erano sfidate allo sprint in cui aveva prevalso proprio Vollering. Nella settimana delle Ardenne, Demi Vollering è stata semplicemente imbattibile conquistando l’Amstel, la corsa di casa, piazzando l’azione decisiva all’ultimo passaggio sul Cauberg, come Tadej Pogačar, mentre con l’attacco alla Freccia Vallone ha messo a nudo tutta l’impotenza delle sue avversarie, quando sull’ultima ascesa al muro di Huy (1300 metri, con punte al 19% di pendenza) ha attaccato il gruppo ristretto delle migliori senza alzarsi sui pedali, senza mai voltarsi, ha staccato tutte sulle pendenze durissime di questo iconico muro, ha respinto l’ultimo assalto di Liane Lippert e ha tagliato il traguardo da sola. Solo a cento metri dall’arrivo si è girata per controllare il vantaggio, ha scosso leggermente la testa e a quel punto si è lasciata sfuggire un sorriso, prima di alzare la braccia. Come se non avesse bisogno di controllare la situazione, come se sapesse che con quell’andatura e in quelle condizioni nessuna delle avversarie avrebbe potuto impensierirla. Con la stessa tranquilla consapevolezza, Vollering è andata conquistarsi anche la Liegi-Bastogne-Liegi, che aveva già vinto nel 2021. Qui ha sfruttato cinicamente la fuga solitaria della compagna di squadra Marlene Reusser che aveva sferrato l’attacco spacca gruppo sulla storica salita della Redoute a 35 chilometri dalla fine. Tutto questo nonostante i tentativi di una indomita Van Vleuten di colmare il gap, e frazionare così il gruppo delle favorite, e l’azione della Trek – restia a soccombere ancora una volta alla SD Worxs: Elisa Longo Borghini e Gaia Realini a 15 chilometri dal traguardo attaccano in coppia e permettono proprio a Longo Borghini di rientrare su Reusser. Alla fine sull’ultima salita, la Boncelles (2100 mt al 4,5%), Demi Vollering, rientra in poche, facili pedalate sulle due di testa portandosi fino al traguardo proprio Longo Borghini, già rassegnata alla sconfitta in volata. Nonostante Longo Borghini provi ad anticipare lo scatto finale, Vollering se la mangia con naturalezza, andando a prendersi la tripletta nelle Ardenne, impresa che era riuscita solo a Anna Van Der Breggen, oggi direttrice sportiva proprio della Sd Worxs.

L’atleta olandese, ventiseienne, si è è già da qualche anno affermata come una delle migliori cicliste in giro; tuttavia, un inizio di stagione così dominante non si era ancora visto. L’unica affermazione importante fino all’inizio del 2023 era stata la vittoria alla Liegi-Bastogne-Liegi dello scorso anno, poi tanti piazzamenti, tanti secondi posti, spesso dietro all’eterna Annemiek Van Vleuten. Ora che VVL sembra accusare il peso anagrafico (ha compiuto quarant’anni lo scorso ottobre), Vollering ha tutte le intenzioni di raccogliere lo scettro dell’eredità della compagna di Nazionale e “cannibalizzare” la concorrenza. La prima parte di stagione, la campagna del nord, si è è dunque chiusa con due dominatori indiscussi: Tadej Pogačar e Demi Vollering. La caduta di Pogačar getta qualche ombra sulla sua prossima performance al Tour di luglio, ma certo non mette in dubbio le qualità dello sloveno come corridore fenomenale in quasi ogni tipologia di corsa. Demi Vollering pare invece pronta a dare battaglia anche per la maglia della classifica generale, perché come Pogačar, anche l’olandese della SD Worxs è un’atleta eclettica, performante nelle corse tappe e in quelle di giornata. Due prototipi di ciclista molto simili.

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