
Stamattina il video circolava molto. Lo abbiamo guardato strizzando gli occhi, come si fa di fronte ai video di risse di strada in città, alle brutte sciagure fisiche e a tutto il genere "gore" che spopola su internet. Alejandro Davidovich Fokina spinge un dritto lungolinea veloce e profondo. Se Alex De Minaur non ci arrivasse avrebbe vinto il torneo di Washington. Il primo titolo ATP della sua carriera.
De Minaur, che ha i piedi veloci, ci arriva, ma si limita ad appoggiare il piatto della racchetta e ad accompagnare la palla verso l’alto. Esistono dei colpi nel tennis che non sono davvero “tirati”; è più un’approssimazione istintiva che si cerca tra pallina e racchetta, mentre non si ha il tempo per coordinarsi. Esce fuori un pallonetto difensivo, la palla si alza verso il cielo. In quel momento Davidovich Fokina alza gli occhi verso il cielo e in pochi secondi deve prendere una decisione importante: colpire o non colpire? In due secondi e mezzo la palla si alza verso il cielo e sta per ricadere.
Nel primo set, sul set point, aveva dovuto prendere una decisione su una palla simile. Una palla alta sparacchiata verso il cielo e che ricade in campo come la prima goccia di un temporale. In quel caso era stato coraggioso, tirando uno smash a tutto braccio che gli ha regalato il primo set.
Davidovich stavolta sceglie di non colpire, sperando che la palla finisca fuori. In effetti ci va molto vicina, ma struscia un pezzetto di riga. A quel punto lo spagnolo è in una situazione scomoda. Colpisce un altro dritto d’attacco lungolinea e poi si butta a rete. Magari avrebbe potuto anche ricominciare lo scambio da capo ma non ne ha la pazienza. Forse vuole compensare la mancanza di coraggio avuta sulla palla di prima, dove avrebbe potuto rischiare uno smash. Solo che dal lato del rovescio De Minaur ha uno dei migliori passanti del circuito, lo abbiamo visto anche a Wimbledon contro Djokovic: riesce a trovare traiettorie basse e strette con grande facilità. Davidovich Fokina tira una volée appena parata, e dopo viene passato. A quel punto qualcosa in lui si rompe. Allarga le braccia sconsolato, poi si butta sulla rete con la testa bassa. La regia inquadra un cielo rosa da fine del mondo sopra Washington. Era il terzo matchpoint mancato di quella finale. Una partita in cui era stato sopra pure 4-1 e 0-30: una partita in cui aveva fatto tutto per mettersi nelle condizioni di vincere e alzare il primo trofeo importante della sua carriera.
E poi non ci è riuscito. Davidovich Fokina ha fatto tutto ciò che bisognava fare per vincere quella partita di tennis. Ha giocato meglio del suo avversario, ha assorbito i momenti di difficoltà, è tornato forte nei momenti chiave della partita, ha costruito il gigantesco punteggio che richiede una partita di tennis un poco alla volta, con enorme fatica. Ha vinto oltre 100 punti e gliene mancava solo uno per vincere la partita. E non ci è riuscito.
Qualcosa deve essersi impossessato di lui durante quei matchpoint. Un veleno che dalla testa gli ha preso gambe e braccia. Forse, mentre la palla era in aria e c’era da prendere una decisione velocemente, Fokina ha pensato che quello, proprio quello, era il punto che avrebbe scacciato la sua maledizione. E il tennis è uno sport in cui i pensieri possono danneggiare le azioni.
Alejandro Davidovich Fokina ha una presenza particolare. Ha un fisico compatto, quasi tozzo, i capelli molto biondi e degli occhi sempre leggermente spiritati. Sembra un surfista privo del solito sex appeal che dovrebbero avere i surfisti. Suo padre era un pugile russo-svedese, sua madre è russa ed è nato in Spagna. Ha un tennis poco aggraziato ma completo. È forte, resistente e sa giocare a un ritmo alto sia col dritto che col rovescio. Ha vinto Wimbledon a livello juniores e da giovane era considerato abbastanza forte da prendere parte alle Next Gen ATP Finals. In quell’edizione, nel 2019, Sinner ha sconfitto De Minaur in finale. Il primo giorno l’australiano aveva affrontato proprio Fokina, dando vita a una partita tesa.
Sono due tennisti completi ma che non riescono a tirare vincenti con facilità, costretti sempre a lavorare duro per conquistare i punti. Quando giocano contro si incatenano l’un l’altro a un tennis di fatica in cui è estremamente complicato trovare il modo di non far più toccare la palla all’avversario.
Alex De Minaur ha l’aria mite di una persona troppo buona per essere competitiva nel tennis. Invece sta riuscendo ad avere una carriera notevole, se consideriamo che non possiede certo un talento larger than life. Bazzica la top-10, ha raggiunto i quarti di finale in tutti gli Slam e, soprattutto, ha già vinto 10 titoli ATP in carriera - quindi 10 più di quelli di Davidovich Fokina.
Quando ha raggiunto la finale di Montecarlo nel 2022 lo spagnolo aveva 23 anni e sembrava solo la prima di una serie. La sconfitta contro Stefanos Tsitsipas era tutto sommato normale.
Poi però sono arrivate tre finali perse nel 2025. Un numero che non può essere casuale e che ci fa domandare che tipo di rapporto controverso ci sia tra Davidovich Fokina e la sconfitta, o tra lui e la vittoria, e su quanto sia sottile il confine tra l’una e l’altra.
Davidovich Fokina ha 26 anni, è numero 19 del mondo e non ha ancora vinto un titolo ATP. È il sesto tennista della storia a raggiungere questo malinconico record.
A febbraio, nel caldo di Delray Beach, Alejandro Davidovich Fokina aveva perso un’altra partita terrificante. Il torneo era un 250, meno prestigioso di Washington, ma sarebbe stato importante: vincere il proprio primo titolo ATP.
Davanti all’onesto Miomir Kecmanovic, Fokina era andato avanti 5-2 nel terzo set, e poi 15-40 sul servizio di un avversario sempre più sfiduciato. A quel punto si gioca un punto che vi invito a guardare. Kecmanovic è un altro colpitore da fondo molto pulito, che però fatica a chiudere i punti. Mette sotto pressione Fokina, che però resiste. È il primo matchpoint e vuole dare tutto. Per chi fatica a chiudere le partite, a volte è più comodo giocare un matchpoint sul servizio altrui, sulla difensiva, cercando un guizzo improvviso che chiuda i conti.
Quel momento arriva quando, alla coda di uno scambio estenuante, Fokina vede lo spazio per tirare un vincente di dritto in controtempo. È una grande idea, entusiasmante a quel punto dello scambio. Fokina aggredisce la palla in anticipo e lascia fermo Kecmanovic, che si limita a guardare il rimbalzo. La palla è fuori di niente. Un centimetro, forse.
Sul secondo matchpoint Kecmanovic coglie il nastro con la volée di dritto e la palla ricade in campo. Certo, Davidovich ha ancora molto margine per vincere la partita ed è un tic del nostro commento a posteriori, probabilmente, ricondurre tutto a singoli momenti.
Eppure sembra così. Le occasioni perse sembrano scavare nella testa di Davidovich Fokina. Un’energia nera sembra trascinarlo verso la sconfitta, pesante e inevitabile. Arrivare così vicini alla vittoria, senza raggiungerla, segna l’inizio di una caduta irreversibile. Fino al punto paradossale in cui Fokina arriva forse a temere il momento del matchpoint, quello in cui gli tocca affrontare una serie di avversari reali e immaginari. Il matchpoint di una finale: l’ultimo punto di una serie interminabile di punti, ma l’unico che fa la differenza tra avere un titolo in bacheca o non averlo - ingrassandosi dunque di un peso simbolico che la sua testa non riesce a reggere.
Ora, siccome questo è un pezzo su Davidovich Fokina dobbiamo parlare di quella volta in cui ha buttato via una partita servendo da sotto. Non era una finale ma in qualche modo quella partita di Wimbledon deve aver lasciato un segno su di lui. L’avversario era Holger Rune e Fokina giocava da underdog. È l’esperienza Fokina completa. Al super tiebreak del quinto set infila una serie di vincenti complicati, tra cui un pallonetto in equilibrio precario che sembrava aver schiantato per sempre Rune. Sull’8-8 e servizio, il punto che lo avrebbe portato a matchpoint, la sua tensione produce un punto di rottura. Come se il suo intero sistema nervoso andasse in panne, decide di servire dal basso.
Recuperate se potete anche il video di Sky di questa partita, perché i telecronisti su quel servizio si lasciano scappare un "NO!" che dice molto del fatto che in presa diretta la catastrofe era percepibile in modo ancora più violento.
Rune ha un talento speciale dal tirarsi fuori da situazioni in cui pare spacciato. Quindi il suo incrocio mentale con Davidovich Fokina doveva per forza creare questo impressionante cortocircuito psichico.
Anche nella finale di Washington non tutto era perduto. La partita era ancora in equilibrio e lui stava giocando meglio del suo avversario. Quei momenti però hanno prodotto, evidentemente, un’altra rottura interna.
Viene in mente la finale del Roland Garros tra Jannik Sinner e Carlos Alcaraz. La mia teoria è che se Sinner non avesse avuto quei tre matchpoint sul servizio dell’avversario, nel turno successivo avrebbe chiuso serenamente il match. Nel tennis si produce il senso della vittoria e della sconfitta a ogni punto e per questo la grande regola universale è quella di cancellare il peso mentale del turno precedente. Abbandonare i detriti emotivi lasciati dalla piccola vittoria o dalla piccola sconfitta di un punto perso. Come si fa, però? Certi punti non sono uguali agli altri e queste sconfitte di Fokina ce lo ricordano.
Per lui una sconfitta produce altra sconfitta, perdere aiuta a perdere, in un circolo auto-distruttivo in cui il tennista spagnolo sembra vittima di un complesso sistema di tortura psicologico messo in piedi dal tennis stesso - col suo intricato e assolutamente oscuro sistema di punteggio. Una specie di camera delle torture di quelle che potete vedere al museo di San Gimignano. Ogni matchpoint perduto produce un trauma ricorsivo. Perdere, ecco: sembra facilissimo.
Alex De Minaur dopo la partita ha festeggiato come Cole Palmer, stropicciandosi le braccia. Si è dimostrato più freddo del suo avversario. Dopo la finale di Delray Beach la panchina di Kecmanovic si è portata l’indice alla tempia. Ha avuto più testa del suo avversario.
Tutti hanno più testa e più freddezza di Davidovich Fokina. Tutti sanno meglio di lui salire quell’ultimo gradino che porta alla vittoria di un titolo.
Eppure sarebbe assurdo che a un tennista arrivato a giocare a quei livelli manchi la mentalità. È proprio qualcosa che non sta in piedi.
Riguardando queste partite è difficile farsi un’idea chiara. È sfortuna, la sua? È il caso? Un istinto autodistruttivo? Davidovich Fokina usa il tennis per punirsi?
Ha ragione Alex De Minaur quando a fine partita dice che Fokina è troppo bravo per non riuscire a vincere un titolo. Dopo la partita si era seduto accanto a lui a consolarlo. Gli ha stretto le mani sulle spalle e ha provato a spiegargli che non ha nulla da rimproverarsi. Sa bene che avrebbe potuto trovarsi anche lui dall’altra parte. «Sono stato solo fortunato» ha detto nel discorso finale. È vero: quel pallonetto sparacchiato in aria non doveva finire in campo. Non si sa bene come ci è finito. E forse questo è stato anche lo stesso pensiero di Davidovich Fokina: come è possibile che questo pallonetto sia rimasto in campo? E soprattutto: perché sempre a me? C’è qualcosa, forse Dio, forse il destino, che non vuole che io vinca un torneo?
Non sappiamo se realmente la testa di Fokina abbia prodotto pensieri tanto estremi. Il tennis, però, gli sta ponendo di fronte la vittoria come un’enigma da decifrare.
Nella serata di ieri si sono consumate altre due piccole tragedie tennistiche.
Vasek Pospisil doveva giocare quella che sarebbe potuta essere l’ultima partita della sua carriera. In casa, a Montreal, contro Facundo Bagnis, si è infortunato presto. Sofferente, però, non si è arreso ed è riuscito a vincere il secondo set. Infine ha perso, nel terzo, ma quando ha lasciato il campo commosso sentiva di aver dato veramente tutto.
Bianca Andreescu stava chiudendo senza particolari sussulti la sua partita di primo turno contro Barbora Krejcikova. Sul matchpoint, andando a colpire di dritto, la sua caviglia si è girata in modo pauroso. Andreescu - la cui carriera è una interminabile sequenza di sfighe, cadute e problemi vari - si accascia a terra in lacrime.
Andreescu però riesce a ricomporsi e a vincere i due punti successivi, prima di scoppiare in un nuovo pianto. L’infortunio alla caviglia lì per lì sembrava serio, e in questo momento non sappiamo ancora se sarà in grado di scendere in campo per il secondo turno.
A volte l’intensità drammatica prodotta dal tennis è insostenibile per noi che guardiamo, provate allora a immaginare come ha dormito, ieri sera, Alejandro Davidovich Fokina.