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Valentina Buzzi
DeChambeau sta portando il golf all'estremo
31 dic 2020
31 dic 2020
Con un approccio scientifico che lo ha finalmente portato al successo.
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Valentina Buzzi
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Nonostante i puristi lo considerino come una seria minaccia, Bryson DeChambeau è di fatto il nuovo simbolo del golf mondiale. Ancora prima di questo, però, il 27enne californiano è soprattutto un esemplare fuori dall'ordinario. A vederlo da fuori, infatti, DeChambeau ricorda più un culturista che uno specialista dei green. E a vederlo giocare non si avrà di certo l'impressione di qualcosa di già visto. Il golfista statunitense passa il suo tempo a elaborare metodi di gioco tutti suoi e ha in testa un piano da brividi: trasformare il golf in una scienza esatta.


 

Per questa ragione, e per il fatto che fino a sei mesi fa non aveva ancora ottenuto successi di rilievo, DeChambeau veniva giudicato con un misto di snobismo e scetticismo. Dopo la vittoria dello US Open a Winged Foot (suo primo Major in carriera) e la conquista della ribalta internazionale nel 2020, però, il golfista californiano ha messo in chiaro che d’ora in avanti il golf dovrà fare i conti anche con lui. Anzi, il messaggio che DeChambeau manda con il suo gioco è forse ancora più rivoluzionario e perturbante: dopo di me il golf non sarà mai più lo stesso.


 

Sia chiaro, non parliamo solo del golf professionistico - dei tornei che vediamo in TV - ma di tutto il golf - anche quello che si insegna nei circoli di provincia, dove i maestri insegnano ai ragazzini nel weekend. Adesso, infatti, sarà durissima dissuaderli dall'idea che il golf non è solo "forza bruta e sand wedge", visto che DeChambeau ha dimostrato esattamente il contrario. Che oggi, cioè, a golf si vince tirando fortissimo, sempre. E poco importa se si ha poco controllo, scarsa precisione e la palla finisce in rough, nell'erba alta: dopo un drive di 300 metri, la pallina sarà comunque così vicina al green che basterà estrarre dalla sacca il bastone più corto e facile da manovrare (il sand wedge, appunto), per piazzarla a pochi metri dalla bandiera.


 


Un esempio di uno degli impressionanti drive di DeChambeau.


Una strategia che sembrava strampalata fino a poco tempo fa e che adesso, invece, è all’apparenza inattaccabile. Al di là della sua efficacia, comunque, DeChambeau ci tiene a farci vedere che è studiata scientificamente a tavolino. Il golfista californiano viene infatti chiamato “The Mad Scientist", cioè lo scienziato pazzo del golf, ormai da più da cinque anni - da quando cioè nel 2015 vinse sia l'US Amateur che il campionato NCAA Division, doppietta riuscita nella storia solo a giganti come Tiger Woods, Phil Mickelson e Jack Nicklaus. Un soprannome che viene soprattutto dalla sua laurea in fisica, conseguita alla Southern Methodist University di Dallas, ma anche dai suoi metodi scientifici, se così possiamo dire, sul campo da golf. DeChambeau ha spiegato ad esempio di avere uno swing a un solo piano d'inclinazione e di averlo appreso da un manuale scritto negli anni '60, The Golfing Machine di Homer Kelley, uno dei maestri più influenti della storia del golf. Allo stesso modo ha rivelato di usare solo ferri della stessa lunghezza, e di aver apportato importanti modifiche al suo putt dopo la lettura di una altro libro che cercava di applicare la scienza al golf, Vector Putting: the Art and Science of Reading Greens di H.A. Templeton.


 

In realtà, DeChambeau non è il primo golfista a interessarsi alla scienza. Lo stesso Tiger Woods, dopo il celebre incidente automobilistico causato nel 2009, fu trovato in macchina con il libro tascabile Get A Grip on Physics del saggista scientifico britannico John Gribbin. DeChambeau, tra l'altro, non è nemmeno il primo discepolo di Homer Kelley a giocare sul tour - quello fu Bobby Clampett, che arrivò terzo agli US Open del 1982. Ma è soprattutto la disputa tra detrattori dell'approccio scientifico al golf e golfisti di nuova generazione ad essere vecchia quasi quanto lo sport stesso. Inizialmente è toccato a Greg Norman, l’australiano che tra la metà degli anni ‘80 e ‘90 metteva in fila tutti grazie al suo fisico scolpito. Poi è stata la volta di Tiger Woods che a 21 anni, nella sua prima vittoria al Masters del '97, dava oltre 40 metri ai compagni di gioco. Indiscutibilmente Woods ha fatto da spartiacque, trasformando il golf da uno sport quasi per tutti a una vera e propria "disciplina sportiva". Nei primi anni Duemila, per cercare di stare al passo con l'evoluzione del gioco, in tantissimi si sono affrettati a imitarlo e a seguire il suo modello, ovvero allenandosi senza tregua in modo da curare in modo maniacale la forma fisica. Una routine tutt'altro che scontata in uno sport dove i praticanti prima di lui esibivano qualche rotondità di troppo, non disdegnando alcol e fumo (trovare una foto del campione spagnolo Miguel Angel Jimenez senza il sigaro, ad esempio, è una vera e propria sfida) e impostando raramente la sveglia per lo stretching mattutino.


 

Da Tiger in avanti il personal trainer è diventata una figura imprescindibile nell'entourage di un golfista professionista e di certo non fa più notizia. Ora la storia si ripete con DeChambeau, intenzionato a spostare l'asticella ancora più in là: «Sono molto fiero del mio metodo MAT (Muscle Activating Techniques), i risultati sono ottimi. Il percorso è appena iniziato, vedremo dove mi porterà». La differenza apportata dal golfista californiano è la sistematicità con cui sta applicando questi principi al suo gioco, che sembra ricalcare parola per parola una delle massime del libro di Kelley: "Non voltarti perché la verità sembra troppo complessa. Resisti nella complessità e troverai presto un grande beneficio. Dopotutto, la complessità è molto più accettabile e realizzabile del mistero".



Quando DeChambeau veniva preso in giro per la sua strana tecnica sul green.


Da quella prima, doppia, vittoria nel 2015, DeChambeau ha trascorso il quinquennio successivo a non raccogliere molti trofei, ma continuando a scavare in quella complessità. E, pian piano, ha rivelato al grande pubblico in cosa consista il suo approccio analitico alla disciplina. Si è presentato in campo con compasso e goniometro per calcolare meglio le pendenze delle superfici, fino a quando il PGA (il circuito professionistico di golf americano) non glielo ha impedito; ha introdotto il side-saddle putting, una nuova tecnica con cui puttare con il corpo posto lateralmente; ha immerso le palline nella epsomite – ovvero il magnesio solfato eptaidrato o, come viene chiamato volgarmente, il sale inglese - per determinare il loro centro di gravità. È arrivato persino ad attaccarsi dei sensori in testa per testare le risposte in fase di riposo e di stress del suo cervello. Una prima svolta è arrivata nel 2018, quando sono arrivati quattro successi, tra cui il prestigioso Memorial Tournament e due gare dei Playoff di FedEx Cup (il gran finale del circuito americano), ovvero il The Northen Trust e il Dell Technologies Championship.


 

Per entrare nell'élite del golf, però, serviva ancora un ultimo gradino, il trionfo in un Major. E, naturalmente, DeChambeau ha affrontato il problema come fosse un'equazione da risolvere alla lavagna. Con l'aiuto del suo preparatore, Greg Roskopf, ha stabilito a tavolino che il modo più rapido per raggiungere l'obiettivo era colpire la palla più forte e più lontano di tutti gli altri. E soprattutto che per fare questo doveva aggiungere parecchia massa muscolare. DeChambeau ha iniziato il suo programma di potenziamento nell'autunno del 2019, continuato poi nonostante la pandemia globale e la pausa forzata dello sport. Durante il lockdown forzato il golfista californiano ha trasformato l'attesa in un momento per trasformare il suo fisico. E così, si è chiuso in palestra come se fosse un laboratorio e ha iniziato a lavorare in silenzio alla sua trasformazione. Ogni giorno, alla consueta pratica sul campo, ha abbinato una camminata veloce di 20 km, tre ore di palestra e workout notturni. In questo modo, in poco più di tre mesi, ha messo su 20 chili di muscoli (attualmente ha raggiunto i 110 kg per 1 metro e 85 di altezza) e in questa mutazione anche la dieta ha avuto un ruolo decisivo. Mangiava ogni giorno quattro uova a colazione, sandwich al burro di arachidi e gelatina durante il gioco, bistecca e patate per cena e un totale di sette beveroni proteici. Il regime DeChambeau, con un quantitativo doppio di carboidrati rispetto alle proteine (per circa 3500 kcal al giorno), non sarà propriamente il massimo in termini nutrizionali ma gli ha regalato un surplus di muscoli, energia e potenza senza cui non avrebbe mai potuto mettere in atto la sua strategia sul green.


 

I risultati si sono visti alla ripresa del Tour americano, a giugno, quando ha iniziato a polverizzare ogni record di distanza, ridicolizzando i campi con i suoi tiri: la palla parte dalla faccia del bastone di DeChambeau a oltre 316 km orari e ha un volo in media di 310 metri. Le statistiche del suo micidiale drive, che lo fotografano molte yard davanti a tutti, hanno lasciato di stucco sia Rory McIlroy (ex numero 1 al mondo, non proprio uno che la tocchi piano) che Colin Montgomerie, leggenda del golf mondiale, tra i primi a sollevare pesanti dubbi. «Le distanze siderali di DeChambeau non appartengono a questo sport», ha dichiarato una volta Montgomerie «E sono dannose per il futuro del gioco». L'opposizione dei detrattori di DeChambeau e della deriva muscolo-scientifica del golf, però, non è solo a parole, ma anche regolamentare. Una delle proposte riguarda la modifica dei campi, con par 4 e par 5 sempre più lunghi e fairway più stretti, in modo da esaltare la precisione e non solo la potenza dei giocatori. Ma apportare modifiche ai percorsi è un'operazione tanto complessa quanto costosa. Ecco perché lo stesso Montgomerie ha proposto più semplicemente l'introduzione di nuove "palline da gara" che abbiano un peso decisamente superiore rispetto a quello attuale (tra 41 e 45 grammi) e che quindi viaggino all'80% della potenzialità attuale.


 

Al di là di come andrà a finire con il regolamento, DeChambeau ha comunque ravvivato una disputa carsica non solo nel mondo del golf ma in quello dello sport in generale. L'approccio algoritmico del golfista californiano non può essere infatti tollerato da chi concepisce il golf come l'editorialista britannico Andy Bull. E cioè: "Uno sport più vicino all'arte che alla scienza, dove ogni palla non è mai uguale alla precedente e di conseguenza ogni colpo è diverso dall'altro". O da chi lo ha descritto come John Updike, poeta statunitense: "Il golf è il più mistico dei giochi, il meno legato alla parte terrena, quello in cui il muro tra noi e il soprannaturale diventa più sottile". La disputa continuerà almeno fino a quando DeChambeau continuerà ad avere successo, e chi si opporrà ai poeti farà notare che Updike ha vinto sì due Premi Pulitzer per la letteratura, ma a golf aveva 19 di handicap (e, come lui stesso ha dichiarato: «Sarebbe stato decisamente più alto se avessi consegnato tutti i miei score»).



Volete allenarvi come DeChambeau? Eccovi accontentati.


Come al solito, la realtà si trova nelle sfumature grigie in mezzo al nero e al bianco delle posizioni più estreme. Innanzitutto bisogna dire che a vincere il PGA Championship (primo Major di questa travagliata stagione) non è stato DeChambeau bensì Collin Morikawa, normalissimo 23enne di 1 metro e 75 per 77 kg, dalla tecnica sopraffina e dallo swing armonioso. Uno che, di certo, non fa della potenza il suo unico credo. Inoltre, va considerato che l'esplosione della massa muscolare può essere estremizzata solo fino a un certo punto perché, come tutti gli eccessi, a lungo andare può creare problemi. Lavorare troppo sui grandi muscoli, infatti, implica un grande stress alla schiena, come sa lo stesso Tiger Woods che tra infortuni e operazioni (tra cui una fusione spinale) ha rischiato di chiudere anzitempo la propria carriera. La correlazione tra la sua preparazione estrema e i suoi continui infortuni è stata già dimostrata e nel valutare la sua incredibile carriera non bisogna dimenticare che se è tornato a vincere un Major a 43 anni è solo per il suo immenso talento - un ingrediente ancora imprescindibile nel golf e che con ogni probabilità lo sarà sempre. Al contrario di Woods, per dire, David Duval, numero uno al mondo nel 2001, dopo l'infortunio alla schiena non è più rientrato nell'élite del golf.


 

Oggi non sappiamo se DeChambeau affronterà lo stesso calvario di infortuni. Di certo anche lui, se vorrà avere una carriera lunga e vincente (e non solo per la lista delle sue eccentricità), dovrà fare i conti anche con variabili impreviste e fare ricorso a risorse al di fuori dal calcolo scientifico, come l'intuito, il talento o la fortuna. Di sicuro non sarà lui a segnare irrimediabilmente la fine del golf, come dicono i più estremisti dei suoi detrattori, qualsiasi cosa significhi. Anzi, per ora non possiamo che essergli grati per aver spinto l'innovazione del golf, forse lo sport conservatore per eccellenza, ancora un po' più in là, rianimando l'interesse anche al di fuori del green.


 

 

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