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Delusioni e speranze
08 mag 2015
08 mag 2015
Il Napoli ottiene solo un pareggio in casa contro il Dnipro ma ha ancora la possibilità di vincere in Ucraina. Per la Fiorentina il Siviglia è sembrato una montagna davvero troppo alta.
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Napoli-Dnipro

di Alfredo Giacobbe (@la_maledetta)

Passata la sbornia estatica di Barcellona-Bayern, il primo tempo di Napoli-Dnipro ha avuto il sapore ferroso del risveglio mattutino. Eppure, al di là delle considerazioni sulla qualità degli interpreti, il confronto è stato condizionato dalla minuziosa preparazione tattica della partita: sia il Napoli che il Dnipro hanno dimostrato di conoscere e riconoscere i meriti dell’avversario. Benítez alla vigilia aveva un solo dubbio—l’altro centrocampista da affiancare a David Lopez—e la scelta di Jorginho lasciava immaginare il tipo di manovra che aveva intenzione di sviluppare il Napoli: paziente e sicura. Perché il Dnipro è una squadra che attacca mentre si difende, che chiude gli spazi e che risale velocemente una volta che ha riconquistato il pallone. Il Napoli avrebbe potuto permettersi tutto, tranne che una rifinitura errata e una ripartenza concessa.

Il sistema difensivo del Dnipro, con i quattro avanti a pressare i difensori avversari, i due mediani su linee sfalsate, i difensori molto alti e perfettamente in linea.

Ad eccezione dei primi due minuti di gioco, durante i quali entrambe le squadre hanno alzato i ritmi e hanno provato ad imporre l’una all’altra una sudditanza psicologica prima ancora che una supremazia tecnico-tattica, il Dnipro ha lasciato ben volentieri il pallino del gioco al Napoli. La manovra degli azzurri era lenta e ragionata, anche per permettere a Maggio e Ghoulam di risalire il campo nel tentativo di allargare la difesa avversaria. Questo movimento avveniva con scarso tempismo, perché i due terzini preferivano esitare nella zona di Albiol e Britos e fornire loro una linea di passaggio sicuro in caso di aggressione da parte degli avversari. Il pressing del Dnipro c’è stato, ma non così furioso come si poteva pensare: gli ucraini hanno dimostrato subito di ragionare sull’arco dilatato dei 180 minuti.

La giocata preferita da questo Napoli—il filtrante in verticale a cercare uno dei tre trequartisti davanti all’area di rigore avversaria—si è vista solo quando la linea di passaggio era limpida, manifesta, senza rischi. In queste occasioni, col pallone che poi veniva girato per i terzini pronti al cross, il Napoli si è reso pericoloso un paio di volte già nei primi quindici minuti. L’unico sviluppo di gioco alternativo concesso ai portatori di palla azzurri era il lancio verso Higuaín, nel tentativo di battere una difesa che saliva anche oltre i 35 metri per mettere gli avversari in fuorigioco. La buona prestazione difensiva del Dnipro è da imputare soprattutto ai suoi due mastini davanti alla linea a quattro, Kankava e Fedorchuk: se uno saliva per prendere l’avversario che faceva movimento incontro, l’altro gli offriva copertura. Non solo, i due si schiacciavano sulla linea difensiva quando il primo pressing veniva saltato, andando ad annullare la pericolosità del quattro contro quattro che gli attaccanti del Napoli cercavano di provocare.

La palla gira velocemente da sinistra e destra e Kankava è in ritardo su Callejón; lo spagnolo innescherà Maggio, che già corre per prendere lo spazio alle sue spalle.

Le note dolenti per la squadra ucraina iniziavano quando doveva proporre gioco. Lo spostamento in avanti di Rotan nella posizione di trequartista privava gli ucraini di piedi buoni davanti alla difesa che rendessero fluida e precisa l’uscita del pallone. I tentativi di lanciare lungo per la testa di Kalinic sono stati inficiati dall’attenzione di Britos e dalla pessima serata del centravanti croato. Il tanto atteso Konoplyanka si è visto poco, sfiancato da un lavoro difensivo rilevante, per evitare di lasciare in inferiorità numerica Matos, un destro schierato a sinistra, contro Callejón e Maggio. Predilezione per la distruzione del gioco avversario, ricerca continua del lancio in area di rigore, persino da rimessa laterale: il Dnipro si è dimostrato una di quelle squadre brutte da vedere ma terribilmente efficaci.

Il gol ad inizio ripresa di David Lopez, bravissimo a guadagnare un metro al proprio marcatore e a colpire il pallone sull’angolo battuto da Insigne, ha aperto la partita. Il Dnipro ha provato la reazione immediata e ha alzato i due terzini, insieme col baricentro di tutta la squadra. Hamsik, che ha bisogno di spazi per prosperare e che fino a quel momento non aveva inciso, è immediatamente piombato nella partita e ha iniziato a lavorare i mediani avversari ai lati. Da alcune combinazioni tra lo slovacco e Gonzalo Higuaín sono nate le occasioni migliori per mettere KO un Dnipro che sembrava incapace di tenere le corrette distanze ancora a lungo. Almeno l’ingresso di Bezus ha permesso a Rotan di tornare nella sua posizione consueta davanti alla difesa, e questo ha migliorato immediatamente la circolazione della palla da parte degli ucraini. Quando sembrava che il Napoli potesse mettere il proprio sigillo sulla partita, il gol di Seleznyov, viziato da fuorigioco, ha tagliato le gambe agli azzurri, incapaci di proporre una reazione nei quindici minuti finali. Il Dnipro, ritornato nella forma tattica di inizio partita, ha portato a casa il risultato desiderato.

Il pareggio per 1-1 in casa non è un grande risultato, anche statisticamente, in termini di passaggio in finale, ma il Napoli ha la possibilità di vincere in Ucraina. Nella partita d’andata, la squadra di Benítez ha dato l’impressione di aver giocato almeno un tempo col freno a mano tirato, per evitare inutili rischi. Gabbiadini e Mertens, che si fanno preferire per le loro doti balistiche rispetto a Callejón e Insigne, ritenuti più adatti per sviluppare gioco in spazi stretti, potrebbero trovare un minutaggio maggiore a Dnipropetrovsk. Abusando di una metafora tennistica, se il Napoli lascia andare il braccio può ancora portare a casa il set decisivo e l’incontro.

Siviglia-Fiorentina

di Daniele V. Morrone (@DanVMor)

La sfida tra Siviglia e Fiorentina sembra già chiusa dopo la partita d’andata, eppure i viola devono prendersela molto anche con sé stessi, e non solo applaudire grande squadra andalusa. La Fiorentina ha avuto occasioni da gol sia per passare in vantaggio, con Mario Gomez che tira alto il pallone dopo l’assist di Joaquin dalla sinistra, sia per pareggiare subito dopo il gol subito, con Mati Fernandez che tira a lato, o con Salah che calcia sul portiere il cross di Tomovic. Il Siviglia, insomma, ha mostrato una difesa attaccabile, ma il gol non è arrivato. A questi livelli la cosa difficilmente viene perdonata e infatti gli andalusi hanno già praticamente chiuso la qualificazione vincendo 3-0.

La Fiorentina è stata troppo orizzontale, cercando il possesso nonostante i ritmi di gioco e le letture del posizionamento della squadra avversaria richiedessero altro. Il Siviglia, una volta rubata palla, è sembrato perfettamente a proprio agio nella gestione del pallone: verticalizzando palla a terra, facendo salire gli offensivi lungo tutto il fronte d’attacco per offrire soluzioni a chi portava il contropiede. Il Siviglia si è mostrato più reattivo al momento di andare sulle seconde palle e con le idee chiare al momento di attaccare. Da sinistra a destra la palla ha circolato rapidamente tra Reyes, Bacca e Aleix Vidal, che infine ha segnato il primo gol.

L’arrivo a destra di Aleix Vidal è stato il marchio di fabbrica della partita di Unai Emery. Si tratta di un’ala di grande resistenza, che il tecnico basco ha schierato a sorpresa terzino destro, nonostante i giocatori di ruolo fossero a disposizione, rivelando dunque una scelta tattica significativa. La Fiorentina ne aveva individuato un punto debole e ha provato ad attaccarlo alle spalle con Joaquin o puntandolo direttamente, e le prime due occasioni dei viola sono arrivate da lì. Sul lungo termine però la scommessa di Emery ha pagato: la spinta del giocatore sulla destra è risultata decisiva, ha permesso di ampliare il fronte e a Reyes di giocare più interno, da dove ha potuto far valere maggiormente le proprie doti da rifinitore.

La Fiorentina pressa alta costringendo il trequartista Banega ad abbassarsi e Krychowiak a venire a prendere il pallone dai difensori. Come soluzione di uscita dal pressing però c’è la posizione altissima di Aleix Vidal.

La gestione del pallone della Fiorentina a centrocampo è stata la vera nota dolente della serata, se escludiamo le partite inconcludenti di Gomez e Salah e le già citate mancanze nelle letture offensive.

Borja Valero e Badelj non solo non sono stati in grado di gestire il pallone in modo pulito, ma hanno mostrato anche errori elementari in fase di impostazione, come quello del giocatore croato da cui è nato il secondo gol del Siviglia. La situazione è ancora peggiorata nel secondo tempo, quando Emery ha alzato i due centrali Krykowiak e M’Bia per avvicinarli al trequartista Banega e permettere un recupero più alto del pallone. A quel punto la Fiorentina ha faticato anche solo nell’esecuzione di un primo passaggio pulito.

Borja recupera palla a centrocampo e l’affida a Badelj accanto, che però gestisce male il possesso attaccato da due avversari. Reyes al centro recupera palla e salta Badelj, trovando la consueta salita da parte di Aleix Vidal, che dopo la cavalcata va a segnare. Avere un fronte offensivo ampio garantisce soluzioni per chi ha il possesso.

Con l’aggiustamento a centrocampo di Emery la partita della Fiorentina ha preso una brutta piega. Banega, noto per la passività in fase di non possesso, ha trovato per una volta un centrocampo più letargico di lui e non è mai stato messo in difficoltà. L’argentino ha chiuso la gara avviando l’azione del terzo gol con un lancio per Tremoulinas, che poi ha girato per l’onnipresente Aleix (che nella seconda parte è stato riportato nel ruolo naturale facendo entrare Coke da terzino destro per l’ottimo Reyes) che ha invitato infine alla finalizzazione il neo-entrato Gameiro. Movimenti non solo belli da vedere ma anche estremamente efficaci.

Banega, ben protetto dai compagni, è salito in cattedra nella gestione del possesso e ha assorbito il pressing della Viola dando la pausa necessaria alla squadra per rendere più efficaci i movimenti offensivi, come quello verso sinistra di Bacca che permette all’esterno Vitolo di accentrarsi e al terzino Tremoulinas di avanzare con spazio.

Va detto che Montella non è rimasto del tutto passivo e per due volte ha provato a cambiare l’inerzia della partita. Nel secondo tempo ha inserito Richards per Tomovic, sperando di trovare così un giocatore in grado di tenere la velocità del duo Tremoulinas-Vitolo visto un Salah dedito ad accentrarsi e la poca reattività di Tomovic. La mossa ha funzionato a metà: Richards ha tenuto fisicamente ed è stato cercato dai compagni anche in fase di possesso, mostrando però letture non all’altezza e cross velleitari. Dopodiché Montella ha inserito, a giochi ormai fatti, Ilicic per il deludente Gomez, mossa che ha cambiato un po’ le carte davanti, ma che non ha portato reali occasioni da gol.

La Fiorentina esce sconfitta meritatamente da una squadra che ha dimostrato di essere più forte. Joaquin e Mati Fernandez (nonostante l’erroraccio davanti alla porta) si sono rivelati gli unici giocatori competitivi e in grado di attaccare pericolosamente la difesa andalusa. Troppo poco, soprattutto se aggiungiamo anche l’imprecisione sotto porta.

La vittoria del Siviglia è arrivata anche sul piano mentale. Nel secondo tempo gli andalusi hanno mostrato forza di volontà e mano salda sul gioco. In un quadro generale molto positivo, il polacco Krychowiak è emerso come figura di riferimento della squadra: durante il primo tempo, oltre a bloccare il centro, si è alternato a Banega nel prendere la palla dalla difesa per impostare il gioco. Nel secondo tempo, avanzato di qualche metro, ha sfoggiato contrasti, anticipi e un senso della posizione che lo hanno fatto sembrare un gigante rispetto ai giocatori viola.

La partita di ritorno è per la Fiorentina una montagna troppo alta da affrontare: si tratta però di dimostrare, almeno a sé stessi, di poter raggiungere un campo di quota, un punto in cui mettere le tende della propria fiducia e da cui ripartire l’anno prossimo per la scalata al calcio europeo.

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