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Degno del figlio
24 giu 2016
Darijo Srna ha perso il padre mentre giocava la prima partita del suo ultimo Europeo.
(articolo)
5 min
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Qualche settimana fa, il tecnico Mircea Lucescu ha lasciato la panchina dello Shakhtar Donetsk. Per Darijo Srna dev'essere stato un trauma, dal momento che un allenatore rappresenta sempre una figura paterna per la squadra, e Lucescu lo ha guidato per dodici, lunghi anni.

Poi, il 12 giugno scorso, mentre Darijo sta giocando la prima partita del girone, suo padre muore d'infarto davanti alla televisione. Uzeir Srna aveva sessantacinque anni, era da tempo malato di cancro, ma questo non neutralizza l'impatto simbolico della sua morte, proprio durante l'esordio del figlio nel suo ultimo Europeo. E proprio in una gara contro la Turchia, di grande significato se pensiamo ai rapporti storici tra Balcani e Impero ottomano.

Darijo Srna è il giocatore con più presenze nella storia della selezione croata. Con le maglie di due soli club, l'Hajduk Split e lo Shakhtar, è stato probabilmente uno dei terzini più affidabili e sottovalutati degli ultimi vent'anni.

Ma questa non è la sua storia da calciatore.

Darijo lascia tutto per partecipare al funerale, nel paese in cui è nato.

Alla funzione, tra gli altri, c'è Igor Štimac, ottimo rappresentante del calcio croato negli anni Novanta. I quindici anni di differenza con Darijo Srna possono confondere, sono due giocatori che appartengono a momenti diversi. Eppure le loro storie si intrecciano per diversi motivi.

Anche Štimac è stato un punto fermo della Nazionale. Anche lui ha avuto un trascorso importante nell'Hajduk Split. Ha poi allenato, tra il 2012 e il 2013, la Croazia capitanata da Srna. Ma soprattutto, entrambi sono nati a Metković, neanche 20mila abitanti, nella parte meridionale della Dalmazia.

Le immagini del funerale di Uzeir.

A Metković il padre di Darijo ci arriva da giovane, dopo aver errato dolorosamente per la Jugoslavia. E ci arriva grazie al calcio.

Uzeir Srna è nato in un piccolo centro della Bosnia, pochi mesi prima dello scoppio della Seconda guerra mondiale. Ha tre anni, la notte che i Cetnici serbi dànno fuoco a tutto il paese, casa per casa. Lui viene portato dal padre e dal fratello in un bosco. Srna, peraltro, vuol dire “capriolo”. Quella notte sua madre incinta e sua sorella muoiono, bruciate vive.

I tre superstiti della famiglia diventano profughi, si separano. Uzeir finisce in Slovenia, in un orfanotrofio, prima di essere adottato da una famiglia e cambiare nome: diventa Mirko Kelenc, prendendo il cognome del padre adottivo e perdendo il suo nome tipicamente musulmano. Nello stesso periodo, con un tempismo che sfiora la didascalia, il padre naturale viene ucciso.

Pochi anni dopo, il fratello di Uzeir riesce a ritrovarlo. Insieme tornano a vivere in Bosnia, dove lui può recuperare il proprio nome e cognome. È un ragazzo che lavora in una panetteria e se la cava a giocare a pallone. Sarà questo a farlo ingaggiare come portiere dall'FK Sarajevo. Andrà poi al Čelik, e a Metković, dove la peregrinazione finisce e nel 1982 nasce Darijo. Che di questa storia familiare fa fatica a conoscere i dettagli.

Quando gliela raccontano, le persone scoppiano in lacrime. E quando finalmente un giornalista inglese ha intervistato Uzeir, il figlio non è riuscito a leggere davvero le parole: “Leggevo e piangevo”.

“È impossibile ripagare mio padre per tutto quello che ha fatto per me” ha detto. Da ragazzino Darijo aveva talento, ma sembrava non bastare. Era stato Uzeir a proteggerlo, rifiutando di mandarlo nei club che pretendevano denaro in cambio dell'opportunità di una vetrina. Era stato Uzeir a sostenerlo di fronte alle resistenze emerse, in quella fine degli anni Novanta, all'ipotesi che un musulmano firmasse con l'Hajduk.

Nell'estate 1999, infine, il diciassettenne viene messo sotto contratto dai bianchi di Spalato. È una rivoluzione per la sua famiglia, che ha subìto anche economicamente gli anni delle guerre jugoslave. Poco prima che Darijo diventasse professionista, come ha raccontato lui stesso, si arrangiavano coltivando e vendendo pomodori, cetrioli e lattuga.

Un giorno, Darijo va a vendere un po' di verdura, e con i soldi guadagnati si compra un paio di scarpini nuovi. Quando torna a casa, Uzeir glieli sottrae e li riporta al negozio. Dopo qualche tempo si presenterà dal figlio con un regalo: un paio dei migliori scarpini in commercio.

Un senso di debito incancellabile ricorre in molte interviste, ossessivamente. Quando nel 2003 lascia il Paese per andare allo Shaktar Donetsk, una società ucraina e quasi sconosciuta all'epoca, Darijo regala al padre una Mercedes. Più tardi, una BMW. Poi una casa più grande, sempre a Metković. Uzeir continua ad avere comunque un tenore di vita modesto, ma nel paese ha aperto una sua panetteria. Le dimostrazioni materiali di Darijo si accompagnano a una gratitudine espressa in ogni occasione. “Mio padre e la mia famiglia significano tutto per me”.

Durante l'inno croato, la prima volta in campo dopo il lutto.

È il 17 giugno, sono trascorsi solo cinque giorni, quando torna in campo. La seconda partita del girone mette la nazionale a scacchi di fronte alla Repubblica Ceca. Notevole, anche questo, a pensare che l'Hajduk è stato fondato a Praga quando i due Paesi convivevano nell'Impero austro-ungarico.

La vita di Darijo è cambiata, ma i tabellini con le formazioni si limitano a dire che è sempre lì, a fare il terzino della Croazia. Piange durante l'inno nazionale, poi gioca novanta minuti.

Anni fa un compagno di nazionale, Tomislav Dujmović, gli parlò di Dostoevskij. Lo ha raccontato Darijo, senza spiegare se lui ne ha poi letto qualcosa. Mi piace pensare di sì, e che in questi giorni gli possa tornare alla mente la famosa frase dei Karamazov: “Un padre è colui che genera un figlio e se ne rende degno”.

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