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La delusione dell'anno: Arthur Melo
19 mag 2021
19 mag 2021
Un premio triste per il centrocampista della Juventus :(
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Illustrazione di Andrea Chronopoulos
(copertina) Illustrazione di Andrea Chronopoulos
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Cosa ci aspettavamo da Arthur? Se c’è delusione, necessariamente, deve esserci stata prima aspettativa. Ci aspettavamo forse 8-10 gol? Oppure che all’improvviso diventasse un centrocampista rifinitore? Più passaggi chiave che allacciate di scarpe. O magari che rivaleggiasse con de Paul e gli altri centrocampisti-trattori nei metri guadagnati palla al piede ogni domenica?

È difficile ricostruire cosa ci aspettavamo tutti da Arthur, visto il tipo di giocatore che è, uno da 80 passaggi a partita col 96% di precisione. Eppure ci aspettavamo qualcosa e questo qualcosa non è arrivato. Diamogliene atto: non è stato fortunato, fin dal principio. Il costo del cartellino, per esempio, 72 milioni di euro più altri 10 di bonus che ne fanno il quarto giocatore più pagato nella storia della Juventus, è un po’ ingannevole. Era il 29 giugno e Juventus e Barcellona avevano bisogno di mettere a bilancio quanti più soldi in entrata possibile e allora andava bene scrivere quella cifra lì - a cui si aggiunge Pjanic valutato 60 milioni - senza mettersi a tirare sul prezzo. L’operazione però era sembrata almeno leggermente sbilanciata a favore della Juventus: il bosniaco era a fine ciclo, mentre Arthur, pur non avendo avuto una seconda stagione eccezionale al Barcellona per via di alcuni infortuni e incomprensioni, arrivava come la mezzala di possesso che tanto era mancata a Sarri.

Ma poi Sarri era stato cacciato. Cosa sarebbe successo se fosse rimasto lui sulla panchina della Juventus? Se magari i bianconeri avessero segnato un gol fortuito nel recupero con il Lione per poi uscire in maniera dignitosa ai quarti, Arthur avrebbe avuto la sua stagione? Con un allenatore che prova a stringere il campo e soprattutto fare possesso nella metà campo avversaria, Arthur si sarebbe trovato più a suo agio, più vicino al lavoro già fatto con il Barcellona dove veniva considerato un Xavi e non un Busquets. Invece era arrivato Pirlo e Arthur aveva dovuto adattarsi. Già alla seconda partita, contro il Crotone, l’allenatore gli aveva fatto notare che non stava più al Camp Nou: «Ha caratteristiche da calcio spagnolo, il suo calcio è corto e vede magari poco davanti». Poteva essere la carezza di uno che quel ruolo lo ha cambiato, ma era sembrata più una sbrigativa bocciatura. Arthur toccava troppo il pallone e verticalizzava poco, e questo era il problema. Nei primi mesi, in fase di possesso, Pirlo voleva che la costruzione del gioco dal basso fosse organizzata con 3 difensori e 2 playmaker, i quali avevano il compito di innescare i 5 giocatori offensivi scaglionati oltre la linea di pressione. In questo tipo di organizzazione ogni secondo aveva importanza per trovare impreparati gli avversari.

Arthur aveva dimostrato presto a tutti che “non era Pirlo”, ovvero che non era in grado da solo di creare il tempo con cui giocava la squadra, di illuminare il campo con lanci a occhi chiusi. Tuttavia più le cose si aggiustavano, non senza qualche difficoltà, più le sue prestazioni miglioravano. Contro il Barcellona al ritorno, in quella che oggi possiamo considerare la miglior partita della Juventus, Pirlo ha alzato un centrocampista per lasciare Arthur più libero di gestire il gioco davanti alla difesa. Ad aiutarlo in fase di costruzione dal basso era poi Ramsey, di solito impiegato più alto tra le linee e non McKennie o Rabiot, mai particolarmente a loro agio nel palleggio accanto al brasiliano. Ma se l’americano era stato il mattatore di quella partita grazie al suo gioco fatto di inserimenti e corse disperate, che Arthur fosse stato importante era difficile dimostrarlo. Ciò che di lui salta più all'occhio è la qualità: quando gioca bene il palleggio della squadra è più fluido, l’uscita della palla più facile, ma non c’è un premio per questo.

Al contrario è stato facile vederlo sedere in panchina mentre davanti alla difesa Rabiot e Bentancur faticavano in maniera così evidente da chiedersi perché non ci fosse Arthur lì, che sembra nato per fare quelle cose. Ma poi quando effettivamente era in campo, tutto quello che si pensava potesse fare meglio dei compagni non bastava. Non bastava anche perché più avanti andava la stagione, più la barca prendeva acqua, più ai centrocampisti era chiesto di coprire più campo, fare più cose, caricarsi di più responsabilità e semplicemente Arthur non è quel tipo di giocatore. A distruggere definitivamente la sua stagione è poi arrivato uno strano infortunio, che lascia capire quanto sia stata poco fortunata la sua esperienza in bianconero fin qui. Dopo uno scontro tremendo con Romero nella partita con l’Atalanta del 16 dicembre, il brasiliano ha saltato una gara per poi tornare in campo come se non fosse tutto risolto. Tra il 24 gennaio e il 6 febbraio ha giocato 3 partite da titolare, in 3 vittorie. Contro il Bologna ha segnato il suo unico gol (con un tiro fatto cadendo, grazie a una deviazione), contro la Roma era stato fondamentale sempre in quella pratica oscura di ricevere palla dalla difesa e non farsela portare via.

La Juventus sembrava aver trovato una certa stabilità intorno al duo Bentancur-Arthur, con McKennie più libero davanti a loro. Poi si era scoperto che l’ematoma creatosi dopo lo scontro con Romero si è trasformato in una dolorosa calcificazione a livello della membrana interossea. Un infortunio misterioso, arrivato quasi due mesi dopo l’episodio scatenante. Un infortunio di cui tra l’altro non si conosceva il destino: ci sono calciatori che giocano con delle calcificazioni senza problemi e altri per cui è necessaria un’operazione. Dipende dal dolore che si prova. «È stato un infortunio strano, sfortunatissimo», così lo ha definito il giocatore, tornato in campo 40 giorni dopo, appena in tempo per giocare 102 minuti nella partita di ritorno contro il Porto, con 118 tocchi, 109 passaggi tentati e 102 riusciti, rendendosi però praticamente assente nella creazione del gioco offensivo contro una squadra chiusa nella sua metà campo. A quel punto la Juventus aveva già virato su un gioco costruito sulle corse disperate di Chiesa e i cross di Cuadrado, un tipo di calcio di cui Arthur sembra l’antitesi.

Ma il momento peggiore doveva ancora arrivare. Se è difficile giudicare nel bene le prove di Arthur, spesso è difficile anche giudicare nel male, almeno fino alla partita col Benevento. Il brasiliano, che in questa stagione ha tentato 1360 passaggi riuscendo per 1276 volte (e sbagliandone quindi in totale 84), ha regalato il pallone del gol vittoria a Gaich in maniera quasi drammatica, con una scelta così sbagliata che è difficile dire come possa essergli venuta in mente, quando aveva uno scarico semplicissimo per Szczesny a disposizione.

Quella sconfitta è stata l’apice dell’incompiutezza della Juventus di Pirlo e Arthur è stato un protagonista in negativo. Bisogna però anche far notare come delle 8 sconfitte stagionali della Juventus, quella col Benevento è stata l’unica in cui Arthur era in campo. Certo, è più probabile sia un caso, per infortuni o scelte di Pirlo il brasiliano ha saltato quasi tutte le partite più difficili della stagione, ma era giusto farlo notare, visto che gli stiamo dando un premio negativo.

A tirare le somme - che sia stato una delusione più o meno di altri compagni in una stagione di squadra molto deludente - per Arthur è stata una stagione sostanzialmente buttata. A 24 anni, nella Juventus, con quel costo, con le speranze che i tifosi avevano di aver finalmente preso un centrocampista geniale, il brasiliano poteva e doveva fare di più. Non è migliorato con il passare delle partite, come era lecito aspettarsi, né Pirlo ha trovato un modo per farlo sentire più a suo agio. A livello offensivo non è esistito: la somma dei suoi xG e xA per 90 minuti è superiore solo a quella di Chiellini e se abbiamo capito che non è quel tipo di giocatore, l’anno scorso col Barcellona aveva segnato 3 gol e realizzato 3 assist. Ma anche per quanto riguarda la fase difensiva non ha brillato. In contrasti, pressioni, intercetti, è sotto la media dei compagni di reparto e spesso anzi è apparso spaesato quando si trattava di tenere atteggiamenti difensivi corretti. Nella recente partita col Sassuolo, il suo tentativo di accorciare su un giocatore distante venti metri ha lasciato un buco alle spalle e fatto partire l’azione del bel gol dei neroverdi.

Insomma Arthur è stato più che altro una fitta rete di passaggi corti, spesso all’indietro. In alcune partite è sembrato sul punto di diventare veramente utile alla Juventus, soprattutto contro squadre che lo pressavano in maniera diretta dove poteva mettere in mostra la sua capacità di difendere il pallone e smarcarsi sfruttando un baricentro basso e gambe forti, ma è durato troppo poco. Più che le sue buone partite, sono state quelle pessime di Bentancur davanti alla difesa a far pensare che Arthur potesse essere indispensabile. Al contrario però, in quel ruolo, devi renderti indispensabile: giocatori come Busquets e Jorginho dimostrano come si possa incidere in maniera fondamentale nel gioco anche senza avere la falcata di un cavallo o la forza di un bufalo.

Forse la delusione è stata scoprire che Arthur non è quel tipo di centrocampista, così raro che ci avrebbe fatto piacere vederne una versione con il Brasile nel sangue e il Barcellona nel curriculum. Il talento di Arthur viene fuori nello stretto, quando viene messo in difficoltà, quando i compagni intorno a lui si muovono come una macchina ben oliata e il suo compito diventa non quello di dettare il tempo alla squadra, ma fungere da facilitatore della manovra. Eppure adattarsi è il destino dei calciatori che non riescono a incidere in maniera decisiva sul contesto, come è successo ad Arthur in questa stagione. Quest’anno Arthur non ci è riuscito, ma un anno in più non si nega a nessuno, con o senza Pirlo.

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