Nel secolo scorso il compositore Dmítrij Šostakóvič definì il calcio "il balletto delle masse".
Oggi il gergo calcistico ha espressioni che richiamano genericamente il danzare ("Gioca come se danzasse", "Danza tra le linee") e solo di rado calcio maschile e danza classica vengono associati in modo esplicito (qui un pezzo di Marco D’Ottavi che paragona un’acrobazia di Gianluca Vialli a un grand jeté). La verità è che nell’immaginario sono attività lontanissime. Una questione di presunta virilità.
Nei giorni d’ottobre del 2020 in cui si accordava con il Manchester United per la sua prima esperienza nel calcio inglese, Edinson Cavani era in Uruguay, nella città dove aveva trascorso l’adolescenza, Montevideo, e promuoveva la Escuela Nacional de Formación Artística del Sodre, una scuola pubblica e gratuita di danza e canto lirico, per età comprese tra i sei e i vent’anni.
A formarsi in danza classica in quel momento c’erano 148 femmine e 12 maschi. Con ogni evidenza i pregiudizi pesavano, ed essendo una questione culturale si era mosso personalmente il ministro dell’Educazione e della Cultura, Pablo da Silveira, per convincere Cavani a prestare la sua immagine alla scuola. L’invito per email si concludeva con una suggestione: "Forse in un’altra vita avresti voluto essere un ballerino". Cavani aveva accettato un’ora dopo.
Era un testimonial perfetto, per la sua imponenza nel calcio uruguayano e per il modo di giocare tenendo insieme forza e leggerezza. Secondo Paulo Aguiar, direttore artistico della scuola, «Cavani fisicamente è un ballerino. Ha quel qualcosa che definiamo eleganza». Ed era perfetto perché gli anni al PSG lo avevano avvicinato al balletto, frequentava spesso i teatri di Parigi.
Cavani non si era limitato a un video promozionale, ma aveva trascorso otto ore nell’auditorium mettendosi alla prova, approcciando le tecniche della disciplina, col suo corpo. In un video che ne documenta gli esercizi, si muove come se stesse per colpire un pallone e poi esegue una piroetta.
Esattamente vent’anni prima che Cavani incoraggiasse bambini e ragazzi con la passione per la danza, nelle sale cinematografiche usciva Billy Elliot, la storia di un undicenne che vive in una rude e soffocante provincia inglese e sogna di diventare ballerino di danza classica.
Il giorno dell’uscita del film, il 29 settembre 2000, era un venerdì. Il giorno dopo, al Boleyn Ground di Londra, il West Ham pareggiava 1-1 col Bradford. I padroni di casa schieravano un difensore nel giro della Nazionale, Rio Ferdinand, che non aveva compiuto ventidue anni e quel pomeriggio giocava una delle ultime partite nel club che lo aveva formato.
Da ragazzino Rio Ferdinand aveva fatto quattro anni di danza classica, alla Central School of Ballet di Clerkenwell, con una borsa di studio. Aveva un’insegnante russa, era bravo, andava alla scuola anche quattro volte a settimana. A lungo non l’aveva confidato a nessuno, neppure ai suoi amici: «Mi avrebbero massacrato». Se ne liberò, come ci si libera di segreti che pesano, solo verso i quindici anni, quando già era entrato nelle giovanili del West Ham, si allenava col coetaneo Frank Lampard e poteva iniziare a dirsi un calciatore. Aveva raggiunto, ormai, un inequivocabile – diciamo così – status sociale di virilità, che quelle lezioni di danza classica non potevano più intaccare.
Spiegò tempo dopo: «Quando ho visto Billy Elliot, ho pensato: Era proprio così. Ricordo ancora la sensazione di cercare di tenere tutto nascosto…».
La danza classica non è una danza caraibica di cui inscenare i passi dopo un gol, mescolando lo scherzo all’esibizione d’abilità. Né il ballo da sala in cui ex calciatori si esibiscono in Ballando con le stelle, o nella sua versione originale inglese, col compiacimento di fare qualcosa che pare da gentiluomo, qualunque cosa significhi oggi.
Il rapporto dei calciatori con la danza classica è poi probabilmente, nell’immaginario, il rovescio esatto di quello con discipline che corrispondono alla virilità. Gli ammiccamenti alla boxe di Cristiano Ronaldo e Sergio Ramos, la cintura nera di taekwondo di Zlatan Ibrahimović (che aggiunge un’aura di aggressività a un giocatore imponente, sì, ma di estrema eleganza).
Poco sposta che a prendere lezioni di danza classica ci siano state figure, per uscire dal calcio, come la leggenda del football americano Tom Brady o come Arnold Schwarzenegger, quando dominava il bodybuilding e voleva migliorare certe posizioni in vista della finale di Mister Olympia 1975 (come documenta straordinariamente il film Pumping Iron di Butler e Fiore).
Tre anni dopo l’uscita di Billy Elliot, il Queens Park Rangers, in testa alla Second Division inglese 2003/04, viene contattato dall’English National Ballet: la compagnia è interessata alle tecniche d’allenamento del club per migliorare la resistenza. Il fitness coach del QPR, Scott Rushton, intuisce che la relazione sarebbe vantaggiosa anche per la squadra: «Potrebbe aiutare a ridurre gli infortuni, ad accelerare i tempi di recupero e ad allungare la carriera».
Ne viene fuori una giornata all’English National Ballet, con giocatori e staff tecnico che assistono alle esibizioni delle ballerine, prendono parte agli allenamenti e familiarizzano con i princìpi della danza classica. Tra i giocatori, le forti riserve cadono. «Magari qualcuno non lo ammetterà, ma garantisco che a tutti è piaciuto», dice il difensore e nazionale nigeriano Danny Shittu. E il capitano Steve Palmer aggiunge: «Alla fine per noi è stato un bene».
In una cittadina isolata in una zona montuosa della Svezia centrale, l’Östersunds FK chiude il campionato svedese 2017 al quinto posto (miglior risultato di sempre del club) mentre i suoi giocatori, parallelamente, si esercitano nella danza classica per portare in scena Il lago dei cigni di Čajkovskij. Al saggio finale, pochi giorni dopo, assistono quasi cinquecento spettatori.
La danza classica è una delle attività di un ampio progetto d’espressione artistica pensato dal club, che include il canto e il teatro, un laboratorio d’arte, uno di scrittura letteraria. L’allenatore, l’inglese Graham Potter, è coinvolto in prima persona nelle attività.
Da bambino Gaetano Castrovilli, centrocampista della Fiorentina, approcciò la danza classica nel suo paese delle Murge prima di dedicarsi allo sport che sarebbe diventato il suo lavoro. Aveva sette anni ed era l’unico maschio del corso a cui era iscritto. Per questa ragione non proseguì dopo il primo anno.
«La danza mi ha aiutato tanto nel calcio e, che ci crediate oppure no, continua a farlo, quando devo pensare e realizzare un dribbling, una finta, un inserimento. Vivo la mia vita danzando».
A undici, dodici anni, Gennaro Tutino, oggi attaccante del Parma in prestito al Cosenza, tra i migliori giocatori della serie B, non riusciva più a conciliare il talento nella danza classica con quello nel calcio. Era bravo, si era esibito per tre volte al San Carlo di Napoli, ma aveva dovuto rinunciare. «La danza rimane una mia passione. L’emozione di stare davanti alla platea che ti guarda, ti applaude, è un po’ come nel calcio».
Quando nel 2021, fuori onda, al termine di un’intervista al canale ufficiale della Salernitana, gli chiedono se fosse proprio la danza classica, Tutino conferma e sorride: «‘O plié, facevo».
La danza classica è alata, ha armonia e grazia, riguarda una dimensione verticale se non spirituale, e tutto questo mal si accorda, più che col "gioco maschio", con la rozzezza.
Rio Ferdinand ha spiegato che quanto ha appreso nella danza classica lo ha aiutato nei vent’anni da calciatore professionista, in particolare nell’equilibrio e nella fluidità dei movimenti. Ha spiegato anche che allenarsi nella danza è più duro che nel calcio. Ed è rimasto convinto della bellezza della disciplina: «È elegante e devi essere flessibile, riconoscere i movimenti, le note giuste, il tempismo». Suo figlio Lorenz è nato nel 2006, ha praticato la danza classica da bambino e oggi è portiere nell’Under 18 del Brighton.
Nel video promozionale per la scuola di Montevideo, Cavani dice che danza classica e calcio «si somigliano più di quanto il mondo immagini». Hanno fondamenti in comune: l’equilibrio, la coordinazione, la concentrazione estrema. E dice che entrambi possono condurre «un bambino o una bambina» fino al sogno – sottintendendo che tutti i sogni sono legittimi.