
Daniel Levy accompagna Gary Neville all’interno del Tottenham Hotspur Stadium con un sorriso orgoglioso stampato in volto - il tipo di sorriso di chi è abituato ai complimenti per la bellezza di casa propria ogni volta che invita un nuovo ospite a cena. Gli mostra il box che era riservato alla famiglia di Harry Kane, racconta la storia del pavimento al piano terra realizzato con le macerie del vecchio stadio, spiega come mantengono il prato del campo quando lo nascondono sotto le tribune e dove tengono quello per le partite NFL. I due si accomodano sulle tribune per parlare di calcio e dell’economia della Premier League. Sotto di loro stanno montando il palco per il concerto di 50 cent. A un certo punto Neville gli chiede: «Pensi di non ricevere abbastanza credito per come hai gestito il club?». Il sorriso di Levy cambia, da orgoglioso a dispiaciuto. «Penso che quando non sarò più qui riceverò quel credito».
Questa intervista la trovate nel podcast di Neville, The Overlap. È stata pubblicata il 4 agosto del 2025. Esattamente un mese dopo Daniel Levy si è dimesso da presidente del Tottenham.
Che durante la pausa di settembre sarebbe caduta una testa in Premier League potevamo anche immaginarcelo. La scelta era tra l’agognato esonero di Ruben Amorim al Manchester United o il licenziamento di Nuno Espirito Santo da parte del Nottingham Forest, vista la lite per nulla velata con il presidente Marinakis. Invece, a sorpresa, la testa è stata quella del presidente che era alla guida di un club da 25 anni, da più a lungo di tutti nel campionato inglese.
Non se l'aspettava nessuno, neanche il tifoso degli Spurs più ostile, quello che da anni intonava il coro «Daniel Levy, get out of our club». Un coro partito in sordina ma che gara dopo gara si è fatto sempre più rumoroso e partecipato. Al coro sono seguiti striscioni. “Our game is about glory, Levy's game is about greed”. Noi giochiamo per la gloria, Levy gioca per l’avidità. Una protesta che durante la scorsa stagione si è fatta sempre più partecipata mano a mano che la squadra scendeva fino al diciassettesimo posto in Premier League. Neanche la pazzesca vittoria dell’Europa League ha placato le ostilità verso Levy da parte del tifo al Tottenham Hotspur Stadium, stanco di vedere la squadra sempre più distante dai primi posti della classifica.
DANIEL LEVY DEVE VENDERE! VATTENE! VATTENE! o quasi.
Eppure, nonostante queste proteste, il posto di Levy alla presidenza del club non era mai sembrato in discussione, forte da un quarto di secolo della piena fiducia di Joe Lewis, il miliardario inglese che a lungo ha controllato il club e che, dal 2022, gli ha lasciato pieni poteri attraverso un trust.
Sul campo era già chiaro che il Tottenham stesse entrando in una nuova era. Non tanto per la clamorosa vittoria dell’Europa League dello scorso, quanto per l’addio in estate di Heung-min Son, capitano e simbolo, l’ultimo superstite del ciclo di Mauricio Pochettino e unico dello stesso ciclo – assieme al pretoriano Ben Davies – ad essere riuscito ad alzare un trofeo restando nel nord di Londra. Fuori, però, un cambiamento così brusco era inaspettato. Certo, alcune avvisaglie c'erano.
Nei mesi precedenti alle dimissioni di Levy, il Tottenham aveva assunto Vinai Venkatesham come amministratore delegato, carica che ha ricoperto anche all’Arsenal; e Peter Charrington, direttore del gruppo d'investimento ENIC (fino al 2022 sotto il controllo del già citato Lewis) che ora sostituirà Levy come presidente. Mentre loro arrivavano se ne andavano il football chief officer Scott Munn (durato appena due stagioni) e la direttrice esecutiva Donna-Maria Cullen, una delle persone più influenti dietro le quinte durante il mandato di Levy. Insomma, con il senno di poi era intuibile che il Tottenham stesse cambiando qualcosa, ma l’uscita di scena di Levy rimane sorprendente. La preghiera dei tifosi del Tottenham è stata quindi clamorosamente esaudita e, ironia della sorte, dopo che ha appena vinto un trofeo importante.
IL TOTTENHAM PRIMA DI LEVY
Che il Tottenham negli ultimi 25 anni abbia vinto solo due trofei, una League Cup e un Europa League distanziati 17 anni l’uno dall’altro, è cosa nota. Ma come stava prima? Levy e il gruppo ENIC lo rilevano nel 2001 da Alan Sugar, ricco politico inglese che poi diventò Sir Alan Sugar. Allora il Tottenham stava scendendo nelle gerarchie del calcio inglese dopo essere stato una squadra importanti, tra quelle fondatrici della Premier League nel 1992. Negli anni ’90 l’era di Sugar fu deludente, portando tanti giocatori di culto come Gascoigne, Klinsmann, Ginola e Teddy Sheringham a White Hart Lane ma pessimi posizionamenti in campionato e un solo trofeo, la League Cup del 1999, allora brandizzata Worthington. Nel 2001 Sugar cedette la maggioranza delle quote del club a ENIC, che possedeva delle quote anche di Rangers, Basilea, Slavia Praga, AEK Atene e Vicenza.
A guidare l’acquisto di ENIC c'era proprio Daniel Levy, che d'altra parte era direttore esecutivo, oltre che ovviamente un tifoso degli Spurs fin da bambino. Levy ha assistito alla sua prima partita nel vecchio White Hart Lane alla fine degli anni ’60 quando aveva sette anni, contro il Queens Park Rangers. Il padre di Levy, Barry, era il proprietario di un'attività di vendita al dettaglio di abbigliamento, chiamata Mr Byrite, e in cui Daniel cominciò a lavorare dopo essersi laureato in Economics and Land Economy al Sydney Sussex College di Cambridge. Comincia la sua avventura da operatore finanziario, poi un giorno incontra Joe Lewis, ci fa amicizia, fonda una società con lui, con quella società investe nel mondo del calcio e infine compra il Tottenham, la sua squadra. Ora ditemi voi se questa non è la premessa del sogno di qualsiasi tifoso.
Levy ha cercato di rilevare il Tottenham una prima volta nel 1998. Sugar accettò solo nel 2001, spinto anche dalle proteste dei tifosi che gli chiedevano di cedere. Vi ricorda qualcosa? Sì, la storia di Daniel Levy al Tottenham comincia con i tifosi che invitano il suo predecessore a cedergli il posto.
Quando nel 2001 Levy e ENIC ne acquistarono il controllo, il club aveva un valore di circa 60 milioni di sterline (circa 115 milioni di sterline di oggi). Nel 2025 il Tottenham Hotspur Football Club ne vale due miliardi e mezzo e, secondo Forbes, è il nono club per valore al mondo. Fa impressione. Un perfetto manifesto di quanto è cambiato il business del calcio in termini economici e cosa può succedere se avevi i soldi per investirci.
Rimanendo sul valore prettamente monetario dei club, fa ancora più impressione notare che nella stessa top ten il Tottenham abbia superato il Chelsea - quel Chelsea che, mentre ENIC acquistava il Tottenham, veniva rilevato da Roman Abramovic, un passaggio cruciale verso la Premier League che conosciamo oggi. Una leggenda vuole che Abramovic prima del Chelsea avesse sondato l’acquisto del Tottenham, ma che il “degrado” notato nel quartiere lo abbia dirottato sui rivali. È inutile ricordare quanto il Chelsea di Abramovic abbia vinto più del Tottenham di Levy. E qui, come si dice, cade l'asino.
LA LEGACY DI LEVY
In questo lustro Daniel Levy è stato il cervello del Tottenham, controllando tutti gli aspetti del club, sia quello finanziario che quello sportivo. Sul mercato l’ultima parola spettava a lui: i vari direttori dell’area tecnica e sportiva che si sono susseguiti negli anni (tra cui Damien Comolli, Franco Baldini e Fabio Paratici) dovevano sempre rendergli conto ed era sempre lui a trattare i giocatori in entrata e in uscita, costruendosi anche una reputazione in merito, nel bene e nel male.
Alex Ferguson nella sua biografia racconta che Levy era un osso duro con cui trattare. Quando si presentarono nel suo ufficio per parlare di Michael Carrick, lo United offrì 8 milioni di sterline per il centrocampista. La trattativa andò avanti per tre settimane e si concluse per 18 milioni. Le difficoltà nelle trattive si sono ripresentate anche nell’affare che portò Berbatov dagli Spurs ai Red Devils, al punto da far infuriare Levy e rendere Ferguson riluttante nel trattare di nuovo con gli Spurs per Luka Modric qualche anno dopo. Pep Guardiola lo ha definito il «maestro delle trattive».
Anche il Real Madrid è una squadra che ha avuto a che fare con la sua intransigenza nelle trattative. La cessione di Gareth Bale al Real Madrid per 100 milioni di euro è stato il suo grande capolavoro. «Ogni volta che vinciamo una Champions League, Daniel Levy mi manda sempre lo stesso messaggio», ha detto Florentino Perez «"Congratulazioni per il titolo europeo che hai vinto con i miei giocatori"». Da un certo punto di vista Daniel Levy è stato il presidente che più ha trasformato il mercato della Premier League nello sperpero di cifre senza senso che è oggi. E il problema non è tanto che non c'è molto da vantarsi in questo quanto il fatto che il Tottenham, a livello sportivo, ne ha tratto poco.
Il momento di massimo splendore, chiamiamolo così, è arrivato nel 2015, quando ha cominciato a muovere i primi passi il già citato ciclo in panchina di Mauricio Pochettino. Harry Kane, Dele Alli, Christian Eriksen, Heung-Min Son, Moussa Dembele, Kyle Walker. Una serie di ottimi giocatori arrivati tutti assieme che nelle mani dell’allenatore giusto sono riusciti a crescere e permettere al Tottenham di poter arrivare in Champions League per più stagioni consecutive e addirittura in finale, una volta. I tifosi più critici sostengono che durante quelle stagioni Levy non abbia supportato abbastanza Pochettino con il mercato. Ma la sostenibilità del club, per l'imprenditore inglese, è sempre venuta prima di tutto.
In quegli anni, com'è noto, il Tottenham ha cominciato la costruzione del nuovo stadio. Il Tottenham Hotspur Stadium è stato voluto da Daniel Levy per essere lo “stadio perfetto”. Levy curò ogni dettaglio tecnico ed estetico del progetto fianco a fianco con Christopher Lee (studio Populous). Un processo, di cui al tempo scrisse Antonio Cunazza, che è durato più di 10 anni, tra progettazione, autorizzazioni burocratiche e infine la costruzione. Un’idea nata quando il Tottenham non aveva ancora una statura tale da giustificare un investimento del genere.
Il Tottenham Hotspur Stadium è il manifesto delle ambizioni, della capacità imprenditoriale e anche della genuina passione di Daniel Levy. Quando ne parla, come nella serie Amazon o l’intervista con Neville, gli brillano gli occhi e non nasconde mai le problematiche che ha dovuto affrontare, tra costi e intoppi. Un’idea, o anche un sogno se volete, che sta pagando i dividendi. Lo stadio oggi può ospitare 62.850 persone e genera quasi 5 milioni di sterline a partita nelle casse del club. E oltre alle partite ci sono i ricavi provenienti da grandi concerti e da una partnership con la NFL che consente allo stadio del Tottenham di ospitare almeno due partite NFL a stagione.
L'intervista integrale con Neville, in cui Levy tocca molti punti interessanti su come la Premier League dovrebbe cambiare.
Ricapitolando. Con Levy al comando la squadra ha raggiunto traguardi importanti in campionato e in Europa. Ha vinto poco, certo, ma non che prima avesse il palmarès delle altre grandi d'Inghilterra. Nel Tottenham hanno giocato alcuni dei migliori giocatori al mondo come Modric, Bale, Kane e Son. La società è tra quelle che vale di più al mondo. Ha uno stadio moderno, talmente all’avanguardia che all’Europeo 2028 sarà l’unico altro stadio londinese oltre a Wembley. Quindi come mai Levy è stato così disprezzato dai suoi tifosi?
LE OMBRE
Centra la gestione dell’area sportiva, condizionata dalle sue manie di protagonismo. In quasi 25 anni Levy ha cambiato allenatore 14 volte. Tra i tanti ha anche portato sulla panchina due dei migliori allenatori dell’ultimo lustro, José Mourinho e Antonio Conte. Queste due scelte sono però sono sembrate più la ricerca della formula magica per portare a Tottenham un trofeo piuttosto che la volontà di costruire un progetto solido per la squadra.
Entrambi gli allenatori alla fine si sono fatti risucchiare dal buco nero che a lungo è sembrato il Tottenham: Mourinho è stato licenziato una settimana prima della finale di Carabao Cup con il City, una scelta criticata perfino da un leader silenzioso come Harry Kane. Antonio Conte è andato in burnout. Il risultato di queste due scelte è stato ricche buonuscite agli allenatori e tre mancate stagioni senza Champions League. E questo è anche avvenuto nel momento cruciale della sua era, il post-Pochettino che è stato anche il prime di Harry Kane e Son.
Tra i tanti errori che gli si possono rimproverare sul mercato, il più clamoroso forse è l’acquisto di Tanguy Ndombele, pagato 60 milioni dal Lione, e messo a libro paga per 10 milioni all’anno, quanto Harry Kane. Un talento mai sbocciato, che Levy ha provato a smuovere con un colloquio ripreso dalle telecamere di Amazon ed entrato nell’universo dei meme legati agli Spurs.
Il colloquio tra Levy e Ndombele.
Da questo punto di vista forse è significativo che nella stagione 2018/19, quella conclusa con la finale di Champions, Levy non effettuò nessuno acquisto. Nel frattempo, la Premier League scopriva la ricchezza. Il Liverpool quell’estate spese 192 milioni (si intende in uscita, per il costo dei cartellini), il Chelsea 208, l’Arsenal e il Manchester United più di 80. Uscendo dalle Big Six, il Leicester ne spese 114 e l’Everton quasi 100. La squadra cresceva, ma senza un aiuto economico in un campionato che si arricchiva. Quella sessione senza acquisti nel momento migliore della squadra viene ancora ricordata tra i tifosi. Ci sarebbe da far notare che il Leicester e l’Everton hanno poi avuto problemi nel rispettare il PSR, il sistema di regolamentazione finanziaria che dovrebbe garantire la sostenibilità economica della Premier League. I conti del Tottenham invece sono rimasti a posto.
Ci sono tante situazioni in cui la sua gestione ha fatto alzare il sopracciglio, come i 45 giorni trascorsi senza allenatore nel 2021 che hanno bloccato la programmazione della squadra. Levy alla fine scelse Nuno Espirito Santo, mandandolo via dopo 17 partite. Anche l’esonero di Pochettino fu gestito molto male. Ci sarebbe anche il mercato del 2013, quello dei soldi incassati per Bale spesi per Soldado, Paulinho e Chiriches. E poi ci sono anche le diverse trattative fallite negli anni forse proprio per la sua durezza, con i giocatori che poi si accasavano alle rivali. La più recente riguarda Eberechi Eze, trattato per una settimana e alla fine trasferitosi all’Arsenal.
In generale, la riluttanza del presidente del Tottenham nel pagare stipendi elevati nonostante l'aumento delle entrate dello stadio e la scelta di ingaggiare solo giovani di prospettiva rispetto a titolari già pronti ha finito con ampliare il gap con le avversarie. È aumentata anche la competizione: è arrivato il Newcastle saudita ed è cresciuto l'Aston Villa, oltre ad un innalzamento del livello della classe media in campionato. Anche qui quello che si può appuntare Levy è la sostenibilità: il Tottenham distribuisce il 42% dei propri ricavi in stipendi dei giocatori, una cifra molto inferiore a quella degli altri club in Premier con cui vorrebbero competere, che superano il 50%.
Ma ora tutto questo è storia. Daniel Levy si è dimesso e nel nord di Londra bisognerà trovare un nuovo capro espiatorio per i trofei mancanti. Con la sua uscita di scena la Premier League perde uno dei suoi protagonisti più importanti degli ultimi 25 anni. Daniel Levy era in Premier League quando i proprietari dei grandi club inglesi non erano ancora stati arabi, fondi d’investimento americani o Claudia Schiffer. Non lascia dietro di sé una scia ricca di gloria, ma neanche di macerie. Non verrà ricordato dai tifosi con tanto affetto, ma sarà sempre l'uomo che ha guidato il Tottenham all’interno del calcio moderno, permettendogli di restare a galla nelle caotiche rapide della Premier League. A portare la gloria ci ha comunque provato. Il Tottenham Hotspur Stadium sarà lì a ricordarlo, un monumento ai suoi sforzi.