Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
(di)
Gianni Galleri
La leggenda dimenticata di Davit Kipiani
05 set 2018
05 set 2018
La storia tragica del giocatore georgiano più forte di tutti i tempi.
(di)
Gianni Galleri
(foto)
Dark mode
(ON)

C’è stato un incidente. Una macchina ha sbattuto violentemente contro un albero. I soccorsi stanno arrivando ma la situazione per il conducente sembra disperata. In un secondo momento, a seguito dell’autopsia, i medici parleranno di un attacco di cuore. È stato quello a far perdere il controllo della vettura al guidatore e a causare l’impatto.

 

Una strana statistica rivelerà che quella sera, il 17 settembre 2001, a Tbilisi e in tutta la Georgia si registrò un numero anomalo di attacchi cardiaci. Quando si scoprì chi stava guidando quella macchina, il cuore di molti non resse: ascoltando la notizia in tanti si accasciarono a terra rischiando di morire. Sembra una leggenda, ma è la verità, perché quel giorno di fine estate Tbilisi fece i conti con la morte di Davit Kipiani, detto "Dato", il più forte giocatore georgiano di tutti i tempi.

 

Kipiani è figlio di quella che oggi definiremo

. Sia la madre che il padre rivestono ruoli importanti nella società del tempo e il ragazzo ha un’istruzione di alto livello. Parla correntemente inglese e sembra destinato a diventare un medico. Per fortuna il padre è stato un calciatore dilettante e sa cosa significa l’amore per questo sport. Quando il figlio spiega ai genitori che per lui la cosa più importante è il pallone, la madre si arrabbia, ma il padre lo appoggia e gli permette di continuare a giocare a calcio.

 

Inizialmente gioca centravanti. È alto un metro e 84 centimetri, colpisce bene di testa ma non gli piace particolarmente: «Il pallone è duro e colpirlo troppe volte fa male. Preferisco rimanere lucido», dirà fra il serio e lo scherzoso. Ha un fisico esile, quasi sgraziato, una calvizie incipiente fin da giovanissimo e due imponenti baffoni neri. Sembra più un terzino che un numero 9. Impossibile immaginarlo con la 10. Durante le giovanili qualche allenatore prova ad allontanarlo dall’area di rigore. Vogliono che giochi più indietro. Lui risponde sempre con grande professionalità, ma quando può non manca di ribadire il concetto: sono un centravanti.

 



 

Nel 1974 Kipiani si infortuna al ginocchio e deve rimanere fermo per un po’ di tempo. Siamo in estate e si stanno disputando i Mondiali di calcio in Germania. In Unione Sovietica non vengono trasmessi. Kipiani ottiene il permesso di raggiungere l’Ucraina occidentale, da dove si possono captare i segnali ungheresi e cecoslovacchi e così vedere le partite della Coppa del Mondo. Questo cambierà per sempre la sua carriera: Kipiani vede Johan Cruyff, capisce Johan Cruyff, vuole essere come Johan Cruyff.

 

A soli 23 anni cambia ruolo, retrocedendo sulla linea dei centrocampisti. Prende in mano la squadra, diventando un secondo allenatore in campo, accelerando e rallentando i ritmi del gioco, allargando e restringendo gli spazi. Sarà

in salsa caucasica. I georgiani sono calcisticamente lontani dal tipo sovietico: niente calcio scientifico. La stampa li definisce uruguaiani, italiani o brasiliani, sottolineando la grande tecnica e il modo di giocare libero, dove l’improvvisazione del singolo è importante. Non a caso il concetto di trequartista qui attecchisce mentre a Kiev e Mosca fa una gran fatica.

 



A due anni dalla folgorazione olandese di "Dato", arriva sulla panchina della Dinamo Tbilisi Nodar Akhalkatsi. Il tecnico è stato il primo a dare fiducia a Kipiani, lanciandolo come titolare nelle fila della Lokomotiv Tbilisi a soli 19 anni. Diventerà ben più dell’allenatore della

georgiana. Ma Akhalkatsi non è l’unico colpo di quegli anni. Nel 1977 dalla Torpedo Kutaisi arriva un’ala piccola e scattante, a tratti imprendibile, Ramaz Shengelija. Dietro comanda Aleksandre Chivadze, un imponente centrale di difesa dai grandi baffi castani, che sarà il capitano sovietico nella spedizione del

spagnolo.

 

L’ultimo tassello che permette alla squadra di emergere è Vitaly Daraselia. Viene aggregato alla squadra nel 1975, quando ha ancora 17 anni. In poco tempo si guadagna la stima e il rispetto di tutti i compagni. Ha polmoni infiniti e gioca “da area ad area”, coprendo tutto il campo. Ma non è soltanto corsa, ha anche un tocco gentile e un’intelligenza calcistica notevole. Difetta solo in altezza, visto che è alto 172 centimetri. Akhalkatsi capisce che è il compagno perfetto per completare le caratteristiche di Kipiani.

 

La squadra gioca molto bene e nel 1978 vince il titolo sovietico per la seconda volta nella sua storia (la prima era arrivata nel 1964). L’anno successivo è impegnata in Coppa dei Campioni e, nonostante esca agli ottavi per mano dell’Amburgo di Kevin Keegan, nel turno precedente elimina il Liverpool di Bob Paisley. Dopo la sconfitta di misura ad Anfield Road, i rossi d’Inghilterra si ritrovano di fronte un autentico ufo: si dice che lo stadio della futura capitale georgiana avesse una capienza di 78mila persone, ma quella sera sugli spalti ce ne sono circa 100mila. Il risultato finale è 3-0 per i biancoblù, con le reti di Gutsaev, Shengelija e Chivadze su rigore.

 

Qualche mese prima la formazione georgiana si è imposta in finale di coppa nazionale contro un’altra Dinamo, quella di Mosca. Questo le permette di disputare la Coppa delle Coppe 1980-81. Nelle prime fasi il cammino è abbastanza agevole, vengono sconfitti i vincitori della Coppa greca e di quella irlandese. I quarti di finale mettono di nuovo di fronte alla Dinamo una squadra inglese, e anche stavolta Kipiani e compagni distruggono la squadra di Sua Maestà: 4-1 all’andata e un’ininfluente sconfitta 1-0 al ritorno. La semifinale contro gli olandesi del Feyenoord si conclude con la gara di andata, terminata 3-0 in favore dei sovietici. A nulla vale il 2-0 del match di ritorno. Non rimane che l’ultimo ostacolo: la finalissima di Dusseldorf.

 

Questa è una gara passata agli annali per una serie di motivi particolari. Innanzitutto è la prima finale fra due squadre del blocco orientale. Da una parte la Dinamo Tbilisi, dall’altra il Carl Zeiss Jena, squadra della Germania orientale dell’omonima industria ottica. Nessuno dei due governi concede visti turistici ai propri cittadini e all’incontro assistono soltanto novemila spettatori. Il Rheinstadion era vuoto in maniera surreale.

 



 

Succede tutto nel secondo tempo. Prima una percussione sulla sinistra dei tedeschi: la palla sembra troppo lunga ma con un’accelerazione non indifferente il giocatore del Carl Zeiss riesce a crossare. La difesa della Dinamo è sorpresa. Arriva Hoppe che si coordina bene e porta in vantaggio la propria squadra. Passano quattro minuti e arriva il pareggio sovietico. Iniziativa di Shengelija che si libera di due uomini e alleggerisce sul vecchio centravanti Gutsaev: tiro forte sul primo palo e pareggio immediato. La partita sembra ormai indirizzata sui binari dei supplementari. Solo un lampo può risolverla. Kipiani gestisce un pallone a centrocampo. Lo tiene, fa girare a vuoto il suo marcatore e poi con un esterno destro verticalizza su Daraselia. Le doti di corsa del numero 6 sono indiscutibili e, nonostante manchino quattro minuti, nelle gambe di Vitaly c’è ancora benzina. Accelera, entra in area, finta il tiro e si sposta il pallone ancora più a destra, sta per scoccare la saetta, ma improvvisamente sterza e mette a sedere il secondo marcatore. Sposta la palla sul sinistro e calcia forte sul primo palo. La Dinamo Tbilisi vince la Coppa delle Coppe.

 

C’è un’altra statistica curiosa in questa storia: secondo la polizia sovietica nella notte del 13 maggio 1981 a Tbilisi non si registrò neanche un’effrazione. Non un furto. Niente di niente. Mentre la media era di 150 sinistri al giorno, quella notte non se ne registrò neanche uno: tutti erano in piazza a festeggiare la vittoria della squadra. Per Kipiani, Dareselia e gli altri poteva essere l’inizio di una grande ascesa, ma la storia dimostra che non fu così.

 



Dopo l’affermazione europea, l’obiettivo successivo è quello di partecipare alla Coppa del Mondo. L’Unione Sovietica del tempo si regge su tre grandi blocchi: quello russo, quello ucraino e quello georgiano. A questo corrispondevano tre allenatori: Beskov, Lobanovskyi e Akhalkatsi, che avrebbero dovuto lavorare di comune accordo. Ma facciamo un passo indietro: alle Olimpiadi di Montreal il commissario tecnico sovietico è Lobanovskyi, che ha sostituito Beskov, nonostante quest’ultimo si sia distinto durante le qualificazioni.

 

C’è anche Kipiani, ma il "Colonnello" non lo fa mai giocare. L’URSS sta giocando la sua ultima gara, sta vincendo e alla fine arriverà terza, ma se "Dato" non entra in campo non ha diritto a ritirare la medaglia. Lobanovskyi gli dice di scaldarsi a tre minuti dalla fine. Kipiani si rifiuta: «Non sono qui per la medaglia, sono qui per giocare». I rapporti da quel momento diventano difficili. Il tecnico l’ucraino non vuole trequartisti in campo: il ruolo di Kipiani cozza con il suo modulo e fra il singolo e il modulo vince sempre il modulo. La stagione, poi, non è cominciata bene per Davit: Ángel del Real Madrid gli ha rotto una gamba al Trofeo Santiago Bernabéu e lui è costretto a saltare tutta la prima parte della stagione. Tornerà solo verso la fine dell’annata calcistica, dimostrando tuttavia di essere in forma perfetta.

 

Si arriva al momento delle convocazioni. I tifosi lo adorano, Akhalkatsi fa il possibile per portarlo, ma è in minoranza contro Beskov e Lobanovskyi. Alla fine sono loro ad avere la meglio. Il verdetto è che Kipiani resta a casa perché è infortunato. Non è vero, ma non importa.

 

Per la Spagna partono quattro georgiani: Daraselia, Chivadze, Sulakvelidze e Shengelija. La spedizione sarà fallimentare e neanche la stella dell’eroe di Dusseldorf riuscirà a brillare, finendo relegata in panchina.

 

Prima della competizione Kipiani spiazza tutti: «Avevo due sogni, vincere un trofeo europeo e giocare i Mondiali. Il primo l’ho realizzato. Il secondo non diventerà mai realtà perché nel 1986 sarò troppo vecchio. A questo punto non ha più senso continuare a giocare». I tifosi sono sconcertati, tutti provano a farlo ricredere ma non è possibile. Kipiani non riesce a capire il motivo della sua esclusione e non cambia idea. La sua partita d’addio si deve giocare a novembre, ma qualche giorno prima dell’evento muore Breznev e la gara non si giocherà mai.

 

A dicembre dello stesso anno arriva un altro colpo tremendo. Mentre sta guidando su una strada di montagna, Daraselia perde il controllo della sua macchina e finisce in un fiume. Ci vorranno quasi quindici giorni per recuperare il corpo senza vita del centrocampista. Aveva venticinque anni.

 

La Dinamo rimane sotto shock e la stagione si conclude con l’esonero di Akhalkatsi, sostituito proprio da Kipiani, che inizia così la propria carriera da allenatore.

 

Siederà su diverse panchine ma il suo lavoro sarà diviso nella maggior parte delle occasioni fra la sua Dinamo e la nazionale georgiana. Il 17 settembre avrebbe dovuto prendere un aereo per Mosca, dove era atteso dai dirigenti della Dinamo Mosca. Sarebbe dovuto diventare il loro allenatore.

 

Ancora oggi, se si domanda a un georgiano cosa sarebbe successo se Kipiani fosse andato in Spagna, la risposta è sempre la stessa: «Avremmo vinto il Mondiale».

 

 

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura